Band’abord è il realizzarsi di un’idea del cantante/chitarrista Ivan Appino, liutaio di professione che, innamorato di violoncelli, contrabbassi e chitarre, da qualche anno ha preso a tradurre le canzoni di Brassens in italiano. Ne interpreta una dozzina in questo cd formando il gruppo che nasce appositamente per cogliere l’occasione di rendere ennesimo omaggio all’immortale maestro chansonnier francese. L’ensemble, che gioca nel nome un po’ con la lingua francese, comprende oltre a Appino anche Viden Spassov al contrabbasso, Maurizio Verna a chitarre e ukulele, Alex Cristilli alle percussioni e Roberto Bongianino a fisarmonica, mandolino e bandoneon. Le composizioni originali, tutte oramai diventate dei classici universali, vengono talvolta spruzzate di un leggero jazz manouche, ne “L’Intrigante” la vocalità richiama al De André degli inizi, restituendo all’aria un po’ di quel che Fabrizio deve al suo primo modello, “Non è l’età a contare” riassume in quel suo quel leggero andamento popolaresco un motto profondissimo che andrebbe scritto ad ogni angolo delle strade: “Non è l’età a contar, magari! se si è coglioni, si è coglioni. Si può esser ventenni, ottuagenari, se si è coglioni, si è coglioni.” Questa la scelta delle canzoni presenti nel disco: La traîtresse (L’intrigante), L’orage (Il temporale), Hécatombe (Ecatombe), Brave Margot (Margot), Celui qui a mal tourné (Quello che diede di matto), L’amandier (Il mandorleto), Le temps ne fait rien à l’affaire (Non è l’età a contare), Je me suis fait tout petit (La bambola), Marinette, Les trompettes de la renommée (Le sirene della celebrità), Oncle Archibald (Zio Arcibaldo), Le petit joueur de flûteau (Il piccolo suonatore di flauto). Il mattino che Brassens se ne andò i gorilla rientrarono a testa bassa nelle gabbie, i breviari dei curati rimasero vedovi di petali, Don Juan riprese a sedurre solamente le belle ragazze e le trombe della celebrità furono rimesse alla bocca solamente per celebrare i brontolii dei primo imbecille che capita. Qualcosa andò alla malora nel regno dei sogni, anche il piccolo dio domestico che li governa sparì a gambe levate verso altri lidi. Tutti rimasero un po' orfani non solo nella piccola città d’acqua fra il golfo del Leone e l’Etang de Thau ma dappertutto. La sera che Georges se ne andò un battello uscì dal porto di Sète e invece di puntare verso l'alto mare, virò più umilmente di bordo dirigendosi lungo la spiaggia della Corniche lungo il terreno piatto di sabbia, ghiaia e silenzio presso la riva prima di lanciare tre lancinanti urli di sirena. Senza radio di bordo, senza macchine fotografiche, questo fu quel giorno l'omaggio discreto della popolazione locale, dei lavoratori del mare, dei suoi vicini di casa. Sono rimaste a noi la magia della scrittura, il rigore della lingua raffinata, la chiaroveggenza morale alla faccia di qualsiasi trappola modaiola. Sono rimasti dischi fonografici, iconografie forse ridicole di pipe, baffi staliniani, gatti mezzo addormentati. A qualcuno magari sarà rimasto anche l'imbarazzo della scelta tra un Brassens morto o un Brassens eterno ma l'ammirazione incondizionata non ha bisogno di scegliere. Anche lui aveva il più alto rispetto per chi lo ascoltava, sapeva bene che il successo e la gloria hanno alla base un malinteso, che salire su un palco è sempre e comunque un atto di presunzione. Per chiunque e anche per lui, nonostante l'anticonformismo e l'anarchia. Ma agli occhi delle future generazioni il suo posto dello nel XX° secolo sarà quello che nel XIX° occupò Pierre-Jean Béranger, lo chansonnier che per amore della sua arte finì due volte in galera e qualcuno ancor oggi in Francia considera al pari di Stendhal, Dumas o Victor Hugo. Grandi nomi scritti sui libri, certo, ma Hugo conobbe assai tardi la celebrità in vita, anche il mito nero di Rimbaud non trovò chi comperava la sua “Stagione all'Inferno”, Verlain morì in miseria, come Nerval e probabilmente come anche Villon. In fondo a Brassens non è andata poi così male anche se non è stata rispettata la sua volontà espressa nella celebre Supplica. In fondo Le Py non è un cimitero per turisti, non esistono piantine all'ingresso ad illustrare la posizione delle tombe, nessun addetto alle istruzioni, tantomeno in uniforme. E' comunque "il cimitero dei poveri" e qualche gatto gironzola sempre senza che nessuno osi pensare di cacciarlo via, scatenando le ire di Tonton Georges. E’ anche più vicino alle onde di quello detto “marino” che sovrasta Sète e in cui riposa l'amato Paul Valéry!
Flavio Poltronieri
Tags:
Storie di Cantautori