Barbora Xu – Olin Ennen (Nordic Notes, 2021)

Originaria della Repubblica Ceca (Shilanova è il suo cognome), Barbora Xu ha studiato il guzheng, ha condotto, tra il 2015 e il 2016, un fieldwork sudy sullo sviluppo sulla musica Bunun di Taiwan, per poi laurearsi al Centre of East Asian Studies of the University of Turku. Attualmente si dedica allo studio del kantele e delle tradizioni vocali finlandesi, nel quadro del Global Music Degree Program della Sibelius Academy di Helsinki. “Olin Ennen”, il suo album di esordio, è costruito su un’idea di dialogo, di relazione. E, allo stesso tempo, sulla ricerca di possibili punti di contatto tra tradizioni musicali e, soprattutto, narrative oggettivamente distanti e differenti. Nel quadro di questa “visione” – che è anche un progetto di studio scientifico, cioè fondato sulla ricerca sul campo – Barbora Xu (che possiamo considerare un’esperta di “zithers”, termine che include diversi tipi di cordofoni) abbraccia alcuni scampoli della cultura narrativa e orale cinese e finlandese. Ne nasce un discorso, una sorta di romanzo estemporaneo (più che un disco vero e proprio), in cui gli elementi di riferimento – a partire dai poemi popolari e dai riferimenti simbolici alla natura che questi contengono – sono sì scelti sulla base di uno studio e di una selezione. Ma sono anche riconsiderati dentro una dinamica narrativa che mira a mescolarli, a reinventarli. Sperimentando così una nuova traiettoria estetica e semantica: “while recording, we aimed to capture a live performance-like quality in the songs”, ci spiega Barbora nelle note introduttive dell’album. “Vocals were recorded at the same time with instrumentals and there is a certain amount of improvisation in all tracks, as there would be during a performance”. Insomma, a partire dai tratti frammentati di due dimensioni simboliche estremamente distanti, l’intento di questo lavoro è di sperimentare non solo una convergenza plausibile (convergenza che poggia su piccolissimi ma interessanti punti di contatto, astratti quanto fascinosi, che accomunano la narrativa orale cinese e finlandese attraverso il ricorso al simbolismo della natura), ma anche una riorganizzazione di senso. È evidente che il compito è arduo, ma Barbora Xu pone al centro di tutto la musica, anzi le corde del cantele finlandese e del guzheng cinese, e tutto funziona alla perfezione. O meglio, tutto si spiega dentro una stupefacente organicità: armonia, ritmo pacato, canto fluido e profondo, dilatato in melismi dolci e intensi, atmosfera rarefatta, timbri estremamente legnosi. D’altronde l’orizzonte sonoro che ha incubato l’esperimento è attentamente selettivo: oltre ai due antichissimi strumenti succitati, ammette – in pochissimi casi e in pochi tratti – un violoncello. E i dieci brani che si susseguono assumono gradualmente la forma di un paesaggio sonoro completo che, nel momento in cui attutisce l’ambiente entro cui li si ascolta, estende misteriosamente la comprensione dei suoni di cui si compone. Si tratteggia, così, una musica sì misteriosa, di atmosfera languida e inquieta, ma anche concreta. La materia del suono arriva direttamente dall’ipotesi di partenza e, allo stesso modo, dall’analisi attenta di una musicista che ha lasciato convergere nella sua pratica musicale lo studio e l’esecuzione, la ricerca e la rielaborazione, la teoria pratica del lavoro sul campo. Il lavoro di Barbora Xu (non a caso) ha un’eco importante sia in oriente che in Finlandia (aspettiamo con fiducia che possa espandersi ulteriormente): nei due poli, cioè, che sono attualmente al centro del suo progetto di ricerca. 


Daniele Cestellini

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