Francesco Medda/Mauro Palmas – Meigama (Meigama/Altrove Agenzia Creativa/Artist First, 2021)

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Maestro delle corde e raffinato compositore, Mauro Palmas ha improntato il suo percorso artistico alle esplorazioni continue di nuovi territori sonori, muovendosi dalla tradizione musicale sarda declinata nell’incontro con i suoni world, alle sonorizzazioni di film muti del primo Novecento, per giungere alle intersezioni più recenti con l’elettronica con la complicità di Francesco Medda. Noto con il moniker Arrogalla che in lingua limba significa rottami o cianfrusaglie, il producer sardo ha dato vita ad una personale ricerca sonora che parte dalla cultura hip hop e dub, passa attraverso lo studio dei soundscape ed approda alla musica popolare sarda e più in generale alla world music. Complice la collaborazione nel progetto “Is – S’ardmusic Revisited Vol. 1” nel quale veniva riletta in chiave elettronica una selezione di brani (Elena Ledda, Mauro Palmas, Andrea Parodi, Mario Brai, Elva Lutza, Cuncordu ‘e su Rosariu di Santu Lussurgiu, Gavino Murgia) estratti dai dischi di S’ard music, i due musicisti sardi hanno incrociato i rispettivi percorsi artistici, dapprima collaborando in alcuni progetti live e successivamente sviluppando l’idea di un disco a quattro mani in cui Palmas e Medda si misurano ad armi pari, partendo da una prospettiva rispetto alle rielaborazioni di Arrogalla.  “Niente di strano - sottolinea Francesco Medda - nessun ‘incontro scontro’ tra elettronica e tradizione, è dagli anni 50 che questa cosa accade. La cosa importante per un progetto musicale è che deve suonare, a prescindere dagli strumenti e dall’armamentario utilizzati”. 
Ha preso vita, così, “Meigama” album che raccoglie otto brani originali dalla grande potenza evocativa in cui si intrecciano suggestioni naturalistiche, profumi, colori ed emozioni. Il disco rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana a livello di ricerca timbrica, prendendo le mosse da una sperimentazione a tutto campo che, come spiega Francesco Medda, prende le mosse da “accostamenti più fantasiosi e più pazzi per ottenere dei risultati che rispettassero alcuni canoni tradizionali”. Abbiamo intervistato Mauro Palmas per farci raccontare la genesi di questo nuovo disco e i successivi sviluppi dal vivo. 

Come è nata l’idea di realizzare un disco con Francesco Medda? 
Francesco Medda è noto soprattutto con lo pseudonimo di Arrogalla che in lingua limba vuol dire cianfrusaglie, frammenti, pezzettini e riflette bene quello che è il suo approccio alla musica. 
Si è sempre occupato di musica elettronica e di campionamento di suoni e ha costruito i suoi brani “rubando qua e la” tutta una serie di elementi, suoni e musiche, ma anche utilizzando i soundscapes. Affascinato dalla musica tradizionale sarda, ha cominciato a rielaborare brani miei e dal repertorio di Elena Ledda e da lì è nata la nostra collaborazione che, in verità, è un interesse reciproco verso i rispettivi mondi musicali. 

Quei primi esperimenti sono confluiti poi nel disco di Arrogalla “IS – S’Ardmusic Revisited Vol.1” …
Quello è stato un po’ il punto di partenza della nostra collaborazione. Nel disco “IS – S’Ardmusic Revisited Vol.1” Francesco Medda rielaborava in chiave elettronica alcuni brani dal catalogo dell’etichetta sarda S’Ardmusic, incrociando l’elettronica della dub con i suoni della tradizione ed alternandoli con registrazioni. 
Successivamente è nato anche un progetto comune dal vivo e piano piano sul palco si è sedimentato il nostro incontro musicale. 

Com’è nata l’idea di realizzare un disco insieme?
La collaborazione si è evoluta successivamente nell’idea di fare un disco insieme, ma partendo da una prospettiva diversa, lavorando esattamente al contrario rispetto ai dischi del progetto Arrogalla. Non è un caso, infatti, che Francesco abbia abbandonato lo pseudonimo di Arrogalla per rimarcare la diversa natura dell’approccio musicale. Abbiamo dato uno sviluppo diverso alle composizioni, non partendo più dai campionamenti, da quelle cianfrusaglie, da quelle arrogalle musicali, ma costruendo insieme i vari brani. Sono composizioni dalla struttura ben precisa che potremmo definire elettro-acustiche, ma non amo dare etichette perché ognuno può classificarle come meglio crede. Mi ha sempre spaventato questa ricerca della definizione della musica a tutti i costi perché può trarre l’inganno l’ascoltatore e creare, per certi versi, anche una forma di preconcetto verso un disco. Certamente non abbiamo scoperto nulla, ma abbiamo ben presenti i laboratori musicali nati in Italia negli anni Cinquanta, così come tutte le sperimentazioni successive sulla musica. 

Entrando nel vivo della genesi di “Meigama” come avete impostato l’incontro tra i vostri rispettivi mondi musicali?
Questo disco nasce seguendo semplicemente il gusto musicale e costruendo delle composizioni che mettono insieme e fanno dialogare i miei strumenti acustici con l’elettronica dei suoni campionati e rielaborati da Francesco. Insomma, è un vero e proprio incontro tra due forme diverse di composizione: quella più tradizionale con gli strumenti temperati e con una visione della musica del Mediterraneo che parte della Sardegna per aprirsi a tutti i suoni e alle culture del Mare Nostrum, e quella più sperimentale e contemporanea data dall’utilizzo dell’elettronica. 
Inoltre, abbiamo voluto valorizzare la composizione in minore, in una regione come la Sardegna dove il maggiore la fa da padrone. 

Il disco raccoglie otto brani inediti, si tratta di composizioni originali o hanno trovato posto anche idee che avevi nel cassetto?
Alcuni sono temi sviluppati insieme, altre sono composizioni che si sono riaffacciate in una dimensione sonora completamente diversa, rispetto all’idea originaria, assumendo caratteristiche nuove e certamente differenti. La cosa sorprendente è che il mio strumento, anziché sembrare debole dal punto di vista della quantità di suoni, riesce a conquistarsi il suo spazio, la sua dimensione in una molteplicità di suoni che sono dati dall’elettronica. Nel progetto Arrogalla, ad esempio, accadeva che gli strumenti acustici venivano sovrastati o utilizzati con dei fini specifici con dei campionamenti precisi legati a frammenti di piccole note, piccole nodas, tipiche del ballo e delle launeddas.

Come si è indirizzato il lavoro in fase compositiva? Quali sono state le difficoltà che avete incontrato facendo dialogare i tuoi strumenti a corde con l’elettronica di Francesco Medda?
Ti confesso che non è stato semplice il lavoro e le difficoltà sono state diverse, perché abbiamo una visione diversa della musica e dei concetti di suono, intonazione, tonalità, ma anche di armonia. Francesco considera il suono nella sua complessità e per sua scelta non si pone mai il problema dell’intonazione dello strumento, elemento questo complesso che deriva dalla nostra concezione di musica temperata. Dal punto di vista compositivo lui ha una visione completamente libera ed esce da questi sentieri. Su accordature che vanno da 440 Hz a 442 Hz, magari trovi dei campioni che hanno il LA e stanno in accordature che stanno a 444 Hz o a 446 Hz, cose queste che per me sono inconcepibili, mentre per lui possono esserlo tranquillamente. Mettere un sì o un si bemolle insieme è un concetto che musicalmente diventa complicato ma per lui potrebbe assumere un significato interessante. 
Su questi concetti ci siamo confrontati e, a volte anche scontrati, il tutto però senza scendere a compromessi o arrivare alla contrapposizione, ma sempre rispettando il dialogo profondo tra forme compositive completamente differenti. 

In questo contesto hai cercato e trovato una via espressiva partendo dal dialogo l’elettronica di Francesco…
Suonando strumenti a corde come i miei con il mio approccio tecnico che prevede, in particolare per il liuto cantabile, l’utilizzo in parallelo sia le dita che del plettro, non è semplice il confronto con l’elettronica perché si viene sovrastati da una immensità di suoni che comporta, quantomeno, uno sconvolgimento. La sfida è dosare tutto questo e trovare un positivo compromesso che consente di ritagliarsi i rispettivi spazi sonori. Solo così si riesce a venirne a capo e nel disco c’è un grande equilibro in questo senso. Gli strumenti a corde hanno anche i loro momenti di gloria, ma ho preteso ed ottenuto il rispetto delle sonorità del legno dello strumento. Avremmo potuto semplificare moltissimo il lavoro registrando con una diretta; invece, abbiamo scelto di riprendere gli strumenti a corde con più microfoni, conservando veramente il loro suono reale. Questa è, a mio parere, una delle chiavi di interesse del disco.

L’ascolto di brani rivela atmosfere minimali ma allo stesso tempo di grande potenza evocativa…
Nell’approcciare la composizione abbiamo cercato esclusivamente di esaltare la forza descrittiva di ogni brano, per i quali abbiamo immaginato le atmosfere in cui dovevano nasce, svilupparsi e crescere. Se dovessi paragonarlo ad un film, direi che non è un film muto ma un film cieco, senza immagini. Il risultato sono composizioni che mirano a ricreare un’ambientazione e un parallelismo nel mondo letterario può essere ricercato nelle opere di Grazia Deledda, scrittrice sarda che ha vinto il Nobel scrivendo in italiano. Leggendo i suoi romanzi e facendo attenzione alle descrizioni degli ambienti e dei luoghi, si riesce a percepirne persino gli odori come quelli del mirto o del grano. 
Le sue storie sono contestualizzate dal suo modo così profondo di descrivere ogni dettaglio. È una vera e propria immersione rispetto agli elementi letterari. Cercando un paragone, molto umile e limitato, si può dire che similmente anche il nostro disco offre un’esperienza immersiva. Un esempio è certamente “Campuomu” che abbiamo scritto pensando ad una strada immersa nei boschi sui Monti dei Sette Fratelli, una piccola collina che si affaccia su Cagliari. È un luogo molto bello e che appartiene alla mia infanzia, lì facevamo tutti i picnic domenicali con la mia famiglia. In quelle note c’è l’odore del muschio, quello della pioggia appena caduta sul terreno. Tutti i miei dischi, sia quelli solisti che quelli con altri musicisti, sono caratterizzati da composizioni che raccontano qualcosa, è il mio modo di operare, la mia via espressiva.  Ne “Il colore del Maestrale” c’era il racconto di come mio padre mi aveva insegnato a capire l’arrivo del Maestrale non guardando il mare, ma scrutando il cielo. “Cainà” è la colonna sonora di un film muto, ed è fortemente legata alle immagini. “Palma de Sols” è, invece, una storia in musica che viene poi raccontata in maniera letteraria nel brano conclusivo. 

Quali sono le altre ispirazioni alla base dei brani del disco?
Ho sempre pensato che la musica vada ascoltata più che raccontata dal musicista. Fare una analisi di ogni singolo brano può essere un modo per raccontarsi, ma è bene che ogni ascoltatore si faccia la sua idea perché il bello della musica è che ognuno vi ricerchi delle sensazioni soggettive. Magari un brano può piacere ad uno e non piacere ad un altro e le eventuali indicazioni del musicista non cambierebbero le carte in tavola. Certo nel caso di “Meigama” non si può dire che non sia un disco onesto, perché trasmette delle sensazioni.

Altra peculiarità di “Meigama” è la sua prima versione speciale una ceramica di Giampaolo Mameli…
L’album è stato pubblicato in digitale, ma anche in serie limitata in versione deluxe con una speciale in bucchero nero, realizzata da Giampaolo Mameli, ceramista di assoluto talento di San Sperate, paese molto importante in Sardegna perché sin dagli anni Settanta ha fatto da culla ad un grande fermento culturale. Ricordo che era uno dei pochi centri in cui si faceva teatro e musica d’avanguardia e, poi, ha dato i natali a Pinuccio Sciola, scultare di caratura internazionale e ben noto per le sue pietre sonore. La tecnica del bucchero è una delle più antiche ed è stata utilizzata in Sardegna fin dal periodo prenuragico. Dopo essere state foggiate ed essiccate all’aria, le terrecotte venivano cotte in forni privi di ossigeno e, grazie alle reazioni chimiche, assumevano una colorazione nera. La scelta di accompagnare il disco con quest’opera di Mameli è stata dettata dalla duplice volontà di rappresentare le nostre composizioni anche dal punto di vista tattile, oltre che per rendere omaggio alla storia e alla tradizione della Sardegna. “Meigama” offre, quindi, un’esperienza multisensoriale che è visiva, tattile e sonora. Nell’epoca della musica liquida sarebbe stato semplice pubblicare il disco solo in digitale, però alla fine ci siamo detti: perché non creiamo anche un oggetto, qualcosa di tangibile. Ogni disco avrà uno spessore, un peso e sarà accompagnato da un’opera diversa, con particolari differenti perché sono fatti a mano e questo darà un ulteriore senso anche alla musica che viene rappresentata come qualcosa di molto solido. È stata una piccola pazzia, perché tutto questo ha comportato anche delle spese ma poco importa perché a noi interessava creare qualcosa di unico e che potessero apprezzare anche i non vedenti. Se si tocca una copertina cartacea non si percepisce nulla… 

Le ceramiche sono ispirate ai brani del disco…
Hanno uno stretto legame perché tutte le opere di Giampaolo Mameli hanno al centro la Sardegna e il suo rapporto con il Mediterraneo. Speriamo che questo disco possa diventare anche l’occasione per promuovere la nostra musica fuori dai canali classici, così come anche il nostro territorio, partendo anche dai canali dell’arte figurativa. Un’unione di forze e culture, insomma, per raggiungere uno scopo quanto più ampio possibile. 

Dall’ascolto del disco si percepisce come sia un lavoro nato per essere suonato dal vivo e presenti anche aperture verso l’improvvisazione…
È un album riproducibile interamente dal vivo dove ci sarà ampio spazio all’improvvisazione. Il disco dura quaranta minuti, mentre il concerto è di un’ora e venti. Il concept live nasce con nell’intento di fare una sintesi del nostro lavoro e il disco ne è la base di partenza. Dal vivo ragioniamo anche in modo funzionale rispetto alla tipologia di evento e al pubblico che ci è di fronte e anche alla sua risposta. Sul palco ovviamente i brani possono essere suonati proprio come sul disco ma anche in versione completamente diversa, perché sono strutture aperte all’improvvisazione live. Francesco ha tutta una serie di loop e campioni che usa adattandoli anche in base all’acustica del posto in cui suoniamo e che vengono richiamati in tempi e modi diversi, assumendo tratti differenti rispetto al disco, allo stesso modo anche le mie strutture acquisiscono una natura differente. 



Francesco Medda/Mauro Palmas – Meigama (Meigama/Altrove Agenzia Creativa/Artist First, 2021)
“Meigama” in sardo definisce uno stato d’animo ma anche i colori che assume il cielo durante il pomeriggio in un preciso momento dell’anno. A questa ben precisa dimensione temporale e a tutto l’immaginario in essa racchiuso si sono ispirati il producer sardo Francesco Medda e il maestro delle corde isolano Mauro Palmas per la scelta del titolo della loro opera prima in duo. Un incontro tra due mondi artistici differenti che vede intersecarsi tra incroci ed attraversamenti sonori, la tradizione sarda e mediterranea e l’articolato universo della musica elettronica declinata tra soundscape, dub e hip hop. Realizzato con il sostegno di associazioni, festival e istituzioni culturali locali (Antas Teatro, Chourmo/Marina Cafè Noir, European Jazz Expò, Fondazione Giuseppe Dessì, Le Ragazze Terribili, Mare e Miniere, Museo Nivola), il disco è stato registrato, mixato e masterizzato da Corrado Tolu e raccoglie otto brani che, nel loro insieme, compongono un’ esperienza sonora immersiva, un susseguirsi di evocazioni di scenari naturalistici, colori, profumi ed emozioni, un universo pieno di fascino, retto da strutture musicali ora semplici, ora più ardite e sperimentali. L’ascolto, da fare possibilmente in cuffia per cogliere ogni sfumatura, si apre con le atmosfere rarefatte della campagna descritta in “Lugori” nella quale mandoloncello e liuto cantabile tessono una trama sonora immaginifica nella quale fanno capolino i colori suggestivi di ginepri, lecci e sughere, la salsedine portata dalla brezza marina e i profumi inconfondibili del cisto e l’elicriso. Si prosegue con la dolce ninna nanna “Dromi” il cui tema melodico per liuto cantabile è ispirato ai balli suonati dalle launeddas, mentre sullo sfondo si staglia il soundscape ripreso durante una processione religiosa che in crescendo sfuma nel loop ritmico dell’elettronica. Se alla “cantada campidanesa” è ispirata “Campuomu” con liuto cantabile e mandoloncello sostenuti dalla struttura ritmica di impostazione dub, nelle trame della successiva “Bentu Saliu” si ritrovano le strutture dei gòcius, canti liturgici di matrice iberica, con gli abstract hip hop ad impreziosire il tutto. Tra i vertici del disco c’è sicuramente “Minore”, una danza tradizionale sarda eseguita in modo minore, sostenuta dai loop di basso reggae giamaicano a cui si accompagnano le voci saharawi. Al passu torrau, una delle forme coreutiche più ballate in Sardegna, rimanda “Torra” anche in questo caso declinata in modo minore ed inserita in una articolata cornice sonora composta da una vasta gamma di campioni e soundscape. Il rumore del mare registrato a Kélibia (Capo Bon) in Tunisia e i liuti arabi rielaborati in loop, accompagnano la triste e sommessa “Requiem”, dedicata ai tanti migranti che dall’Africa solcano le acque del Mediterraneo alla ricerca di un futuro migliore, trovano però la morte. Il superbo ballo campidanese “Note de incantu”, suonato nell’inconfondibile stile di Mauro Palmas e sostenuta dal ritmo della pizzica pizzica salentina campionato, chiude un disco di assoluto pregio, un’opera unica nel suo genere tanto dal punto di vista della ricerca sonora che da quello concettuale.


Salvatore Esposito

Foto di Manuel Putzolu per MangioDesign ©

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