Vincenzo Santoro, Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale, Itinerarti 2021, p. 256, Euro 16,00/Sergio Bonanzinga, Gino L. Di Mitri, Marco Lutzu, Goffredo Plastino, (a cura di) Vincenzo Santoro, Percorsi del tarantismo mediterraneo, Itinerarti 2021, p. 176., Euro 14,00

A due anni di distanza da “Rito e Passione” e “Il ballo della pizzica pizzica” scritto a quattro mani con Franca Tarantino, Vincenzo Santoro prosegue il suo percorso di ricerca e divulgazione sulla cultura e la musica popolare salentina con due interessanti volumi dedicati alla diffusione tarantismo nell’area del Mediterraneo e editi dalla start-up editoriale salentina ItinerArti Edizioni ed inseriti nel progetto Viandanze 2.0. La prima pubblicazione “Il Tarantismo Mediterraneo. Una cartografia culturale”, prende le mosse dagli studi che Ernesto de Martino dedicò al fenomeno e ne amplia il raggio dell’indagine attraverso le fonti storiche, componendo un itinerario attraverso il Mare Nostrum che ricostruisce la diffusione della sua rete rituale in tutta l’area che dalla Puglia investe il Sud Italia, tocca le grandi isole ed approda in Spagna. Strettamente connesso a quest’ultimo è anche la raccolta di saggi “Percorsi del tarantismo mediterraneo”, curata dallo stesso Vincenzo Santoro e che raccoglie i contributi di Sergio Bonanzinga, Gino L. Di Mitri, Marco Lutzu, Goffredo Plastino. Partendo dalla cospicua varietà di fonti viene ricostruito il radicamento del tarantismo in Sicilia, Calabria e Sardegna, per fare ritorno in Salento con le rilevazioni del fenomeno in epoca barocca. Abbiamo intervistato Vincenzo Santoro e, insieme a lui, ripercorrere le tappe del suo percorso di ricerca.

Questo nuovo progetto editoriale di ItinerArti esplora un lato di quelle che sono le tue ricerche sul Tarantismo mediterraneo.
Come sai mi occupo da molto tempo di questi temi, nonostante abbia finora riflettuto prevalentemente sul revival e sulle relative dinamiche salentine degli ultimi quarant’anni. Anche perché con il caro Sergio Torsello ci siamo sempre divisi in qualche modo il lavoro: io mi occupavo del “movimento di riproposta” della tradizione musicale, mentre lui era impegnato sul tema del tarantismo sotto il profilo storico-antropologico. 
Naturalmente, fin dall’inizio, sono stato anch’io affascinato dalla complessità del tarantismo e ho sempre letto tanto, oltre al continuo confronto con Sergio. Negli ultimi anni, dopo la sua morte, ho raccolto ampio materiale bibliografico sull’argomento, considerandone la vastità, fino a comporre una vera e propria biblioteca dedicata, questo anche perché non ne è mai stata realizzata una pubblica! Avevo quindi già in animo di scriverne in un mio libro, ma mai abbastanza tempo da dedicare a questa ricerca. Ho coltivato, però, l’idea di lavorare sul tarantismo come fenomeno non legato unicamente al Salento leccese e nemmeno solo pugliese, ma alla sua ampia diffusione nell’area del Mediterraneo Occidentale. Del resto, già Ernesto de Martino ne “La Terra del Rimorso” ne aveva rilevato la diffusione in tutto il Sud Italia, in Sicilia, in Sardegna e in Corsica. Il fatto che tutto questo non sia mai stato rimarcato a sufficienza ha rappresentato uno stimolo in più per addentrarmi in territorio di indagine tanto ampio, già peraltro oggetto del volume di Sergio Torsello e Gabriele Mina “La tela infinita. Bibliografia degli studi sul tarantismo mediterraneo 1945-2004”.

Tracce di questa ricerca emergevano anche nel progetto “Dos Tierras” che hai realizzato in Spagna con Miguel Angel Berna e Manuela Adamo.
Miguel Angel Berna e Manuela Adamo, che guidano un importante ensemble coreutico, hanno svolto diverse ricerche nell’area di Saragozza, attraverso le quali è emerso che il tarantismo in Spagna non era solo quello documentato dalle fonti storiche, ma come fosse ancora presente, almeno nella memoria, fino agli anni Duemila. Hanno infatti incontrato testimoni che ricordavano di aver suonato per i tarantati e le risultanze di queste ricerche erano emerse in due convegni che realizzammo proprio in Spagna.

La base di partenza del libro, invece, è stato il convegno sul Tarantismo Mediterraneo organizzato due anni fa.
Proseguendo nel percorso di approfondimento sul tema, due anni fa, abbiamo organizzato questo convegno che si è tenuto a Nardò e nasceva appunto con l’idea di approfondire il Tarantismo Mediterraneo. Abbiamo chiamato alcuni importanti studiosi, altri per una serie di ragioni non sono potuti venire ma, nonostante le poche risorse a disposizione, c’era l’idea abbastanza ambiziosa di mettere a confronto esperienze diverse di ricercatori che stavano approfondendo questo argomento. Molto importante, ad esempio, era la questione del tarantismo in Sicilia su cui Sergio Bonanzinga, professore di etnomusicologia all’Università di Palermo, ha scritto un interessante saggio, successivamente sviluppato ed incluso nel secondo volume, e che documenta la presenza del fenomeno in Sicilia in maniera strutturata dal Seicento al Novecento. Allo stesso modo ci siamo occupati anche dell’argia in Sardegna con Marco Lutzu e, alla fine, è nata l’idea di realizzare un volume che contenesse gli atti di tutto il convegno e che avremmo integrato con altri contributi e io mi sarei occupato dell’introduzione.

Il progetto poi si è ampliato ed evoluto in ben due libri.
L’imprevisto arrivo della pandemia ha cambiato le carte in tavola e abbiamo avuto più tempo a disposizione. A quel punto ho cominciato a scrivere ristudiando la bibliografia, finendo per farmi prendere la mano. Così sono venuti fuori due libri: “Percorsi sul Tarantismo Mediterraneo”, una raccolta di saggi (con interventi di Sergio Bonanzinga per la Sicilia, Marco Lutzu per la Sardegna, Goffredo Plastino per la Calabria e Gino Di Mitri per alcuni aspetti del fenomeno in età barocca), e poi il mio, che ritengo anche molto – forse troppo – ambizioso perché parte dalla volontà di aggiornare la lettura demartiniana con fonti emerse successivamente all’opera dell’etnologo napoletano, con l’idea di arricchire quella tela rituale mediterranea tracciata nella “Terra del Rimorso” e in altri scritti, considerati a torto meno importanti, ma che io ho cercato di riprendere. Ho seguito tracce, più o meno sistematiche, che si sono sviluppate negli anni delle campagne etnografiche, a partire dalla Sardegna, con Clara Gallini, poi in Cilento, con Annabella Rossi, dove emerge questa specifica forma rurale del fenomeno campano. Ho approfondito la ricerca sulla provincia di Taranto, da cui emerge un altro elemento – che avrebbe dovuto probabilmente già essere chiaro – ovvero che la vera capitale del tarantismo è proprio Taranto. Sul tema sono stati pubblicati diversi lavori, come “Gioconda Miseria” di Antonio Basile, e quello curato da Carlo Petrone “Il Morso Della Taranta a Taranto e Dintorni”. 
C’è poi tantissimo altro che emerge dalla rilettura attenta delle fonti storiche, sia quelle novecentesche più minute, che particolari pubblicazioni o giornali locali. Da questo lavoro ho deciso di escludere la provincia di Lecce, per soffermarmi sui diversi paesi del tarantino, mentre riguardo a Taranto ho focalizzato l’attenzione sulle fonti otto-novecentesche. L’obiettivo è stato fare emergere come Taranto, nelle fonti storiche, a volte insieme a tutta la Puglia, venga considerata “epicentro” del fenomeno. 

Il lavoro di ricerca però non è limitato alla sola Puglia...
Le ricerche si sono sviluppate a cerchi concentrici sul resto delle regioni e ho preso in esame un’ampia serie di fonti, anche piuttosto eccentriche e divertenti, come quella riferita all’Umbria o un’altra addirittura alla Dalmazia. Inoltre, c’è quella che credo sia la più compiuta investigazione sistematica sul tarantismo iberico, che è un po’ un unicum non essendoci nulla a riguardo neppure in lingua spagnola e limitandosi gli studi attualmente a disposizione sul tema al Settecento e all’Ottocento. 

Il tuo studio però non è limitato al solo tarantismo ma tocca anche i rituali di possessione...
Già de Martino stabilisce un parallelismo con i rituali di possessione dell’Africa Sub-sahariana. In questo senso ho confrontato gli studi sulla trance di Gilbert Rouget e George Lapassade e le connessioni tracciate con l’area islamica da Silvio Marconi. 

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