Cesare Malfatti – I Catari di Monforte a Milano (Riff Records/ADA Music Italy, 2022)

Il percorso artistico di Cesare Malfatti, storico componente dei La Crus, si arricchisce di un nuovo album che, come il precedente “La storia è adesso” ruota intorno ad un una narrazione unitaria legata alle vicende della sua famiglia. Se, infatti, quest’ultimo era dedicato alla figura di Valeriano Malfatti, podestà di Rovereto, il nuovo disco “I Catari di Monforte a Milano” è ispirato al saggio omonimo, scritto nel 1979 dal nonno Domenico Garelli, nel quale è ripercorsa la storia dei catari di Monforte d’Alba (Cuneo), condannati al rogo a Milano nel 1028 e la cui riedizione fa da compendio al disco. Complici di Malfatti in questa nuova avventura discografica sono Luca Morino, Alessandro Grazian, Gianluca Massaroni, e Vincenzo Vasi che cofirmano alcuni dei dodici brani nei quali spicca la partecipazione alla voce di Chiara Castello. L’apertura è affidata alle voragini elettroniche di “Credo”, appena sostenuta da una ritmica soffusa e dallo strumming della chitarra acustica. Si prosegue con “Possibilità”, colorata dalle oscure tensioni elettriche della chitarra e da una linea di basso viscerale, con le aperture dei synth a fare da squarcio melodico. “Al castello del Sir” il cui testo è tratto da un poemetto incompiuto di Giovanni Berchet, si snoda sinuosa lungo le trame dell’elettronica, contrappuntata dagli arpeggi della chitarra. “Davvero non sappiamo cos’è” si adombra di oscurità sintetiche, con le trame riverberate della chitarra elettrica a disegnare nebbiose tensioni. “Un Romeo in lacrime” è uno degli episodi migliori dell’intero lavoro, scandito da una caleidoscopica tempesta di tastiere e i riff tesi della chitarra. A seguire troviamo l’atmosfera rarefatta di “Dio dov’è” con l’arpeggio della chitarra acustica che incontra i syth, il tutto sorretto da una architettura ritmica retta dai pattern elettronici e dal basso. La psichedelia urbana di “Milano la notte” è caratterizzata da un basso forsennato e dalle increspature dell’elettronica a disegnare paesaggi nevrotici ed irrefrenabili. Se la parentesi cantautorale del disco va rintracciata in “Una casa” con tastiere ad intersecare il delay delle chitarre, “Altrove” ci riporta verso territori electro-acustici tastiere e batteria elettronica a stravolgere la tessitura chitarristica. “Non capirai” si presenta, invece, come uno dei passaggi più enigmatici dell’intero lavoro, con un riff corrosivo sorretto da un basso camaleontico e da una chitarra acustica secca, ed i soliti squarci di tastiere a fare da apertura melodica. Verso il finale arriva “Da Monforte persona non viene, a Monforte persona non va”, ingoiata da un denso reticolato di sintetizzatori, appena scalfito da una chitarra elettricamente caliginosa. A chiudere il disco è “Un’eresia”, immersa anch’essa nei giochi di luci ed ombre che synth e drum-machine le cuciono addosso. “I Catari di Monforte a Milano” è, dunque, un album costruito su un equilibrata alchimia di eleganza, innovazione e tradizione, impreziosita dal caldo timbro vocale di Malfatti che ci consegna un racconto della Milano dell’anno Mille declinato tra vortici sintetici e spaccati di grande gusto e misura. L’ennesima prova di grande classe. 


Giuseppe Provenzano

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