Nicola Scaldaferri e Stefano Vaja, Nel Paese dei Cupa Cupa, SquiLibri, 2021, pp. 288, Euro 35,00 Libro con CD

La Basilicata resta un luogo centrale, culturalmente ed emozionalmente, per chi si occupa di musiche tradizionali. È la regione considerata “culla dell’etnomusicologia sul campo” per la campagna di indagine dell’autunno del 1952 che portò l’équipe multidisciplinare di Ernesto de Martino a raccogliere documenti “per lo studio della vita culturale del mondo popolare lucano” nel “paese dei cupa cupa”, espressione, quest’ultima, propria dell’etnomusicologo Diego Carpitella 1.  Si comprende che quando, nel 2006, apparve la prima edizione di questo splendido volume realizzato da Nicola Scaldaferri, docente di etnomusicologia e studioso di elettroacustica, pratiche musicali dell’Italia meridionale, dei Balcani e dell’Africa occidentale, e dal fotografo e filmmaker Stefano Vaja, che predilige il teatro e il reportage sociale, si trattò di un passaggio cruciale, perché si era di fronte alla prima e sistematica ricognizione lungo tutto il territorio regionale avvenuta dopo la “discesa” sul campo degli anni Cinquanta e condotta, tra il 2000 e il 2004, in un contesto economico, sociale e culturale completamente mutato. Così il volume sottotitolato “Suoni e immagini della tradizione lucana”, concepito dall’accademico arbëreshë lucano da “osservatore partecipante” (è anche un valente suonatore di surdulina) e dal fotografo, rivelava una realtà culturale molto vivace. Difatti, se è vero che lamenti funebri, giochi di mietitura, canti di lavoro e ninne nanne sono espressioni pressoché scomparse dalla quotidianità, se dagli ambienti domestici fuoriescono suoni provenienti principalmente dai mass media, se le feste da ballo e i pranzi di nozze sono allietati dai suoni popular, d’altra parte i due ricercatori hanno documentato la presenza di una forte componente giovanile. Hanno rilevato fenomeni di rivitalizzazione, risemantizzazione e re-invenzioni di pratiche musicali, festive e rituali, hanno censito la rinnovata presenza della liuteria artigianale di strumenti tradizionali (in primis le zampogne e le surduline) e la persistenza di una varietà dei repertori eseguiti con ampie modalità esecutive. Sono dinamiche per niente lineari all’interno delle quali un ruolo fondamentale è svolto dagli strumenti musicali, in particolare le zampogne, l’organetto, il tamburello, ripresi da giovani musicisti, partecipi di numerosi corsi di formazione locale ma portatori anche di un background di studio in conservatorio e università.  Le premesse storiche, la presentazione dell’esteso percorso di ricerca e le puntuali analisi di Scaldaferri sui ventotto brani corredati dai 146 scatti in b/n costituivano la cornice con cui mettersi all’ascolto dei materiali dell’antologia sonora di 72 minuti. Tra le feste calendariali incontriamo la festa di S. Antonio Abate, i riti carnevaleschi, la Settimana Santa, i riti arborei di Accettura, le processioni e i pellegrinaggi devozionali; e poi i canti confraternali, i canti nuziali arbëreshë, canti per la raccolta delle ulive (dalla voce straordinaria di Domenica Lisanti), la nota ballata “Frunni d’alia”, la maestria dei fratelli Forastiero (voce, zampogna e ciaramella) e di Leonardo Lanza e di Carmine Salamone (la cui arte è passata a suo figlio Giuseppe), i canti polifonici sui principi del canto in accordo (“Canti ‘vaš a vaš”), il suono dell’arpa viggianese, le pastorali, le danze e le sonate per organetto e per plettri, fino alla conclusiva “Tarantella cantata”, che cuce due versioni eseguite da Paolina Luisi (1952 e 2003), a saldare la distanza cinquantennale dalle storiche registrazioni carpitelliane. Se nel frattempo la bibliografia sulle musiche della regione si è molto ampliata, anche per merito dello stesso Scaldaferri e della presenza di altri studiosi/e di antropologia e musicologia sul terreno, a quindici anni di distanza viene pubblicata una seconda edizione del volume, presentata nella stessa veste quadrata ma con la copertina non in brossura. Intendiamoci, non si tratta di una semplice ristampa, perché è un’edizione rivista e aumentata, pur restando immutato l’impianto ricognitivo, data la conferma dell’osservazione della fertilità dei fenomeni musicali e culturali regionali e della validità di un approccio che mette in dialogo testo scritto, fonti sonore e documentazione iconografica. Quindi il CD allegato contiene gli stessi materiali audio della prima stampa (ma siamo convinti che se si fosse voluto, un secondo disco sarebbe stato facilmente riempito di documenti pregnanti, testimonianza di trasmissione di saperi e repertori, con nuove generazioni all’opera).
Nondimeno, la seconda edizione è stata potenziata da un’articolata sezione di video (quattro capitoli: “Nel paese dei cupa cupa”, “Storie dietro le quinte”, “Scenari paralleli” e “Ritorni sul campo”) preparati ad hoc, che consentono non soltanto di arricchire e allargare lo sguardo sulle ricerche, ma pure di cogliere persistenze e cambiamenti incorsi negli anni più recenti. Un altro elemento che concorre ad approfondire la ricerca sotto il profilo scientifico e culturale è la conversazione tra i due autori, i quali ripercorrono le fasi e le motivazioni della ricerca, si interrogano su nuove problematiche e riflettono sul rapporto  tra musica e fotografia che, a partire dal lavoro di Arturo Zavattini a Franco Pinna, è stato una sorta di costante nelle rilevazioni sul campo nel secolo scorso. Tutti i materiali integrativi sono consultabili online e accessibili tramite il QR-Code apposto sul volume che rappresenta una meticolosa esplorazione dell’attualità delle musiche tradizionali in Basilicata.

Ciro De Rosa
_________________________________________

1 Si veda G. Adamo (a cura di), Musica tradizionale in Basilicata. Le registrazioni di Diego Carpitella e Ernesto de Martino (1952), SquiLibri, 2013.

Posta un commento

Nuova Vecchia