Otto anni di distanza dal precedente “Diamonds in The Water”, otto anni in cui i componenti della band non sono rimasti a poltrire: il tour in trio dei tre fondatori, Telfer, Prosser e John Jones sotto il nome di Oyster3, l'album "Ragged Kingdom" con June Tabor e i relativi concerti, i cambi di formazione (con il forfait dello storico bassista Chopper e quello recentissimo del batterista Dil Davies), la malattia di John Jones, brillantemente superata, e il suo impegno con il side-project “The Reluctant Ramblers” e l’uscita di una compilation retrospettiva con brani inediti e ri-suonati per l’occasione.
“Read The Sky” è fondamentalmente un disco di canzoni, tutte belle, senza cali di pathos e qualità nei quaranta minuti di durata dell’incisione. Con un sound assai lontano da quel folk-rock venato di punk che ha caratterizzato i loro dischi più belli dei primi anni ’90 (i superbi “Holy Bandits” e “The Shouting End of Life”), e che ha ispirato parecchie band in tutta Europa, il nuovo lavoro si attesta su un rock elettro-acustico che ricorda le incisioni recenti di Richard Thompson, dove il violino di Telfer e la chitarra (spesso acustica) di Alan Prosser, fanno da perfetto contraltare alla voce del leader John Jones, sempre splendida e addirittura migliorata dai segni del tempo, il quale riserva l’uso del suo melodeon, un tempo marchio di fabbrica della band, alle sole “Star of The Sea”, il brano più acustico dell’album, e all’ipnotica “Streams of Innocence”. L’album inizia subito con due brani che rimangono in testa: “Born Under the Same Sun” e “The Corner of the Room” con gradevoli echi byrdsiani; segue il sing-along di “Roll Away”, sorta di moderna sea-shanty con il violino di Ian Telfer e il mandolino di Prosser in evidenza: uno degli episodi migliori, in un disco di brani tutti notevoli.
Ancora più bello il brano successivo “Wonders are Passing”, con gli archi di Telfer e del nuovo violoncellista Adrian Oxaal a sottolineare la bella melodia del cantato. Poi ancora su ottimi livelli “Fly or Fall” con ancora gli archi in grande spolvero, caratteristica che sembra essere il marchio di fabbrica dell’Oyster-sound del nuovo corso. E si sale ancora di intensità con “My Son”, testo bellissimo dove un padre augura alle generazioni successive di imparare a usare la parola e la penna e a non aver mai bisogno delle armi e ancora cello e violino a strutturare il drive ritmico. Dopo “Hungry for the Water”, con un decorosissimo Alan Prosser alla voce solista, si riprende con l’acustica “Star of The Sea”, eseguita dai soli Prosser e Jones e “Stream of innocence”, il brano più world della raccolta, dove blues, aromi africani e il sapore tipicamente morris-dance del melodeon danno vita ad un brano ipnotico e trascinante.
A chiudere “The Time is Now”, che ha anticipato l’uscita del cd, che mostra come i nostri sappiano ancora come si suona dell’ottimo rock.
Un modo eccellente per festeggiare i 45 anni di attività con un album imprescindibile per i fan del sestetto, ma con un sound attualissimo che conquisterà anche chi si accosta per la prima volta alla storica band inglese.
Gianluca Dessì
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