Deep Med: tecniche e strumenti migranti. La tradizione nel moderno (parte seconda)

Gaita gallega
Sul principio del millennio in corso, a Santiago de Compostela mi presento dal liutaio costruttore di gaite galiziane o gaita de fol. Si chiama Lois Mourinho. La gaita galiziana all’interno della infinita famiglia degli aerofoni a sacca è una delle più duttili, pur mantenendo una sua ferma linea di continuità con la tradizione seicentesca. Non ha lo charme agropastorale delle sue cugine delle valli bulgaro macedoni ma ha una tenuta tecnologica (diciamo così) nel senso di rapporto tra efficienza e uso, davvero straordinaria. Si compone di una canna melodica conica ad ancia doppia, il chanter (punteiro) con una nona circa di estensione. C’è poi un bordone cilindrico ad ancia semplice (roncòn) e di una seconda canna di bordone più acuta, detta ronqueta. Talvolta può aggiungersi un terzo bordone detto ronquillo. Ho studiato a lungo le tecniche tradizionali sullo strumento, ma il cambio vero è stato quello di “trasmigrare” la mia tecnica sassofonistica e dunque gli arpeggi a progressione, laddove possibile, ma anche sistemi semplici di portare la melodia sostituendo lo staccato con diteggiature capaci di effetti simil/staccato. Per dire comunque che la modernità - non per forza positiva semmai ineluttabile - consiste – in questo discorso che stiamo facendo – anche nella migrazione delle tecniche da strumenti a strumenti. Tecniche classiche che si innestano su strumenti tradizionali e viceversa. In occasione di un concerto con Jivan Gasparyan in uno dei più grandi festival di douduk in terra di Armenia nella cittadina di Gyumri sotto l’Ararat, incontrai moltissimi clarinettisti che mutuando la loro tecnica (fin dove era possibile) sul dudouk riuscivano a suonare su questo Bach, Vivaldi, Chopin ed Hendrix. Erano formazioni di quartetto e quintetto con dudouk a varie dimensioni, bassi, tenori e soprani.


Un frammento di un dialogo rubato tra la Gaita Gallega e la zampogna sicula a paro del grande Orazio Corsaro.

La chitarra battente
Ho una grande rispetto per la chitarra battente. È uno strumento con infinite possibilità. Uno strumento passato a partire dal XVIII secolo dai fasti più antichi della chitarra barocca ad elementare (il più delle volte) accompagnamento del canto contadino del nostro Sud. Cinque ordini di corde doppie e una interessantissima e modernissima risonanza. Ho avuto conoscenza diretta e collaborazione con due assi certamente dell’innovarsi della battente. In primis Francesco Loccisano un fuoriclasse che sta innovando tecniche e, con il merito di un costruttore d’eccezione quale è il liutaio Sergio Pugliesi di Scilla, migliorando l’organologia dello strumento rendendola più plastica, affinata e garantita. E poi a seguire, per età,  ho invitato a collaborare un giovane pezzo forte della chitarra contemporanea – con tanto di acclamati studi classici - e della battente: Alessandro Santacaterina. Approfittando anche della raffinata capacità di lettura della partitura che possiede il giovane Santacaterina l’ho inserito nella esecuzione di una mia Opera – prodotta da tre grandi teatri Europei – nel 2020/21. È stato un buon risultato, intanto per il successo dell’Opera davanti ai pubblici europei della Classica ma soprattutto – relativamente a quanto stiamo dicendo – perché abbiamo inserito uno strumento folklorico facendolo muovere - a pari - con la comunità organologica classica ovvero archi, ottoni, timpani, legni ad ancia e doppia ancia, tutti organizzati nella medesima partitura. Nella stessa partitura, tra l’altro, se pur veicolati da una lezione di Berio, ho riutilizzato elementi minimalisti del canto pigmeo subsahariano per quartetto d’archi e ensemble fiati. Un altro uso e utilizzo della trasmigrazione di tecniche e andamenti in contesti diversificati. 
L’Opera “Che ne sai del Futuro?” su libretto di Sandro Cappelletto ha girato e tornerà ad essere presente in alcuni dei migliori teatri europei a partire dall’autunno 2022. 


Santur, Iran
Il più interessante e – per la sua anima migrante per eccellenza – uno dei più moderni è proprio il santur persiano. Strumento antichissimo inventato e sviluppato nell’antica Mesopotamia tanto da ritrovare segni di esso su incisioni del 700 AC. È uno strumento che via via si è diffuso prima nel Medio Oriente e poi fino alla Cina con lo yangqin, è diventato hapsichord, il qanun, il cembalo e il dulcimer. Cento e più corde tese su una cassa di risonanza. Corde percosse da bacchette (mezrab) adeguate estremamente leggere (4 gr), lunghe circa 20 cm, con una punta ricurva, rivestita occasionalmente di feltro. Sembra che lo stesso Pitagora abbia misurato le perfette intonazioni su un antenato del santur, il qanun, per la realizzazione della scala pitagorica appunto, così almeno riportano i trattatisti medievali. Rimane il fatto che per struttura e articolazione libera delle corde il Santur è oggi uno strumento che riesce molto a inserirsi nell’identità musicale contemporanea con in prestigio di un giovane vecchio antichissimo. La particolarità di poter suonare più corde contemporaneamente oppure come "accordo aperto" fornisce una ricchezza di risonanze e di armoniche. Poiché niente ferma la vibrazione della corda, vi è un sustain molto lungo (circa 20s) e si crea una forma sfalsata in modo consecutivo: tutto ciò rende il suonare lo strumento piuttosto complicato, perché una nota o i suoi armonici. (da Wikipedia)
Con questo strumento e con un suo speciale giovane maestro Alireza Mortazavi abbiamo esplorato diverse possibilità di migrazione dei linguaggi e delle tecniche. (fine parte seconda - segue)


Luigi Cinque 

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