Vero nome: Francesco Medda. Sardo, cresciuto a Quartu Sant’Elena, comune nella cintura metropolitana di Cagliari. Si fa chiamare Arrogalla, che in ‘limba’ significa frammenti, pezzettini o rottami. La sua ricerca fonica trasversale di compositore e produttore di musica elettronica parte dalla cultura hip hop per approdare al dub, inteso come approccio alla musica e al suono tout court piuttosto che come genere musicale. Della sua identità sonora fanno parte anche la musica popolare sarda, soprattutto quella del meridione isolano, e il mondo sonoro mediterraneo. C’è poi lo studio dei soundscape: «La registrazione dei paesaggi sonori rappresenta circa un terzo della mia ricerca musicale – racconta Arrogalla – e al momento sto lavorando a un progetto di mappatura sonora della Sardegna, la quale, avendo una varietà di paesaggi a dir poco straordinaria, può regalare, per chi vuole ascoltare, dimensioni sonore molto diverse e interessanti, che hanno già al loro interno elementi compositivi complessi». Questo composito panorama trova compimento e completamento nelle ventiquattro tracce dell’esperienza dub-ambient-world-trad racchiusa in “Is”, disco che fa seguito all’esperienza di “Dub versus”, lavoro collocabile nei territori dub poetry e spoken word. Per celebrare il decennale dell’etichetta S’ard, sigillo di garanzia di materiali isolani nel segno di ‘tradizione è movimento’, Arrogalla ha preso il computer e messo le mani sui materiali ‘world’ della label. Così, spiega: «Ho iniziato a collaborare con Michele Palmas di S’ardmusic qualche anno fa. Ci divertiva l’idea di creare dei remix della loro discografia world music e jazz, rilasciando produzioni che potessero rappresentare sia me, in totale libertà, che l’etichetta. Dallo “scrigno” di S’ardmusic, dopo un lungo setaccio, ho creato quindici composizioni, dotate di vita propria.
Queste a loro volta, sono state modificate attraverso l’approccio dub tradizionale, ossia ho eseguito le composizioni in multitraccia e ho elaborato in tempo reale i singoli materiali sonori con effetti e dispositivi elettroacustici, in modo tale da ottenere brani che potessero essere vivi e mai troppo uguali a se stessi, con un approccio umano dettato anche dall’immediatezza e dal ‘tocco’. Nel disco ho voluto mettere anche la dimensione del paesaggio sonoro, inserendo otto luoghi che amo e che mi rappresentano. Dal vivo, poi, ho voluto rimarcare tutte queste identità, tra world music, dub, hip hop ed elettroacustica creando un ensemble insieme a Mauro Palmas (compositore polistrumentista, una icona della musica sarda e mediterranea), Gianrico Manca, batterista esperto di jazz e hip hop; Gianmarco Diana, già bassista dei Sikitikis, grande conoscitore della cultura dub e della bass music. Il tutto eseguito, modificato, e ‘dubbato’ in tempo reale attraverso i miei dispositivi».
Arrogalla si rivolge a brani di naturale intensità, dove antico e nuovo si fondono in continuazione, s’immerge in suggestioni e magnetiche ispirazioni che la Sardegna conserva e rilancia in continuazione, mette a frutto l’iterazione delle cellule ritmiche, l’incastro di timbri e di vocalità; inserisce brevi registrazioni sul campo, raccolte in luoghi che hanno rilevanza simbolica e timbrica, che fissano il paesaggio sonoro di mercati (Genova e Casteddu), di strade (Tunisi), di terra e di mare (Làconi, Nuraxi Figus, Capo Testa, Sinis, Désulo).
Tutto nella scia di “Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni, figura cruciale per la letteratura dell’isola, campione di un’idea di sardità plurima che getta ponti e non ripiegata su se stessa, conforto spirituale per una visione identitaria aperta e artista che ha ispirato l’immaginario della stessa etichetta S’ard dalla nascita (nella traccia “Làconi”, un passo dal suo capolavoro è recitato da Giacomo Casti, con il quale Medda ha condiviso il progetto “Dub Versus”). La manipolazione di Arrogalla non stravolge gli originali, anzi, sembra che, considerato il profondo rispetto per materiali così potenti, il producer non avverta la necessità di spingere eccessivamente nel remix in chiave electro-dub dei chiaroscuri vocali di Elena Ledda, del canto accorato di Andrea Parodi, delle corde fitte, cristalline e risonanti di Mauro Palmas, delle sperimentazioni di Gavino Murgia. Ancora, c’è l’immaginifica musicalità carlofortina di Mario Brai, ci sono le delizie acustiche di Elva Lutza, la straordinaria coralità del Cuncordu ‘E su Rosariu di Santu Lussurgiu, i maneggi elettronici di Alessandro Pintus Alex P. e tutti gli autorevoli strumentisti del giro Ledda-Palmas (Ruggeri, Lobina, Peghin e Soro). Così, Arrogalla spiega il suo intervento: «Ho seguito quello che mi suggerivano i materiali sonori, e ho cercato di attuare strategie diverse nelle elaborazioni, in certi casi ho cambiato completamente sonorità, ricostruendo completamente la produzione lasciando integri pochi elementi come in “Koi” e “Is”. In altri brani, ho utilizzato esclusivamente i materiali presenti nelle tracce, cambiando timbriche, dinamiche e velocità. Ho tagliato, sporcato e effettato i suoni cercando di creare una ripetitività ipnotica, tipica del dub ma anche della musica popolare sarda. In altri casi invece ho ricreato tracce nuove sulle quali hanno interagito altri musicisti. Quello che ho voluto mantenere simile agli originali è stata una certa dimensione ‘acustica’ nell'ascolto, ma in realtà a mio modo di vedere, i brani sono stati stravolti anche se ‘mimetizzati’ in una dimensione simile all’originale. Solo in due casi le tracce sono identiche alle originali: in “Mi”, remix di “Rosa Resolza”, dove ho lasciata integra la struttura utilizzando solo il dubbing e l’effettistica e nel “Miserere” de Su Cuncordu ‘e Su Rosàriu di Santu Lussurgiu. Il rispetto c’è, amo la produzione di tutti gli artisti presenti nel progetto, in particolare, senza togliere nulla agli altri, penso che “Cantendi a Deus” di Elena Ledda, sia un disco perfetto, quindi difficilissimo da rielaborare in tracce che potessero essere (almeno nelle intenzioni) all’altezza degli originali, ma valuteranno gli ascoltatori». Intanto, “Blogfoolk” ne ha apprezzato il rispetto e l’ardire.
Ciro De Rosa