World Music Festival Bratislava, Bratislava, Slovacchia, 18-21 agosto 2022

Sarebbe bello che ci si accorgesse anche del portoghese Ricardo Silva (chitarra portoghese), in sodalizio con il fratello João Silva (chitarra classica) e con Carlos Almeida (contrabbasso). Già strumentista collaboratore di Mariza e di altri cantori di fado, di Silva si apprezzano la forza perfomativa individuale e l’affiatamento del trio che ha offerto un florilegio dello stile chitarristico di Lisbona, tra tradizione e contemporaneità, con i tributi alla famiglia Paredes, ai ritmi del Portogallo settentrionale e alle diverse espressioni del repertorio della chitarra da fado. Per chi intende conoscerlo meglio, segnaliamo che Silva ha all’attivo due album: “Contado à Guitarra” e “A Guitarra e as Violas” (dedicato ai cordofoni lusitani, dalla terraferma alle isole atlantiche). 


La serata è finita in un crescendo liberatorio con lo spettacolo dei Tabanka, combo della diaspora capoverdiana di residenza olandese; hanno fatto ballare con la loro declinazione contemporanea del funaná: energia assoluta creata da canto, gaita (organetto diatonico), batteria, percussioni, basso elettrico, chitarra elettrica e ferrinho (idiofono costituito da una barra metallica sfregata da una barra). 

 
Sempre il teatro Colorato ha ospitato sabato 20 il set di Sisa Michalidesová, apprezzatissima dalla critica locale, compositrice e flautista di estrazione jazz, si muove in una sorta di fusion etno-jazz, anche se la categoria le sta un po’ stretta (“Commedia” è il suo ultimo album). Ha suonato con una band di eccellenti musicisti, tra cui il suonatore di cimbalom moldavo Marcel Comendant (lo strumento ha amplia alla grande il profilo armonico delle composizioni), il fisarmonicista serbo Marko Kukobat, il chitarrista Pavol Bereza, il bassista Robert Vizvári e il batterista austriaco Klemens Marktl. Nella serata, ci si è spostati nel palazzo Zichy, storica residenza borghese ed oggi centro culturale cittadino, dove abbiamo avuto modo di ascoltare una delle sorprese della rassegna: il raffinato Guanaco Trio, formato da giovani musicisti che vivono a Buenos Aires ma hanno origini e provenienze diverse. Laura Urteaga è una porteña di origine catalana con studi a Barcellona e Basilea, Benjamin Aedo è un chitarrista cileno di Santiago, Owen Salomé è un bandoneonista australiano. I tre esplorano ritmi popolari argentini come chacareca, huayno e zamba, ma propongono anche proprie composizioni originali e di altri autori, tra cui Carlos Moscardini e Luis Chazarreta. Tre musicisti riuniti sotto lo stesso cielo musicale dei repertori argentini (come testimoniato dal titolo del loro album “Bajo un Mismo Cielo”, pubblicato nel 2022) che non potranno che crescere in termini artistici.


Clou della giornata l’esibizione del duo egiziano di Alessandria (ma di residenza francese) Tarek Abdallah (‘ūd) e Adel Shams el-Din (riq), di cui ricordiamo qualche anno fatto lo splendido album “Waṣla” (pubblicato da Buda). Compositore e musicologo il primo, esperto e rinomato percussionista il secondo, con alle spalle una lunga carriera (tra cui quella con l’Ensemble Al-Kindi di cui è stato un fondatore ed oggi è il prosecutore). La loro cifra distintiva è la formidabile fluidità di tocco e l’assoluto controllo della tecnica, l’accostamento di articolati cicli ritmici e le sequenze improvvisative che sono parte delle procedure delle musiche del mondo arabo, i passaggi virtuosistici mai fini a sé stessi, le accelerazioni e le necessarie pause di respiro sonoro che rendono ancora più profonda e partecipata questa musica d’arte. Insomma, la disinvolta maestria con cui consegnano le loro suite (waṣla, per l’appunto) intorno ai modi del maqām arabo (nella serata hanno esplorato il bayyati e rust) con il liuto a sette corde e il piccolo tamburo a cornice a sonagli: un recital sublime.


La giornata domenicale conclusiva del Festival (21 agosto) è iniziata al pomeriggio al Teatro Colorato, con lo showcase di Ildikó Kali (voce, chitarra, ukulele e loop), accompagnata da Peter Luha (chitarra, loop). L’artista di Trnava, proveniente da una famiglia musicale, è un nome di punta della scena indie slovacca, sfodera un timbro caldo e coinvolgente presentando il suo progetto dedicato al poeta romantico slovacco Ján Botto, di cui ha musicato le liriche, basate su storie, miti e leggende popolari, che sono diventate le otto “canzoni” dell’album a “Zlatá panna/Golden Maiden”, entrato nella rosa dei più importanti album world/folk per la Radio Nazionale Slovacca. Si intrecciano essenziali linee melodiche e sequenze armoniche che conferiscono un’ambientazione sonora contemporanea alle ballate e alle poesie dell’autore ottocentesco. 


Invece, i Varkocs sono un trio che da subito genera contrasti visivi sul palco: Eric Turtev, che ne è il fondatore, è un virtuoso dello scacciapensieri ma anche un efficace entertainer sciamanico vestito di pelli, Júlia Viktória Vaczulka (voce e tamburello) indossa i panni di una contadinotta slovacca in costume tradizionale, mentre Roman Turtev (batteria e percussioni) si cela dietro un inquietante saio e un cappuccio. Cantano temi popolari appresi sul campo nei villaggi e da fonti di archivio, presentando la molteplicità culturale e linguistica slovacca (slovacchi, cechi, ruteni e ungheresi) con attitudine hardcore punk e metal. Hanno realizzato in forma digitale l’album di debutto “Rye Island”: assolutamente da conoscere.


Per i concerti finali, ci si è spostati nuovamente nella chiesa della Clarisse, dove si erano aperti i giochi. Un altro aspetto del ventaglio di proposte artistiche slovacche è arrivato con il progetto Alapastel di Lukáš Bulko, un mix di ambient, sound designing, neo-classicismo, improvvisazione e arte visuale. Non a caso l’album più recente si intitola “Ceremony”, dove si fa appello alla ritualità sciamanica. Il pubblico apprezza, ma la dimensione meditativo-terapeutica appare l’elemento un po’ scontato di un progetto al quale ha portato una certa varietà l’ingresso nel finale del già citato coro Neha!. Dopo la consueta pausa tra un set e l’altro, è entrata in scena la star del cartellone, il chitarrista maliano Vieux Farka Touré, accompagnato da Marshall Henry al basso ed Adama Kone alla batteria e alle percussioni. Farka Touré inizia il suo concerto imbracciando la chitarra acustica e richiama più volte la peculiarità del luogo della performance. La prima parte della sua esibizione ci porta dritti dritti in Mali: Kone è impeccabile nel percuotere con estro il suo calabash, Henry è l’altro fondamento ritmico sui cui Touré appoggia i suoi arpeggi densi e sinuosi che portano il soffio del deserto sulle rive del Danubio; dimostra una tecnica impressionante da degno erede del padre e si conferma uno degli artisti più interessanti della musica maliana contemporanea.


Dopo una prima parte alla chitarra acustica, passa allo strumento elettrico, mentre il percussionista si sposta a un essenziale set di batteria. Il sound diventa ancora più incandescente e scintillante, crescono le affinità con il rock e il blues e il tutto diventa più cool. Canta e parla poco Farka Touré, tira diritto senza raccontare i temi sociali affrontati nel suo recente, splendido “Les Racines” (World Circuit). Touré chiede al pubblico di alzarsi e di ballare, ricevendo una risposta immediata ed entusiastica: degno finale con bis della festa del dialogo interculturale inscenata a Bratislava, un luogo della musica da mettere nella mappa dei festival delle musiche del mondo per la prossima estate all’insegna delle culture sonore.


Ciro De Rosa

1 Commenti

  1. Bellissimo reso-conto di un festival molto carino e simpatico che non può che crescere. Qualità umana, diversità musicale, in una città storica che va visitata. Grazie Ciro.

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