Il nuovo album di Daymé Arocena, ventisettenne cubana, comincia con il suono delle onde del mare che cullano la voce narrante della cantante in un’invocazione ad ascoltare il ciclo della luna e a rendere omaggio a tre delle principali divinità della Santería afrocubana: Oyá, Oshún e Yemayá. Ad ognuna di loro è dedicato un brano della “Trilogía” che apre il disco. Alle preghiera e ai flutti si sovrappone, percussivo, il piano acustico di Jorge Luis Lagarza Pérez e quindi la batteria di José Carlos Sánchez: il cambio di ritmo è evidente, ma le sorprese sono appena cominciate: una micro-pausa ed ecco che piano e batteria tacciono e lasciano spazio al canto che Daymé Arocena dedica ad Oyá e Xango e che chiama l’accompagnamento dei tre tamburi batá, suonati da Marcos Morales Valdés e la risposta di voci femminili, tutte sovra-incise dalla stessa Daymé Arocena. Aggiungete anche i cori maschili, interpretati da Jorge Luis Lagarza Pérez e il basso di Rafael Aldama Chiroles e avrete tutti gli elementi sonori dell’album: una cantante ed un percussionista che incontrano un “classico” trio jazz ma che suonano come un’orchestra e, soprattutto, che scelgono il cambio di passo quale registro estetico, in un continuo svelare e sviluppare il viaggio che in modo circolare lascia fluire le sonorità e la spiritualità yoruba fra i due lati dell’Atlantico. E non potrebbe essere diversamente mentre si cantano le divinità del fuoco e dell’aria e dell’acqua, dei fiumi e del mare, le loro interazioni, le loro trasformazioni.
Come a metà sia di “Oshún” sia di “Yemayá” in cui il sussurro e il clima di intimità lasciano spazio all’incresparsi improvviso dell’acqua, sospinta dai cori e poi da tutto il gruppo, con le tastiere di Lagarza Pérez che si propongono anche come seconda voce. La spiritualità yoruba è il primo dei tre temi centrali nel disco.
In una recente intervista raccolta da “Latino USA”, Daymé Arocena raccontava: «La mia musica è sempre stata ispirata dalla musica popolare cubana. Ovviamente, il modo in cui vedo la religione non è necessariamente quello dei miei genitori, dei miei amici, della mia madrina. Ognuno vive la religione in modo diverso. Io mi sono perdutamente innamorata della musica religiosa prima di divenire praticante. L’ho scoperta quando avevo 17 anni. È a quell’età che ho scritto “Trilogía”, un approccio alla musica popolare dalla prospettiva della musica classica (mentre frequentava il Conservatorio “Amadeo Roldán”, ndr). È il motivo per cui ho scelto di incorporarla in questo album, dato che “Sonocardiogram” è un disco in cui parlo dal fondo del mio cuore. È il suono che fa battere il mio cuore. E per parlare della mia essenza dovevo parlare di quel che mi ispira di più, la musica popolare, con le sue melodie e ritmi diversi, le sue complessità, i suoi misteri. Ho deciso di essere una praticante a 22 anni. Ci sono voluti cinque anni per me dal momento in cui ho cominciato ad amare questa musica al momento in cui ho cominciato ad amarne le pratiche spirituali e la religione. E questo ha trasformato la musica che avevo composto prima e il modo in cui ho composto e fatto musica in seguito».
Una di queste trasformazioni riguarda lo sforzo del connettere la musica con il contesto in cui viene suonata. Da qui la scelta di uno studio diverso rispetto alle registrazioni dei due album precedenti. “Sonocardiogram” è stato inciso in quello che una volta era uno studio di pittori e che la famiglia López ha adattato anche a sala per prove
musicali, una luogo vivo, non del tutto isolato acusticamente.
Accanto a “Trilogía”, il disco presenta altre due suite: “Cinco maneras de amor” (le tracce 6 – 10) e “A difuntos presente” (gli ultimi due brani). Nella prima Daymé affronta il tema delle relazioni di coppia e, ora che si è appena sposata, ripensa ai suoi rapporti precedenti ed esplora altre lingue come in “As feridas”, con testo in portoghese, e in "Not For Me", dove canta in inglese e dopo uno splendido solo di basso racconta che semplicemente «vivere con la tristezza non fa per me». Il terzo tema del disco sono i musicisti che nel passato hanno segnato la musica cubana e con cui Daymé Arocena sente di avere un forte legame, in particolare La Lupe e Arsenio Rodriguez, entrambi fortemente legati alla spiritualità, ai ritmi e alle sonorità yoruba.
Il “Sonocardiogram” si rivela, allora, un esercizio espressivo capace di restituire all’ascoltatore quanto di più profondo nella storia personale, affettiva e spirituale di questi artisti possa essere ricondotto ad una narrazione in musica. L’energia e lo spessore affettivo che ne scaturisce è coinvolgente, tanto più quando, come in “Para el Amor: Cantar!” c’è anche spazio per l’improvvisazione, per la quale ha un occhio di riguardo Jorge Luis Lagarza Pérez nei suoi arrangiamenti.
Alessio Surian
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