Alberto N.A. Turra | Peppe Frana – Jinn (Felmay, 2022)

Questo è uno di quei rendez-vous che non ti aspetti, un atipico combinato strumentale di chitarra elettrica e ‘ūd, originatosi dall’affinità avventurosa tra Alberto N. A. Turra e Peppe Frana, due anime saldamente erranti, nel senso che sono artisti in possesso di precise coordinate stilistiche: per l’improvvisatore Turra, compositore e arrangiatore, le frequentazioni downtown newyorchesi, per Frana una prospettiva diacronica che lo porta a esplorare l’universo delle musiche modali, dalla musica antica alle culture musicali del Vicino Oriente. Però siamo di fronte anche a due artisti visionari, propensi a far vagare l’immaginazione. Si sono messi sotto l’egida di una creatura sovrannaturale, il “Jinn”, spiritello a volte dispettoso, se non crudele, a volte bonario nelle scritture coraniche, nelle fiabe e nei proverbi, ma sempre custode di una sapienza nascosta. Il loro è un dialogo fra suoni possibili, che diventa una trama tensione persistente e seducente, dove non si è cercato la giustapposizione ma una reale compenetrazione. Ne parliamo con questi due artisti multiformi e non convenzionali. 

Cosa sapevate l’uno dell’altro prima di incontrarvi?
Peppe Frana - Ben poco. Ho ascoltato per puro caso un lavoro di Alberto, “Azimuth”, e mi è piaciuto così tanto da volerlo incontrare.
Alberto N.A. Turra - Dopo aver ascoltato quel lavoro mi scrisse, ci incontrammo, mi aiutò per una data del mio tour in solo e iniziai a capire la profondità delle rispettive psicopatologie, 
quali quelle comuni e quando avrebbe avuto senso fissarle su disco.

Alberto, avevi già incrociato l’’ūd, nel tuo percorso artistico?
Alberto N.A. Turra - Sì, l’ho studiato abbastanza intensamente per circa un anno e mezzo, folgorato dalla sequenza sulla comunità rom del documentario “crossing the bridge: the music of Instanbul”. Lo abbandonai perché, a proposito del potere del Jinn, sentivo che mi stava coinvolgendo moltissimo togliendo quasi tutto lo spazio agli altri studi quotidiani. Incontrato Peppe ho pensato “bene, se lui suona in quel modo io sto a posto così”.

Come è nata la collaborazione e l’idea del disco?
Peppe Frana -  Era un’idea che mi frullava in testa da quando ho ascoltato la musica di Alberto, sia per la manifestazione di certe influenze comuni che avevamo scoperto di avere: Zorn, certo heavy metal, sia per il suo approccio a linguaggi più lontani da quello che mi è congeniale, in particolare il jazz. Alla prima occasione abbiamo suonato insieme in concerto ed è stato subito chiaro che sarebbe diventato un disco.
Alberto N.A. Turra - “Albè, dobbiamo fare un disco insieme!” Io gli risposi: “Naturalmente” o giù di lì. Quando mi disse così avevamo già approfondito e verificato (inteso come ascolto attento delle cose reciproche) che avremmo potuto lavorare bene e veloci, Peppe aveva tutta l’aria di sfrondare esattamente le stesse inutilità che abitualmente elimino io.

C’è una chiave di lettura dell’album?
Peppe Frana -  Direi di no, non è un disco concettuale. È l'incontro di due musicisti, dei loro suoni e dei loro linguaggi musicali, reso singolare dal fatto che l’interazione tra l’’ūd, e la chitarra elettrica non è stata molto esplorata finora. La morale della favola è che trovare una fusione che non sia una semplice giustapposizione richiede un lavoro, che può essere più o meno facile. Con Alberto è stato facilissimo.
Alberto N.A. Turra - Vero, non lo è, cioè non è nato con particolari idee preliminari; va detto però che a posteriori si colgono evidenti storie (o stralci di) e la cura che ognuno ha messo nelle composizioni dell’altro è comunque segno di una profonda consapevolezza di cosa significhi ascoltare, il senso dell’equilibrio, il senso della forma: roba che entrambi abbiamo acquisito prima di “Jinn”, ma che raramente viene richiesta ai livelli che abbiamo espresso. In questo senso Peppe dice “facilissimo”, è stato spontaneo, sì, ma frutto di un’enorme disciplina individuale.

Come è che avete scomodato il “jin” o i “jinna”?
Peppe Frana - Chiaramente è un riferimento all'immaginario del mondo islamico, da cui lo strumento che suono proviene e in particolare alla sua parte più magica, aleatoria e in un certo senso oscura, tutti elementi che in qualche modo ritrovo nelle nostre atmosfere musicali. Il Jinn è quell’essere che ti permette di sovvertire l’ordine naturale delle cose e di ottenere quello che desideri, anche se quasi sempre con conseguenze imprevedibili. Ti ricorda di stare attento a ciò che desideri perché potresti ottenerlo.
Alberto N.A. Turra - È stata un’idea di Peppe che mi ha fatto sballare: forse Peppe allora sapeva dei miei interessi in mitologia comparata o forse no, sta di fatto che accolsi con grande entusiasmo la proposta, irrinunciabile per me devoto di Legba e Erzulie. Scoprii dopo che Peppe, da grande, avrebbe voluto fare (anche) lo storico delle religioni.

Avete cercato di più la compenetrazione timbrica o la tensione tra due strumenti così diversi?
Peppe Frana - Fusione e tensione sono due facce della stessa medaglia, Alberto è un chitarrista elettrico atipico nell'avere una palette di suoni minimale e molto connotata, quasi come quella di uno strumento acustico. Io ho fatto un passo verso di lui utilizzando l’’ūd, amplificato con un piezoelettrico, equalizzato e in qualche caso compresso in maniera volutamente “innaturale”.
Alberto N.A. Turra - Penso che in realtà questi strumenti siano parenti molto stretti e che la spontaneità dell’integrazione timbrica sia dipesa da quanto sono simili i nostri modi di usare la mano destra. È una questione di voci. In fondo, sullo strumento abbiamo la voce molto simile (mano destra) e questo compensa quel che strutturalmente allontana l’’ūd, dall’elettrica.

Come avete costruito i brani?
Peppe Frana - Buona parte dei brani hanno una struttura tema-improvvisazione-tema, i dettagli di alcune sezioni sono figli delle versioni live che ci sono sembrate meglio riuscite. Per alcuni brani la versione, per così dire, definitiva è nata nel momento in cui è stata registrata.
Alberto N.A. Turra - Prima citavo la comune e molto simile capacità di sfrondare. Pochi tentativi ma molto ben assestati hanno dato la forma che si sente nel disco. Nei concerti successivi alla pubblicazione naturalmente alcune cose sono già cambiate e così sarà sempre di più immagino.

E la scaletta? Quattro composizioni sono state registrate live e tre in studio il giorno dopo. Quanto ha inciso il live sull’approccio in studio?
Peppe Frana -
In realtà l’ultima sessione di registrazione è avvenuta in una sala non sonorizzata dove Alberto insegna, in takes uniche e con un pubblico di ben due persone incluso il nostro fonico Simone, quindi considero un live anche quella!
Alberto N.A. Turra - (ride, ndr) Volevamo avere un giorno “safe” per avere takes che potessero sostituire eventuali scelte “impresentabili” dei cosiddetti live ma alla fine abbiamo verificato con una risata che l’energia espressa è stata identica.

In cosa siete simili e in cosa diversi nel vostro approccio musicale?
Peppe Frana - Sicuramente quello che trovo familiare nel modo di suonare di Alberto è la chiarezza ritmica del fraseggio e il modo di suonare assertivo. Diversi nel gusto melodico e in generale nel vocabolario musicale.
Alberto N.A. Turra - Come dicevo prima simili le nostre mani destre (ritmica e voce strumentale), diversi gli istinti culturali evidenti nel fraseggio e diversi i modi compositivi, io arrivo dal blues, dal jazz/improvvisazione radicale e dal buon meticciato (leggi avant e crossing over), Peppe studia e suona tutto ciò che ha corde a est di Cava de’ Tirreni.

Cosa avete scoperto l’uno dell’altro nel work in progress?
Peppe Frana - La scoperta più piacevole è stata che la musica non è il nostro unico argomento di conversazione, men che meno la musica che facciamo noi.
Alberto N.A. Turra - Scavare nel torbido passato di entrambi è il passatempo preferito, pare.

Peppe, nel mare delle musiche modali, dove hai rivolto lo sguardo per questo album?
Peppe Frana - Ho iniziato lo studio della musica modale con l'‘ūd,  e in particolare con lo stile e il repertorio turco-ottomano, “Jinn” è anche l'incontro tra il mio primo strumento, la chitarra elettrica, e lo strumento che mi ha fatto decidere di suonare di mestiere.

C’è un brano che più di altri rappresenta il vostro dialogo?
Peppe Frana - Voto “Trevor” o l’ilahi “Ah Nice Bir Uyursum”.
Alberto N.A. Turra - Per me “Kelebek” e “Cellule”

Vi siete divertiti?
Peppe Frana - Come due cretini.
Alberto N.A. Turra - Di brutto.

Pensate che ci possa essere un seguito a “Jinn”?
Peppe Frana -  Deve.
Alberto N.A. Turra - In šāʾ Allāh.

Dal vivo i vostri cordofoni hanno incontrato pure i clavicembali di Catalina Vicens. Che è successo?
Peppe Frana - Catalina è stata abbastanza pazza da tenere un concerto per ‘ūd, e chitarra elettrica nel museo che dirige (San Colombano, Bologna), che ospita una delle più importanti collezioni di tastiere 
storiche. Pensavamo quantomeno di perplimere il pubblico abituato a tutt'altre sonorità; invece, stato un bellissimo concerto e ha incluso un'improvvisazione a tre con alcuni degli strumenti della collezione, non è detto che non la pubblicheremo in qualche forma.
Alberto N.A. Turra - Lo spero tantissimo, è stata registrata musica davvero improbabile.

È difficile proporre “Jinn” nel contesto festivaliero e concertistico italiano? 
Peppe Frana - È presto per dirlo, il disco è uscito nella tarda primavera quando i calendari estivi di entrambi erano già abbastanza affollati ma stiamo lavorando per proporlo dal vivo il più possibile. È musica strana ma sono fiducioso, poi in Italia è sempre molto complicato suonare nei festival se non ne dirigi qualcuno anche tu.
Alberto N.A. Turra - Sarebbe una grande occasione per qualunque festival, in effetti, gli ingredienti di questo duo sono oggettivamente inediti.


Ciro De Rosa

Alberto N.A. Turra | Peppe Frana – Jinn (Felmay, 2022)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Il 28 gennaio il concerto curato da Catalina Vicens al Museo di San Colombano di via Parigi a Bologna prometteva di rispondere a due domande: Gli strumenti antichi possono suonare musiche di oggi? E strumenti di differenti tradizioni come interagiscono se affiancati tra loro? La possibile risposta coinvolgeva la stessa Vicens, mettendo in gioco nel concerto macchine sonore donate dal clavicembalista Luigi Ferdinando Tagliavini, insieme alla chitarra elettrica di Alberto Turra e all’‘ūd di Peppe Frana (ospite anche di un altro album Felmay, “A World of Lullabies” del chitarrista milanese Val Bonetti). Già due anni prima, senza coinvolgere il clavicembalo, Alberto Turra e Peppe Frana avevano registrato una prima risposta che teneva efficacemente in tensione parti scritte e dimensione improvvisativa. Quel brano, “Jinn”, è incluso e dà il titolo al loro album registrato e mixato da Simone Pavan per la Felmay. Un progetto che viene da lontano e ha preso corpo sonoro in due contesti diversi: in un concerto dal vivo a Milano, a La Scighera il 29 gennaio (il giorno dopo la tappa bolognese), da cui sono tratti quattro brani, e il 30 gennaio alla Certosa di Garegnano. Questo doppio contesto rende ulteriormente interessante l’album, che trae vantaggio sia dall’interazione col pubblico sia dall’intimità della seduta in duo. Ad aggiungere ottimi ingredienti c’è anche la scelta del repertorio: tre brani sono stati scritti da Alberto Turra (“Trevor”, “Cellule”, “Hijacking”), due da Peppe Frana (“Kelebek” e “Prima Fiamma”) e due sono brani dalle tradizioni armena e turca. E qui i confini fra ieri e oggi, e fra differenti tradizioni strumentali si fanno meno netti, dato che le composizioni recenti sono perfettamente in grado, quando lo desiderano, di offrire cornici e melodie “tradizionali”, così come la dimensione elettrica può essere fatta propria e in modo diverso da qualsiasi strumento. A modo loro, i due brani “tradizionali” permettono di cominciare a prendere le misure alla felice intesa musicale che caratterizza l’album. L’armena “Aparani Par” arriva esattamente a metà dei sette brani e si apre con un’ispirata introduzione di ’‘ūd che progressivamente intensifica il ritmo della pennata offrendo un sicuro approdo anche per la chitarra elettrica e per lanciare insieme questa danza, qui il riferimento è ad Aparan, regione a nord di Yerevan e alla stagione dei raccolti, con accenti da sempre intesi per un cerchio che si muove insieme (in genere verso destra) in 5/8. I dieci minuti in cui si sviluppa il brano raccontano un coinvolgente crescendo (cui il pubblico risponde, nel finale, con energia) che mette in luce l’abilità del duo nel creare contrappunti fra le sonorità affini e pur ben distinte degli strumenti, restando fedeli alla struttura di base, ma senza dimenticare che il cerchio dell’“Aparani Par” rimane sempre aperto e, così come quel cerchio viene impreziosito da movimenti con le mani che sono unici di quella regione, così i timbri e la carica R&B della chitarra di Turra rendono unica questa versione, fino all’armonico che fa brillare l’ultima nota. “Ah Nice Bir Uyursun” ruota intorno ad un poema di Yunus Emre e arriva dopo uno dei brani più “aperti”, gli otto minuti di “Hijacking” in cui si rincorrono la sintonia e la capacità di correre rischi dei due musicisti che proseguono insieme condividendo l’introduzione a “Ah Nice Bir Uyursun”. Poi, dopo un minuto, gli unisoni restituiscono l’incedere di una carovana che avanza: la canzone in questo caso è interpretata solo strumentalmente, ma sullo sfondo viaggia l’eco dei versi di Emre che riprendono una metafora religiosa: “Oh, dormi bene, non ti svegli?/La carovana è migrata e noi siamo rimasti in cima alle montagne./Chiamano, non senti?/La carovana è migrata, noi siamo rimasti in cima alle montagne”, a dar voce al momento in cui si realizza di essersi allontanati dalla “fede”, di essere rimasti “scoperti”, soli sulle montagne, luogo di pericoli. Ebbene, questi “pericoli” vengono qui affrontati piacere ed energia, un po’ come due ciclisti in fuga che sanno sempre quando è il momento giusto per dare il cambio al compagno, per leggerne le idee e portarle lontano.  C’è da augurarsi che questo sodalizio possa continuare a viaggiare.


Alessio Surian

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