Partiamo da lontano, come si è evoluto il tuo approccio al songwriting da "Apuamater" passando per "Delirio e Castigo" fino ai più recenti "Redelnoir" e "Rivoluzioni Sequestrate"?
L'unica evoluzione che credo di aver avuto è su un piano puramente concettuale ed ideologico. La mia visione del mondo contemporaneo e degli eventi storici, attraverso la riflessione e la lettura ha raggiunto una maggiore solidità, fatto fisiologico a quaranta anni.
Ci puoi parlare del tuo processo creativo? Come nascono le canzoni di Davide Giromini?
Quando un argomento mi sembra degno di racconto per intensità emotiva ed affezione personale provo a raccontarlo con la massima parzialità e senza artefizi retorici atti a compiacere. La parzialità è il modo per dare maggiore personalità ed originalità ad un prodotto artistico. Su un piano prettamente musicale compongo con chitarra, pianoforte , organo, Armonium o fisarmonica che è il mio strumento principale. L'unica limitazione che pongo ai miei brani è il modo minore; le canzoni in maggiore per me non sono mai esistite. Limitazione o peculiarità? Fra i colleghi musicisti la prima è l'ipotesi più avvalorata.

La musica tradizionale è stata fondamentale quando ho cominciato negli anni Novanta, soprattutto quella di matrice celtica. Una volta fatta un po’ di esperienza su un piano prettamente musicale con cinque anni circa di concerti in varie formazioni, ho cominciato il mio percorso cantautorale dove invece la canzone di protesta è fondamentale. Sono nato nel '76 in un contesto di “fine delle grandi narrazioni” e cresciuto in una famiglia che ha vissuto attivamente il decennio '68-'78 e quindi ho sempre respirato la canzone di protesta. Ho avuto la fortuna di entrare in contatto, sin da adolescente, con Alfredo Bandelli che era amico di mio padre. L'altro cantautore che ho avuto molto vicino è stato Ivan Della Mea che ho accompagnato per gli ultimi tre anni della sua vita. Mi ha lasciato anche alcuni critti da musicare che ho ancora nel cassetto. Il suo cinismo e la sua lucidità me li porto ancora addosso. Ho studiato filosofia, ma senza esiti lavorativi grazie ad una situazione italiana della scuola non poco controversa. Così, sublimando una frustrazione, mi sono trovato ad affrontare la questione su un piano appunto filosofico in tutti gli otto album pubblicati fin ora, attraverso il concetto di "postmodernità" che è la questione ancora irrisolta nella cultura ideologica italiana e secondo me la chiave di molte incongruenze nella politica con particolare specificità nella sinistra. Le mie canzoni di fatto tradiscono la canzone di protesta che necessita di arrivare alle masse con efficacia e semplicità, mentre io parlo l'unica lingua che so parlare che è una lingua semplice, solo per chi abbia una minima passione per la storia e la politica.
Ne butto li qualcuno: Franco Battiato, i C.S.I., i primi Modena City Ramblers, Enrico Ruggeri su un piano prettamente musicale. Sul piano narrativo-testuale amo moltissimo la scrittura di Roberto Vecchioni e di Francesco Guccini. Su un piano di atteggiamento filosofico ed umorale, mi piace molto e mi appartiene profondamente l'opera di Gianfranco Manfredi.
Che senso ha oggi fare ancora canzone politica e di impegno sociale?
Credo che abbia una grande limitazione nel fatto che si sente la necessità in Italia di canzoni sempre più di svago o quantomeno che facciano moda. Vada per lo svago, il canto di protesta è stato schiacciato da numerosi “movimenti di moda”, che si sono dimostrati poco durevoli e ambigui, l'ambiguità propria del mercato. Mi riferisco su tutti all'indie rock che non si è mai capito cosa fosse e che ha fatto precipitare una generazione nel qualunquismo e nell'anti-cultura monopolizzando il mercato underground e proponendo un distacco dalle major quasi ideologico, destinato poi a sfociare nel contratto con la major fino a quello ancora peggiore con X-factor. Un falso nichilismo rivoluzionario senza rivalsa che potrebbe essere smascherato nella sua ipocrisia con la lettura delle prime dieci pagine de "La condizione postmoderna" di Lyotard. Il problema sono sempre i soldi ma non i soldi per vivere una vita serena, bensì l'arricchimento vero e proprio. La canzone di protesta come il canto popolare, quando le due cose non si uniscono in una sola, hanno questo pregio, e cioè che continuano ad esistere aldilà di tutto e di tutti, aldilà del mercato e delle masse, e ci raccontano la realtà con un'emotività verace e figlia del suo tempo.
La canzone di protesta, o la canzone che si occupa di storia in generale crea un filo teso che si regge da solo. Amo pensare che un giorno non saranno dimenticate le morti in cava perché qualcuno potrà sempre trovare la mia canzone per sbaglio da qualche parte radio o web che sia.
Venendo più direttamente a "Ostalghia", il tuo ultimo album. Ci puoi raccontare la sua genesi?
La genesi di “Ostalghia” nasce dalla formazione musicale stessa: basso, batteria e fisarmonica. Rielaborando con Flavio Andreani e Andrea Marcori il repertorio classico abbiamo valutato dopo le risposte di un pubblico che già mi conosceva da molto tempo, che fosse il miglior sound che si era mai costruito sulla fisa e sulla mia voce, entrambe cose difficili da registrare. Quindi ho integrato brani registrati nei vari anni con brani nuovi in un percorso parallelo Italia e Russia, dispiegato nel Novecento.
Quali sono state le ispirazioni alla base dei brani di questo disco?
L'affermazione di fondo nel disco è: alcuni dei maggiori problemi dell'Italia sono stati il lavoro, il fascismo, il nazismo, i poteri occulti al governo, astenia generazionale, G8 di Genova che sono i temi tratti nei primi cinque brani. Per reazione si è vissuto mezzo secolo nella nostalgia di qualcosa che era lontano e che non sapevamo neanche cosa fosse. Si passa alla Russia con un filo narrativo molto veloce ma ciò che conta è poi che funzioni l'artefizio che fa chiudere il disco con la canzone riassuntiva di tutto il concetto che è “Ostalghia”. e che fa capire che la visione complessiva di un comunista che ha accettato la postmoderni.

Come si è evoluto il tuo approccio sonoro in questo disco? Come avete indirizzato il lavoro in fase di arrangiamento dei brani?
Non amo parlare di queste cose visto che da sempre lavoro sull'improvvisazione che per me è il principio base della musica folk. Quindi si suonano varie tracce ad ispirazione del momento e poi si selezionano e mixano nel migliore dei modi. Con questo trio abbiamo fatto un anno di concerti quindi i brani erano già molto solidi.
Come saranno i concerti con i quali porterai sul palco "Ostalghia"?
Ormai “Ostalghia” ha due anni di tour alle spalle con il trio rock e il disco è uscito già da qualche mese. Nel mio modus operandi c'è da sempre lo stravolgimento dei progetti e quindi verrà portato in giro in maniera differente.
Ho appena finito un disco di traduzioni di noti brani di lotta e sociali nel mio dialetto, il carrarese (noi diremmo “carrarino”) che uscirà in digitale in questi giorni. Tuttavia lo spettacolo che mi preme di portare in giro il più possibile è quello che abbiamo sviluppato con Alessio Lega, Marco Rovelli, Rocco Rosignoli e Guido Baldoni e "commissionatoci" dall'istituto Ernesto de Martino sulla stagione 1968-1978. Uno spettacolo basato sulla narrazione degli eventi storici e sulle canzoni più rappresentative di quel decennio partendo da Ivan della Mea per arrivare al già citato due volte Gianfranco Manfredi, passando per Paolo Pietrangeli, ‘E Zezi, Giovanna Marini, Gualtiero Bertelli, Pino Masi, Alfredo Bandelli e altri. Per questo lavoro partirà il crowdfunding tra non molto per produrne un disco.
Giromini e La Maledizione – Ostalghia (Curaro Dischi, 2016)

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