Pippo Pollina – Canzoni segrete (Jazzhouse Records/Storie di Note, 2022)

Il ventiquattresimo capitolo dell’avventura discografica di Pippo Pollina, cantautore palermitano da anni di base a Zurigo, considerato fra i più raffinati ed apprezzati della sua generazione, si presenta come un lavoro programmatico a partire dal suo stesso titolo: “Canzoni segrete”, dai tratti quasi clandestini, dense di quel sano artigianato musicale di cui Pippo è esponente. Ed è proprio seguendo il solco della purezza artistica e della necessità comunicativa che le quattordici tracce dell’album (tredici inediti più una riproposizione di “Leo”, pezzo del ’94, scritto insieme a Geroges Moustaki, e qui reinterpretato con Cèlia Reggiani) fra Everest letterari e ricerche sonore, prendono il volo. A cominciare da “Una musica anche domani” (“Ci sarà una musica anche domani, ci salverà, ancora lo farà”), poggiata su una delicata spina dorsale di pianoforte, colorata da una sinuosa linea di basso e dai volteggi della sezione fiati. Splendide le nuances blues di “Come quando cristo fuori piove” (“E piove, piove, piove, che non me le manda a dire, e non risparmia neanche dieci lire. E accende una candela sui resti del mio cuore che annaspa e reclama l’ascensore”), con i fraseggi di chitarra elettrica ad annegare dentro laghi di Hammond e sposarsi perfettamente con la voce, calda e scura, di Pollina. Di tutt’altra atmosfera è “Scacciaferro” (“Lo sai che non è più la stessa luna che disperata ci offre il suo mistero, che s’alza sulla cima della duna e si perde tra le curve di un sentiero”), sostenuta da un densissimo pianoforte, magnificamente squarciato dai fraseggi di una tremante fisarmonica e dalle eleganti incursioni di un violoncello. Altro episodio interessante è “Guarda, scende la neve”, brano sostenuto da un raffinato strumming di chitarra, contrappuntato, anche in questo caso, dalle svisature distorte di una chitarra elettrica. “Come una felicità improvvisa” (“Come un fiore che sorride fra le pietre, il catrame e l’anidride. Come un bambino che gioca mentre brucia il mondo, che a salvarlo sarà proprio questo girotondo”) è, probabilmente, uno dei passaggi più belli dell’intero album, in equilibrio perfetto fra malinconia e poesia, con un solo di chitarra elettrica a dilaniare le trame tessute da chitarra acustica e piano, contrappuntate a loro volta, da un colorato caleidoscopio di fiati. Su “Abbiamo tutti” (“Chi ha tolto un giorno i libri dalle mani per ridurci come schiavi nullapensanti suburbani?”) incontriamo i colori più terrosi e popolari del folk, con un misuratissimo pattern di batteria giocato su un rullante spazzolato, gli intrecci arpeggiati di una chitarra acustica e gli arzigogoli solisti di un violino cristallino. Giro di boa è “Prendila se vuoi” canzone che cammina lungo i binari sinfonici orchestrati da una magnifica sezione archi e da una imponente sezione fiati, sapientemente scortati dagli arpeggi del pianoforte. Su “Senti le cicale” (“Senti come rugge quel traffico che lancia le sue schegge, che riempie piazze, promontori e spiagge. Genio e cardiopatia”) è subito da segnalare la bellezza profonda del coro maschile che colora il ritornello, ben incastonato in un episodio dai ritmi quasi nervosi della linea di basso e del levare della chitarra, alleggeriti solo dalle aperture di archi e fiati. “Pizzolungo” è uno dei momenti di maggiore tensione emotiva del lavoro: si racconta della strage di Pizzolungo, dell’aprile ’85, quando un’autobomba piazzata da Cosa Nostra, e destinata ad uccidere il giudice Carlo Palermo, stroncò le vite di Barbara Rizzo e dei figli, Giuseppe e Salvatore Asta. Qui a sostenere il pezzo è un raffinato pianoforte, colorato dai languidi fraseggi della chitarra elettrica e dalle toccanti incursioni di un organo. A completare l’opera, con una incisione su carne viva nel dolore del pezzo, ci pensa una straziante tromba con la sordina. Nella nuova versione di “Leo”, cantata, come precedentemente accennato, con Celia Reggiani, è proprio la voce dell’ospite a regalare un’ulteriore goccia di pathos e di tensione teatrale, sposandosi perfettamente col graffiato profondo di Pollina. Anche su “Immaginarti” il pianoforte gioca un ruolo fondamentale: il suo arpeggio sostiene l’architettura della canzone, splendidamente arricchita e colorata dai ricami di un delicato violoncello e della sezione fiati. Tutt’altro tiro per “Dove ti nasconderai”, innervosita da un gran bel tiro rock, in un tempestoso andirivieni di organi e chitarre elettriche, graffiati splendidamente dalla voce di Pippo. Penultimo passaggio è “Tutto chiuso”, simil- marcetta giocata su un pianoforte, colorato dalle spruzzate di un contrabbasso, dai fraseggi di una fisarmonica, dai pizzicati degli archi e da un variopinto solo, affidato alla sezione fiati. A chiudere l’album ci pensa “Un’altra vita”, intensa ballata affidata al solito pianoforte, su cui si librano, leggere, le acrobazie dei fiati. In chiusura, ci troviamo all’ascolto di un disco dal carico di classe enorme, che sottolinea la bravura indiscutibile di Pippo Pollina. Un disco che profuma di buono, di quei dischi genuini e puri che possono uscire solo dalle corde di veri artieri della musica. 


Giuseppe Provenzano

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