Shuluq Ensemble – The Dream of Ibn Hamdis (Visage, 2022)

Sembra scontato dire che il Mediterraneo è uno spazio di incontro tra culture, ma la realtà è che da lunghissimo tempo è un luogo complesso di intensa interazione, di spostamenti di popolazioni, di transiti, di relazioni economiche, di confronti, certamente di conquiste, di dominio imperialista e, purtroppo, di morte, ma anche prodotto dell’immaginazione, in cui la musica non ha assunto un ruolo secondario per confluenze, prestiti e assonanze che sono diventati sviluppi creativi, risorse culturali e ricerche di senso, che portano con sé, pure, “invenzioni” di pentagrammi. Su questa scia di portato storico e di suggestioni si pone lo Shuluq Ensemble, il cui nome viene dal “vento del sud” dai noi chiamato scirocco, che diventa metafora del respiro del “mare in mezzo alle terre”. È un trio allargato, per così dire, composto dal flautista di Naso (ME) Calogero Giallanza, concertista, compositore di colonne sonore, con un repertorio spazia dal barocco alla musica contemporanea sia in formazioni da camera che per flauto solista; da Andrea Piccioni (percussioni a cornice e a calice), maestro indiscusso a cui piace sconfinare tra generi, docente di percussioni tradizionali al Conservatorio di Termini Imerese e strumentista dei programmi culturali dell’Agha Khan Foundation; dall’algerino Salim Dada (chitarra, kwitra e voce), compositore, musicologo e grande esponente della cultura algerina con incarichi istituzionali. La quarta componente-ospite è la cantante marocchina Karima Skalli, anche lei artista dall’ampio curriculum discografico e concertistico, la quale ha ricevuto molti tributi nel mondo arabo per la qualità della sua voce, le abilità performative e l’impegno umanitario e spirituale. Il siciliano Giallanza, di formazione classica, non è nuovo a questo affascinante ponte sonoro, dal momento che il suo progetto di unire le due sponde del mare attraverso l’incontro tra musicisti del bacino del Mediterraneo ha origine nel 2009. A nome di Giallanza esiste un album del 2012, intitolato proprio “Shulùq. Suoni e ritmi del Mediterraneo”, dove troviamo anche il maestro dei tamburi Piccioni, e prima ancora il fiatista dei Nebrodi aveva preso il mare, incidendo “Thalassa” (2011), “Al muhda ilayy” (2007) e “Mediterranea” (1999), quest’ultimo in collaborazione con il chitarrista e compositore Luca Mereu. L’ensemble fa, dunque, confluire artisti di fama, dalla formazione e dalla pratica musicale molto diversa: musica classica europea, musica d’arte araba e musica antica (tutta da vedere l’intervista e l’esibizione al Musée du Bardo di Algeri del maggio 2015, diffusa da Dzaïr TV). “The Dream of Ibn Hamdis” propone nove composizioni, otto originali e un tradizionale algerino riarrangiato, cinque dalla penna di Dada, due di Giallanza e una di Piccioni. La trama compositiva sono i versi di Ibn Hamdis, che compaiono in due tracce. Si tratta di uno dei massimi poeti arabo-siciliani del XII secolo – nato a Noto – il quale, lasciata la Sicilia in seguito alla conquista normanna del 1078, si imbarca per Siviglia. I suoi versi raccontano l’esilio e sono un omaggio alla terra natìa, perché il suo peregrinare nelle terre maghrebine continuerà fino ad arrivare a Maiorca, dove morì a 77 anni nel 1133. Una poetica metafora della memoria dell’isola che evidenzia i legami con la cultura e la letteratura siciliana e che, ricordiamo, è stata esplorata in passato anche dai Milagro Acustico. Tuttavia, non sono solo l’aspetto testuale e il messaggio di accoglienza che rendono “The Dream of Ibn Hamdis” (inciso nel 2019, ma che vede la luce per Visage nel 2022) un lavoro di interesse, perché anche le musiche rappresentano una confluenza di idee e di storie. Se è vero, infatti, che flauti e tamburi rappresentano strumenti che hanno suonato insieme fin dall’antichità, è una vera e propria sfida portarli in un contesto musicale di espressione contemporanea, attingendo naturalmente alle tradizioni d’arte e popolari con una combinazione timbrica non ordinaria, considerato l’apporto del liuto arabo (nella variante denominata kwitra, diffusa soprattutto in Nord Africa per disposizione delle corde, a quattro ordini, testa del piolo meno angolata e decorazione dei bordi) e della chitarra acustica. Va detto anche che l’uso del flauto traverso e, soprattutto, del flauto basso aprono panorami timbrici inediti. Si parte da Malta, “Mnajdra”, è uno strumentale – con i suoi oltre nove minuti è il tema più lungo dell’album – che nel titolo richiama un antico sito archeologico maltese dal quale, ascoltando il vento, si guarda l’orizzonte per “captare” echi delle antiche civiltà. Flauto basso e kwitra sviluppano la composizione, accompagnati dal tamburo a cornice e altre percussioni. La bellezza del canto accorato di Karima Skalli entra in “Behind the Sea”, che musica per l’appunto una lirica di Ibn Hamdis sulla separazione e lontananza (“O mare, al di là di te c’è un paradiso/In cui sono stato vestito di gioia, non di miseria/ Mentre lo cercavo al mattino/Tu stavi tra noi la sera/Se mi fosse concesso ciò che voglio/Mentre il mare impediva il nostro ricongiungimento/Salirei sulla mezzaluna, come una barca/fino ad abbracciare il sole scintillante”). Fortemente espressiva la successiva “Histoire de la montagne d’olivier”, brano per chitarra e tamburello, scritto da Salim Dada, sorprendente per le danzanti venature “celtiche”. In “Maremosso” è Andrea Piccioni a condurre con estro improvvisativo, contornato da chitarra e flauto basso. “Ritu Riyadh” è un testo tradizionale algerino su musica composta da Dada che canta accompagnandosi alla kwitra, mentre in “Siciliana” Giallanza racconta in musica la sua isola di origine, tra solarità e malinconia di terra anelata dai tanti che cercano di raggiungerne le sponde. Il brano è una testimonianza dell’espressività melodica del flautista, qui accompagnato da chitarra, tamburello, sansula e voce, e della sua cifra artistica che abbraccia differenti mondi sonori. La chitarra è solitaria in “Istikhbar” (di Salim Dada), tema che sposta l’ago della bussola sonora verso la tradizione arabo-andalusa. La gioiosa “La ballade méditerranéenne”, ancora dalla penna di Dada, è una libera esplorazione delle culture musicali del Mediterraneo. Infine, “Nwiba Skallia” propone ancora i versi di Ibn Hamdis (“La passione ha sparso a sua volta il sigillo delle mie lacrime/Volevo soffocare le braci, ma ancora bruciano/Non sapevo che quelle lacrime avessero dentro/Ciò che aiuta il fuoco ad accendere le fiamme, una volta gridato”), adagiati su una struttura musicale che riprende le procedure della nouba arabo-andalusa. Note preziose per parlare di comunanze antiche con sguardo contemporaneo, di gocce poetiche universali su un mare oggi sempre più tragico approdo negato. 

 
Ciro De Rosa

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