Jacopo Perosino – B.I.S. (Suoni Indelebili Records, 2022)

A quattro anni di distanza dal debutto “Retrò”, Jacopo Perosino torna con “B.I.S.” album nel quale ha raccolto undici brani, undici storie, intrise di resistenza, lotta e impegno civile che ruotano intorno al tema della paura, declinata in tutte le sue diverse sfumature e racchiuse nelle molteplici letture dell’acronimo del titolo. Co-prodotto con il polistrumentista siciliano Marco Corrao (chitarre, e-bow, Hammond, elettronica, soundscape, fisarmonica e cori), il disco vede il cantautore piemontese (voce, chitarre, pianoforte, piano Rhodes, melodica e cori) affiancato da alcuni eccellenti strumentisti come Alex Valle (steel guitar), Mimì Sterrantino (chitarre e tromba), Raffaele Kohler (tromba), Fabio Leone (basso) e Davide Campisi (batteria e percussioni) a cui si aggiungono le voci di Vea e Chiara Effe. Ad aprire il disco è la title- track (“Bis. E’ solo una parola. Vuol dire basta perdere tempo, basta parlare, dai, suona ancora. e mentre un Nazareno muore sulla croce e un medico argentino sogna la rivoluzione noi, dove cazzo eravamo? E non parlo di me, parlo di noi. Lo spettacolo è finito, vogliono il bis.”), immersa in una inquieta laguna di elettronica e squarciata dalle incursioni distorte della chitarra elettrica in cui si inserisce la tromba di Raffaele Kohler. A seguire, animato dalle medesime tensioni elettroniche, troviamo la swingante “Il Curatore” (“il Maestro sta ballando tutta colpa del Fernando, la folla è tipo processione che gli da l’estrema unzione. A volte parla con i muri e benedice gli insicuri, a volte sputa sui poeti in bianco e nero alle pareti.”) che si muove lungo un raffinato incastro fra pianoforte e contrabbasso. Altro episodio interessante è “Pioggia d’aprile”, col suo afflato nebbioso, rinchiuso in una muraglia di synth, con una languida linea di contrabbasso ad emergere e le aperture di un Hammond a dare respiro al ritornello. “Enzo” si snoda, ancora una volta, lungo l’incontro fra colori elettronici e stilemi più classici, regalandoci, anche in questo caso, un brioso jazz sorretto dai colori ovattati dell’Hammond, innervositi da uno splendido e blueseggiante solo di clavietta. “Fuga in papillon” è uno dei passaggi più delicati ed eleganti dell’intero lavoro, coccolata da un tenue Hammond e da una morbida linea di contrabbasso, con la steel guitar di Alex Valle a regalare colore. “Notte di Natale” (“Se un giorno conteremo i danni, stanchi di insultarci, mi ricorderò che hai il cuore grande degli elefanti, e talento nel rialzarti.”) poggia su un pianoforte denso di pathos, appena accarezzato da uno struggente contrabbasso. “Luci sudamericane” tratteggia uno degli arrangiamenti meglio riusciti dell’album, con gli ostinati degli archi sintetici a creare tensioni fra le profondità ricamate dall’elettronica, e le incursioni di una tromba lontana a dipingere di tenerezza il pezzo. A sostenere “Perro de toros” (“E infine, ostinatamente, incline al danno e più serafico di un pescatore ipnotico, ti vuole bene ma non sei il padrone di questa antica ossessione, che la balena bianca ti porta in fondo al mare: ma è meglio annegare o lasciarla andare?”) c’è un ben calibrato (anche nella voce) afflato caposseliano, a tratteggiare uno swing sghembo e secco, con un basso vorticoso ad accogliere gli sfiati variopinti della tromba. “Malanovia” (“I baci sono scambi animali, sono riti ancestrali di soffocamento, dietro scaffali e bancali quei due si consumano a spasmi e lamenti”) è scortata da una melancolica fisarmonica, a regalare alla canzone un respiro nostalgico e teneramente umido. Penultima traccia è “Lettera da La Higuera”, splendido omaggio a Che Guevara, qui raccontato da un cupo tappeto di synth, strappato da una chitarra elettrica arida e desertica. L’ultimo passaggio dell’album è “Spread the word (spargi la voce)”, un vero e proprio spiritual in inglese a tre voci (Chiara Effe e Vea, oltre allo stesso Perosino) intenso e perfetto nell’interpretazione. In conclusione, il ritorno di Perosino coincide con un disco fortunatamente politico, che racconta storie, uomini, passioni e tensioni. Nel booklet del disco, Jacopo si augurava che questa sua nuova avventura discografica potesse essere “selvaggia, libera e pasionaria”. Secondo noi c’è riuscito alla perfezione. 


Giuseppe Provenzano

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