Jabil Kanuteh | Marco Zanotti – Are you strong? (Brutture Moderne, 2022)

A due anni di distanza da “Freedom of movement”, il griot gambiano ma di base a Fano Jabil Kanuteh e Marco Zanotti, polistrumentista faentino già direttore di Cucoma Combo e della Classica Orchestra Afrobeat, tornano ad incrociare le loro strade, regalandoci “Are you strong?”. Il titolo del lavoro, già fortemente evocativo, riprende il nome di un gioco di carte popolare nell’Africa dell’Ovest, declinandolo, però, nelle sue venature più esistenziali. Ad aprire il disco è proprio la title- track, scandita dai variopinti arabeschi di tastiere (Federico Squassabia) e sax (Gianni Perinelli) e dai richiami della kora, che poggiano su un pattern ritmico vorticoso ed irrefrenabile. “Saabu” si muove su colori ritmici meno tempestosi, con una sinuosa linea di basso a fare da collante fra gli arpeggi ostinati della kora e le lisergiche follie in e-bow della chitarra di Stefano Pilia. “We want to dance” tiene perfettamente fede al titolo, scatenando le sue tensioni ritmiche in un crescendo ipnotico, con le trame ricamate dalla kora ad intrecciarsi ai deliranti fill della batteria. Atmosfere decisamente più languide ci accolgono su “Beh Mang Wonoo”, sorretta da una ossessiva linea di basso, su cui kora e mbira distendono le loro imprevedibilità soliste. Anche “Chemutengure” segue colori più tenui, annegando nei mari di elettronica disegnati da Fabio Mina, che impreziosisce ulteriormente il pezzo con i freschi svolazzi del suo flauto, costruendo un meraviglioso incontro con i fraseggi della kora ed i tappeti ritmici della mbira. “Itele Bensambala” ci riporta all’Africa in modo minore, quella secca e tribale, con un pattern ritmico desertico e sabbioso, segnato dalle trame secche di un tama e dai ripidi arpeggi della kora, con gli interventi della mbira che sono pioggia su questa massa di aridità. “Masaneh Ceesay” si trascina stancamente lungo le trame polverose del violoncello di Francesco Guerri, un andamento ritmico blueseggiante e gli interventi della kora a scortare la coda strumentale. A chiudere il disco ci pensa “Nna Mbenalaleh”, che gioca, briosa, con un florilegio di percussioni, poggiate su un’accogliente linea di basso, e con le esuberanze della kora. In conclusione, come spesso accade in questi casi, ci troviamo all’ascolto di quella che è una vera e propria fotografia di un popolo e di un mondo, che diventa, a sua volta, perfetta cartina tornasole di un modo di vivere (e sentire) la musica, capace di partire dalle proprie radici, per superarle e ritrovarle nello spazio di un fraseggio o di un ostinato ritmico. Insomma, Kanuteh e Zanotti ci hanno regalato un lavoro splendido, alto esempio di paesologia musicale. 


Giuseppe Provenzano

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