Madalitso Band – Musakayike (Bongo Joe Records, 2022)

Yobu Maligwa (voce, babatone, sorta di basso slide dal manico molto lungo e dotato di una corda) e Yosefe Kalekeni (chitarra a quattro corde e tamburo a pedale in pelle di vacca suonato con il tallone) provengono dal Malawi (Africa sud-orientale), Paese senza sbocchi sul mare, i cui paesaggi montuosi sono interrotti dalla Great Rift Valley e dall’esteso lago Malawi. Artisticamente, sono conosciuti come Madalitso Band, duo folk dal passato di buskers nelle strade della capitale Lilongwe, portati in studio per la prima volta da Emmanuel Kamwonje, lanciati nella scena internazionale dal Festival Sauti Za Busara di Zanzibar (2017). Nel 2019 hanno pubblicato “Wasalala” (Bongo Joe Records); hanno partecipato al Festival di Roskilde (2018), al WOMAD (2019), fino ad approdare agli showcase del WOMEX (2020). Ora è la volta di “Musakayike” (si traduce all’incirca “Non dubitare di noi”), album che si sviluppa attraverso otto brani. Dalle loro parti la chiamano “Banjo music”: introdotti negli anni Venti e Trenta del secolo scorso i banjo, questi ultimi scomparvero a metà degli anni Sessanta (cfr. il documentario “The Banjo Bands of Malawi”, contenente field recordings di Moya Alysia Malamu). Intorno alla fine degli anni Settanta, venivano suonati banjo fatti in casa costruiti insieme a chitarre, percussioni e l’enorme chitarra-basso. Sulla scia di questa scena, si innesta il sound dei Madalitso Band, il cui repertorio è una miscela di composizioni personali in cui confluiscono generi vari, tra i quali chimurenga dello Zimbabwe, kwela e jive sudafricani, con la chitarra ritmica e il babatone che porta la melodia e al contempo assume ruolo di basso, mentre le voci (i due cantano in lingua Chichewa), costruiscono deliziose armonizzazioni. Ne vengono fuori tracce sorprendenti per leggiadria e immediatezza: un percorso forse avaro di variazioni, ma niente affatto fragile e seducente per la qualità dei due partner e per la loro complicità. Aprono con l’incalzante call & response “Ali Nadi Vuto”, un motivo in cui commentano il fatto che qualcuno avrà sempre da ridire, che si sia ricchi o poveri. Non difetta di impatto neppure “Chikondi Sichiona Nkhope” (“La bellezza è negli occhi di chi guarda”), in cui il protagonista implora una donna di tornare al suo villaggio per incontrare i suoi genitori. Le due voci si completano, dispiegandosi deliziosamente in “Diya”, dove si parla ancora di amore, e nella successiva “Wandikumbutsa”, in cui il ritmo rallenta per richiamare i tempi passati di pace e di senso della giustizia. Nella title-track a una ragazza è chiesto di non dubitare del suo spasimante e in risposta alla domanda di lei, lui ammette di esser povero ma, per contro, sottolinea che “Il matrimonio non è una questione di ricchezza ma di amore”. In “Wandiputa Dala”, in cui Kalekeni è la voce principale, il testo, probabilmente metaforico, fa riferimento alle conseguenze di aver disturbato le api nel loro nido. Il tema dell’amore ritorna in “Mwaza”, altro brano irresistibile per il gioco di botta e risposta vocale, per i fraseggi sincopati degli strumenti, con la chitarra dall’incedere frizzantino e con la notevole potenza ritmica del versatile babatone, vero motore del suono di Maligwa e Kalekeni. La coppia conclude con la guizzante “Jingo Janga (Skipping Rope Dance)”, un tema utilizzato come bis in concerto, che è ancora una volta prova dell’incredibile affiatamento e delle good vibes che sanno profondere con le sole voci e l’essenziale organico strumentale. 


Ciro De Rosa

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