Ci puoi raccontare come sei riuscita a ricostruire la pratica della pizzica pizzica nel marasma di confusione generato dalla massificazione del fenomeno?

Passando alla didattica ci puoi parlare del tuo metodo di insegnamento del ballo?
Il mio metodo è nato progressivamente attraverso l’esperienza e grazie al mio percorso di formazione come psicoterapeuta/danzamovimentoterapeuta. Ho lavorato sempre con due intenti da un lato salvaguardare quest’antico ballo e dall’altro aiutare le persone a ritrovare una connessione più serena con il proprio corpo attivando la capacità di relazionarsi all’interno del gruppo.
Nel libro sono presenti anche delle illustrazioni divulgative sui passi e sui gesti da compiere durante il ballo. Come si è indirizzato il tuo lavoro in questo senso?
Mi piace disegnare, dunque abbiamo pensato di supportare la descrizione del movimento con un disegno per renderlo più chiaro.
Il testo chiarisce le tre tipologie coreutiche che caratterizzano la pizzica pizzica. Puoi parlarcene brevemente partendo dalle sostanziali differenze?
Tra le danze salentine distinguiamo: il ballo della festa, la scherma, il ballo della cura. La pizzica pizzica è il ballo della festa del mondo contadino e a differenza delle altre tarantelle del sud è una danza privata nel senso che si ballava a casa tra parenti e conoscenti.

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nella redazione del libro?
La difficoltà più grande è stata quella di rendere semplice un fenomeno complesso dalle molte sfaccettature nel rispetto degli operatori del settore. Ciò che voglio dire è che posso non trovarmi d’accordo con alcuni danzatori e danzatrici nelle loro proposte didattiche e di spettacolo, ma sono consapevole che apparteniamo alla stessa “tribù danzante” legati da un profondo amore per la musica/danza e il territorio.
Come si è evoluto negli anni l’approccio alla pizzica pizzica in relazione alla riscoperta e alla ricerca in ambito musicale?
La ricerca in ambito musicale è stata più semplice perché supportata da registrazioni, spartiti, e anziani suonatori ancora attivi sul territorio. Il canto e la musica non hanno subito l’interruzione e l’oblio che ha riguardato la danza. Nel secondo folk revival degli anni duemila, il ballo “reinventato” è stato usato per fare esplodere l’interesse per il Salento e avviare un flusso turistico a partire dalla nostra ricchezza culturale e territoriale. Anche la musica ha subito delle trasformazioni, velocizzandosi e fondendosi con altri repertori. Il suonatore nella tradizione dialogava con il danzatore. Ora non è più così: ciascuno mostra la propria abilità tecnica senza curarsi dell’altro.

Karkum Project è un progetto nato dall’idea di due musicisti Giulia Tripoti (Roma) e Claudio Merico (Taranto). L’idea del video nasce dal desiderio di offrire una testimonianza che potesse contrastare le bizzarre proposte di questo ballo nei vari ambiti. L’obiettivo era di esprimere un pensiero chiaro e rispettoso nei confronti di chi ha fatto scelte diverse. Il messaggio doveva essere quello di dare un peso al ballo come espressione della cultura, al fine di stimolare attenzione e creare un dibattito. Karkum Project ha scelto di lavorare con me perché da anni mi sono impegnata in questa direzione ma non essendo avvezza all’utilizzo dei social, hanno pensato di sostenere questo messaggio attraverso un linguaggio più “moderno” per arrivare al pubblico di danzatori ed appassionati con più efficacia.
Come giudichi il crescente interesse verso il ballo tradizionale con il progressivo aumento di corsi, stages e workshop?
L’aumento dei corsi non costituisce un problema, mi fa piacere che le persone conoscano la nostra tradizione e si incuriosiscano alle danze tradizionali italiane. Il problema sta nella formazione degli insegnanti e nel dichiarare esattamente ciò che si propone. Il termine “tradizione” è abusato e tende ad essere usato a sproposito perché al pubblico piace idea di approcciarsi a qualcosa di “antico”. Spesso si propongono stages e seminari che nulla hanno a che fare con la storia e la memoria salentina, ma sono riletture personali di un ballo giustificate dall’idea di rivitalizzare una tradizione che altrimenti morirebbe. Penso che se perdiamo il senso delle cose che facciamo tutto è destinato a morire o si trasforma così tanto da divenire un'altra cosa. Quando parlo del mio lavoro sulla pizzica pizzica amo usare il termine “restauro” perché nella mia ricerca ho cercato di salvare frammenti di memoria coreutica. Altri come me hanno lavorato in tal senso contribuendo alla rinascita di una tradizione che stava morendo. Allo stesso modo chi ha inventato e trasformato questa danza ha creato un altro linguaggio che inevitabilmente ha acceso polemiche e dibattiti tra tradizionalisti e innovatori, che di fatto hanno favorito ad alimentare una certa attenzione sul questo elemento della cultura.

La Notte Della Taranta è un grande evento dell’estate salentina e nasce con l’idea di far incontrare altre culture e linguaggi musicali con la nostra tradizione. Nelle varie edizioni il ballo ha sempre avuto un ruolo decorativo ovvero non c’è mai stato un vero progetto né conservativo né artistico. Nell’edizione del 2010 in maestro concertatore Ludovico Einaudi ha voluto sul palco le varie espressioni del ballo (ballo della festa tradizionale, neo-pizzica in coppia e solista, teatro danza, scherma). A parte questa esperienza, nelle edizioni successive la danza è tornata ad avere una funzione di contorno. Dal 2013 è stato coinvolto un coreografo di fama internazionale (che spesso ha una scarsa conoscenza della coreutica tradizionale) per far incontrare la tradizione con altri linguaggi (altre danze etniche, danza contemporanea, teatro danza, danza classica) così come avviene nella musica. I risultati posso piacere o non piacere ma sicuramente la nostra danza tende scomparire soppiantata da una “mescla” di passi delle tradizioni salentine/brindisine, accenni di altre tarantelle, movenze di neo-pizzica (termine inventato da Giuseppe Gala per definire una nuova pizzica caratterizzata da un’enfatizzazione del corteggiamento e un’estetica ricercata). Sicuramente in questo modo non si tutela la memoria di questo antico ballo, ma volendo lo spazio per fare questo ci sarebbe…La danza tradizionale parla al cuore, fa comunità, lo spettacolo è un’altra cosa ma proprio perché il concerto della Notte Della Taranta è molto seguito, è proprio il palco che rappresenta un’occasione dove poter inviare dei messaggi corretti accanto ad elaborazioni più spiccatamente artistiche.
Concludendo, quali sono le prospettive future della didattica e della diffusione della pizzica pizzica?
A questa domanda rispondo con dei desideri: mi piacerebbe che ci fosse una maggiore consapevolezza e formazione negli insegnanti di danze tradizionali (soprattutto salentini). Vorrei che questo elemento della cultura fosse trattato con maggior rispetto per riuscire a tramandarlo con correttezza alle nuove generazioni, trasmettendo un modo di stare insieme che parli di comunità e condivisione. Vorrei che fosse chiara la proposta dei corsi: danza tradizionale, neo-pizzica, elaborazione personale a partire da spunti delle danze tradizionali, teatro danza, scherma. Mi piacerebbe che anche nella musica ci fosse più attenzione e che si tornasse a far dialogare la musica e la danza in modo corretto. Infine, mi piacerebbe non assistere più alla spettacolarizzazione del rito del tarantismo sui palcoscenici nelle piazze, ridando dignità alla sofferenza e semmai assistere ad una rievocazione proposta in teatro all’interno di una cornice rispettosa della storia e della cultura. Fatta chiarezza, salvaguardata la memoria coreutica/musicale/culturale, c’è spazio per tutti.
Franca Tarantino, Vincenzo Santoro, Il ballo della pizzica pizzica, Itinerarti 2019, pp. 88, Euro 12,00
