Clíodhna Ní Aodáin – Celtic Rituals (Terra Petra, 2021)

L’ennesimo talento? Senza dubbio. La violoncellista Clíodhna Ní Aodáin è nata a Dublino ma vive a Berna, è cresciuta in una famiglia di musicisti classici ma il nonno era un violinista di musica tradizionale. Nel suo curriculum c’è una solida formazione accademica; suona musica da camera, compone per il teatro, è direttrice d’orchestra e artistica del progetto “Music for People Europe”, è docente di violoncello nella capitale svizzera, dove insegna ai più giovani alla Musikschule Konservatorium e dirige la Orchester Divertimento Bern. La scelta del violoncello come strumento elettivo l’ha tenuta lontana dalla musica tradizionale che pure amava, a un certo punto, però, Clíodhna ha deciso di incrociare il suo archetto con i repertori popolari. È nato così l’album “The Celtic Cello” (2019), inciso da sola, in cui ha riletto alcune tra le più note arie e canzoni tradizionali scozzesi e irlandesi (tra cui “Down by the Salley Gardens”, “Carrickfergus” o “The Parting Glass”). Tanto per intenderci, di lei hanno detto grandi cose David Darling, Eugene Friesen e Martin Hayes. La violoncellista predispone un armamentario di idee musicali, attingendo al suo background classico, cogliendo le possibilità offerte dalla tecnologia multi-traccia per allargare l’espressività, giostrando tra ostinati e tensioni, combinazioni melodiche e ritmiche, esponendo ora la rudezza e il mistero del registro grave, ora i colori morbidi del medio o ancora quelli penetranti dell’alto. Clíodhna si produce in sequenze d’improvvisazione, mutuando tecniche violinistiche di tradizione folklorica, richiamando le emozioni e le ornamentazioni dello stile sean-nós. Sempre in solo, nel suo nuovo titolo, “Celtic Rituals”, Ní Aodáin espone un programma di melodie tradizionali scozzesi e irlandesi, alcune ispirate – come detto – al canto “antico” irlandese, alle slow air e alle danze, intersecandolo con ben sue nove composizioni, di cui la prima, intitolata “Fáinne Geal an Lae (Daybreak)”, posta in apertura, fa subito notare la qualità appagante del timbro. È molto personale la versione dell’aria tradizionale scozzese “ThaMi Sgìth (I am Weary)”, cui segue una delle composizioni di punta dell’album, “Idir Eatarthu (Between Worlds)”, motivo originale suggerito in un certo senso da un antico termine celtico che descrive uno spazio transizionale o trasformativo, suggestione che rimanda alla condizione critica di confinamento e sospensione in cui ci si è trovati nel 2020. Entra anche la voce nel successivo “Cailleach na gCrann (The Tree Witch), enumerando in irlandese gli alberi cari all’antichità celtica, mentre lo strumento disvela la sua natura vocale, assecondando e contrappuntando il canto. Dispensano meraviglie “Port na bPúcaí (Song of the Pookas)”, tema ispirato allo stile violinistico di Martin Hayes, e “Donnachadh Bán”, che ci riporta alle tragiche relazioni con la potenza britannica: è il lamento di una sorella per la drammatica sorte del fratello impiccato dagli inglesi. Qui, la musicista ha trasposto la tecnica di canto di Darach Ó Cathain, uno dei preminenti cantori del Connemara. Un loop fa dialogare il violoncello con se stesso nell’austera “Ag Teacht in Aois (Coming of Age) e nella robusta e sostenuta “Solstice”. Ancora l’"antico stile” è alla base del canto d’amore “Dóín Dú (Dotie Potie)”. Oltre, “Ancestors” onora gli antenati, “Anam Chara (Soul Friend)”, invece, è una dedica d’amore a carattere familiare, sviluppata in maniera pacata, come “Reconciliation”, altro pezzo originale dal mood intimista, espressione di perdono e accettazione dopo una divergenza. L’essenza cinematica della slow air “Misty Mountain” precede la conclusiva “Ritual Fire”, possente celebrazione in crescendo del ciclo della vita. “The Celtic Rituals” rivela grande profondità espressiva, dissolvendo le categorie con i suoi suoni di confine, tra tradizione irlandese, musica da camera e improvvisazione. www.thecelticcello.com


Ciro De Rosa

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