Valerio Billeri – Er tempo cattivo (Folkificio, 2022)

Dopo che, nel 2019, ci aveva raccontato del “Er tempo bbono”, Valerio Billeri continua nella sua preziosa opera di riscoperta dei sonetti di Giuseppe Gioachino Belli. Lo fa “spostandone”, si licet, la prospettiva, aggiungendo una ulteriore sfaccettatura all’arte del grande poeta ottocentesco, approcciando il suo corpus poetico dal versante più oscuro, quello segnato dalla violenza della storia nei confronti dell’uomo, quello - non a caso - de “Er tempo cattivo”. Il lavoro è aperto dal decadente strumming acustico di “Er ferraro”, immerso in un acquoso mare di sintetizzatori e squarciato dai sanguinanti interventi dell’armonica. “Er cimiterio della morte” si snoda lungo le plettrate cupe della chitarra acustica, annebiate dagli interventi dei sintetizzatori e da una linea di basso terrosa ed incessante. A scandire “La Golaccia” ci pensa l’aridissimo slide di una chitarra acustica, innervosito dalle trame distorte di una chitarra elettrica e da un tappeto di synth straniante. A seguire troviamo “Le cose der monno”, segnata da un interessante intreccio fra il malinconico strumming della chitarra ed i fraseggi del banjo, con le tastiere a disegnare languide aperture. “La sovranezza” è uno dei passaggi più interessanti dell’intero album, con uno splendido incastro timbrico fra la furia acustica dello strumming e la sporca acidità dei fraseggi elettrici, ben legati da una linea di basso cupa e profonda. Giro di boa del disco è “Er caffettiere fisolofo”, sorretta ritmicamente, anche in questo caso, dalla chitarra acustica, animata dai fraseggi dei synth e dalle aperture dei cori. “Santaccia de Piazza Montanara” è animata da uno stanco arpeggio di chitarra classica, con dei synth alienati ad incupire l’atmosfera e gli sbreghi corrosivi di una chitarra elettrica a sporcare il finale. “Li parafurmini” è giocata su un brioso strumming acustico, sottolineato da una collosa linea di basso e da un coro che colora la dinamica. Colori molto meno allegri segnano “Li malincontri”, animata dall’andare tempestoso di una chitarra acustica e dalle trame tempestose del basso, con i fraseggi elettrici di una chitarra elettrica a pennellare di noir e gli interventi del coro a regalare ulteriore inquietitudine. “E Zzignore e Ccaino” affonda fra le trame paludose tessute dalla ritmica appassita della chitarra battente e dai fraseggi polverosi di un liuto rinascimentale. Anche “Li spiriti” cammina lungo gli intrecci costruiti da una ben amalgamata sezione di cordofoni, fra gli arpeggi della chitarra battente, le svisature di una tiorba e le profondità scavate da un basso avvolgente. A chiudere il disco ci pensa “Sora Crestina mia”, accompagnata, anche in questo caso, da uno stanco strumming di chitarra acustica, con le incursioni dei synth ad animare di melancolia l’atmosfera. In conclusione, l’operazione culturale continuata da Billeri si arricchisce di un capitolo interessante, con una ricerca filologica attenta ed accurata, che ci regala il Belli più politico e tematicamente cupo. Forse l’unica pecca è una certa somiglianza fra le dinamiche e gli arrangiamenti, che rischia di rendere il lavoro a tratti monotono, ma è pur vero che, per la durata delle canzoni, è un rischio facilmente scongiurabile. 


Giuseppe Provenzano

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