
Partiamo da lontano. Ci racconti il tuo percorso di avvicinamento e scoperta della pizzica pizzica?

Come ha preso vita l’idea di questo nuovo libro con Vincenzo Santoro?
Il libro ha avuto una gestazione complessa. L’idea nasce dal desiderio di lasciare una traccia rispetto ad un lavoro di ricerca e laboratoriale di circa vent’anni con l’obiettivo raccontare l’origine del ballo della pizzica pizzica e di fare chiarezza rispetto alle forme coreutiche salentine (il ballo della festa, la schema, il ballo di terapia). Abbiamo inoltre cercato di descrivere le nuove tendenze espressive sviluppate dall’esplodere della moda della pizzica. Negli anni ho condiviso molti laboratori con Vincenzo Santoro sia a Roma che nel Salento sviluppando un dialogo costante e approfondito sui vari aspetti della cultura salentina.

L’esplosione della moda della pizzica, che possiamo collocare a metà degli anni novanta, avviene dopo una lunga interruzione della pratica coreutica dovuta a vari fattori: al massiccio fenomeno di emigrazione che ha colpito il nostro territorio, a nuovi e più moderni balli che si stavano diffondendo ed infine la pizzica pizzica era anche legata al rito del tarantismo, pratica estinta a partire dagli anni 1980, ma il cui ricordo rievocava un certo disagio perché legato al malessere psicologico. Alcuni gruppi musicali di riproposta primo fra tutti Arakne Mediterranea (Giorgio Di Lecce e Cristina Ria), avevano già proposto la danza sul palco rivisitata e rielaborata, così che quando inizia l’interesse per questo antico ballo, questa danza è divenuta il modello di riferimento. In quegli anni però gli anziani se sollecitati erano ancora in grado di ballare e raccontare il ballo contadino, ma l’entusiasmo che ha travolto il Salento e i salentini fuori sede è stato così profondo da non avere il tempo di interrogarsi su quale fosse “vero” ballo, ma la musica e la danza hanno risposto ad un dirompente desiderio di affermazione identitaria, una forma di rivalsa del sud. Nel tempo è nata una “nuova danza”, slegata dal contesto di origine, confusa con il rito del tarantismo, estetizzata, in contraddizione profonda con la cultura di origine che si è diffusa grazie di insegnanti spesso poco preparati e inconsapevoli. Nelle interviste fatte, si evince che l’entusiasmo della riscoperta di questi tesori del passato, ha fatto sì che i protagonisti di questa rinascita non si siano interrogati a fondo su cosa stesse accadendo e soprattutto nessuno si sarebbe mai aspettato che la nostra umile musica/danza sarebbe diventata un fenomeno

Accanto alla parte curata da Santoro in cui ricostruisce la rinascita e la riscoperta della pizzica pizzica, c’è la seconda in cui tu ti occupi della pratica del ballo. Come hai approcciato la tua ricerca sulla pizzica pizzica?
La mia ricerca nasce in modo spontaneo, ma nel tempo desideravo avere degli strumenti più efficaci per comprendere e proporre il ballo nei contesti scolastici, dunque mi sono rivolta all’etnocoreologo professor Giuseppe Gala il cui lavoro ha guidato la mia ricerca. La mia formazione si è completata in seguito con gli studi di danzamovimentoterapia dove ho unito il mio percorso di studi in psicologia con l’amore per il ballo.
Quali sono state le fonti a cui hai attinto per questo libro?
Le mie fonti sono state: l’osservazione diretta e le interviste/riprese agli anziani danzatori, lo studio di testi di antropologia e di danza (danza etnica e danzamovimentoterapia), lo scambio con altri ricercatori.
Quali sono i tuoi riferimenti principali a livello etnocoreutico?
A livello etnocoreutico ho apprezzato nel tempo il lavoro di Giuseppe Gala, Placida Staro, Noretta Nori. Mi è stato inoltre prezioso l’incontro con il danzatore Herns Duplan (fondatore di Expression Primitive) e France Schott Billmann il cui lavoro parte da una riflessione profonda sulle danze etniche estrapolando un metodo di lavoro finalizzato alla terapia corporea.