Mascarimirì – Elettro Mascarimiri - Music for Dancing (ARRA Produzioni Mediterranee/Italysona, 2021)

Dimenticare la pandemia con Elettro Mascarimirì. Rimettere insieme le tessere del mondo rom del Sud Italia con il sequel di "Gitanistan".
 
Un disco per tornare a ballare, un progetto di documentario per continuare a indagare il vasto mondo di “Gitanistan”. “Elettro Mascarimirì - Music for dancing” è il nuovo progetto di Claudio “Cavallo” Giagnotti e Mascarimirì, prodotto da Arra Produzioni Mediterranee per Italysona con il sostegno di Puglia Sounds Records. Uscito poco prima dell’estate, a pochi mesi di distanza da “Nou?”, è stato elaborato nel tempo silenzioso, e lento, della “clausura” richiesta dal distanziamento sociale, uno spazio lontano dal palcoscenico che diviene un’opportunità per interrogare i desideri. Ma a quelli che portano avanti, verso il post-pandemia, fanno da controcanto i desideri che guardano indietro, indugiando negli echi di un passato culturale in rapido mutamento.
 
“Elettro Mascarimirì - Music for dancing” nasce nel pieno della pandemia: paradossalmente, non si tratta di un disco “d’ascolto” ma corre, più dei precedenti, nella direzione della musica da club. Anche il nome del singolo, “Dance freely”, evoca il sogno di tornare a ballare. Quali ispirazioni hanno guidato la composizione del disco?
Io sono un grande appassionato di musica elettronica, ascolto sempre progetti che hanno un respiro internazionale, in cui mi rivedo, seguo culture musicali in cui poter trovare senza soluzione di continuità il basso, la batteria, le percussioni, gli strumenti della tradizione. E poi, da anni sono molto interessato alle musiche del Nordafrica e del Medio Oriente. A partire da tutti questi ascolti, cerco di affinare un mio sentimento personale, per contribuire a un ulteriore sviluppo della musica salentina. Diciamolo, ormai quasi tutti si servono di suoni elettronici, di basi, ma Mascarimirì ha cominciato vent’anni fa… siamo stati pionieri di un sound che oggi va di moda. 
Io, di ritorno da Marsiglia nel 1998 capii che “lu tambureddhu” non aveva senso nel nostro contesto contemporaneo se non ne sposavamo il suono con un sound internazionale. Vorrei anche aggiungere, che per me è molto importante condurre una riflessione seria su ciò che si va a comporre: ho studiato i tamburi del Sud Italia, i tamburi nordafricani, le karkabaat, le nacchere marocchine, e i fiati etnici del Mediterraneo nell’idea di utilizzare consapevolmente i suoni, esprimendone la loro etnicità. È importante sentire un suono e poterlo ricollegare al suo essere salentino, o magrebino, libanese. Oggi nei mercati internazionali della cosiddetta world music o global music sta venendo a mancare questo concetto di appartenenza. È certamente importante “fare musiche unendo musiche”, ma è altrettanto importante che chi lavora su questi arrangiamenti sia consapevole della provenienza di un sound, di una ritmica, di una melodia tradizionale. La pizzica pizzica ha un suo proprio ritmo, e per me è fondamentale, nelle composizioni che faccio, mantenere il beat del “tambureddhu”. Lo chiamo così, “tambureddhu”, come è il suo nome tradizionale, in dialetto, non “tamburello”: anche il nome segna un’appartenenza».
 
Come hai vissuto questa pandemia? Ti ha cambiato?
Ho approfittato della chiusura forzata per studiare e migliorare il mio percorso. Io e la mia compagna ci siamo sopportati e supportati. Anche lei, che è una videomaker, si è messa a lavoro su cose nuove, come me. Abbiamo approfondito nuove conoscenze utili per il nostro lavoro. A me piace studiare, per essere indipendente. A differenza di altri artisti che sono obbligati ad un grosso investimento di denaro, noi riusciamo a realizzare produzioni anche internazionali a costi relativamente contenuti, perché facciamo
tutto qui, nella nostra “casa-puteca Kashu Cavallo”, come ci divertiamo a chiamarla, con un gioco di parole, dato che lei si chiama Kasha, io (Claudio) Cavallo, e i nostri due nomi insieme ricordano un po’ quello del cacio cavallo, immancabile compagno delle cene domestiche. In questi mesi ho anche iniziato a sistemare l’archivio Mascarimirì, un universo di vecchie foto, brani, prove, video… ho comprato un hard disk da due terabyte, spero mi basterà.
 
Torniamo a Elettro Mascarimirì. Una selezione di brani “terapeutici”, in qualche modo, legati al ballo e al potere catartico della musica...
Quando mi chiedono “perché non porti sul palco i ballerini, perché non allestisci uno spettacolo classico per i concerti di Mascarimirì?” Io rispondo che la musica deve essere funzionale al ballo di tutti quelli che partecipano, non è fatta per essere “guardata”. “Elettro Mascarimirì” nasce per far ballare, in una maniera liberatoria, “terapeutica” se vuoi, in questo momento, dopo questa lunga pandemia, in cui la gente non ce la fa proprio più a stare ferma.
 
Un mix di sonorità salentine ed estere, del Mediterraneo in primis. Ma forse sarebbe più corretto, ad oggi, parlare di sonorità salentine tout court, se facciamo riferimento a un Salento contemporaneo ormai ibridato nel dialogo con altre culture.
Questo lavoro deve molto all’incontro con il cantante e percussionista marocchino Amine Halim, che ho trovato da subito molto interessante e competente. Allo stesso tempo, anche lui è rimasto colpito dalla mia conoscenza della musica tradizionale marocchina, anche se parlare di musica “marocchina” è come dire “musica popolare italiana”, non ha molto senso, si dovrebbe entrare nel dettaglio. 
Sta di fatto che tra noi c’è stato uno scambio di posizioni e informazioni, e un desiderio di collaborare. In particolare, c’è un brano che unisce le nostre due provenienze, “Pizzica di San Marocco”, dal titolo inequivocabile. Come Amine, molti ragazzi ormai vengono da fuori ma vivono qui da anni e interagiscono perfettamente con la cultura locale. Amine va regolarmente alla festa di Santu Roccu a Torrepaduli, si sente di qua, ma si sente anche “di là”, c’è sempre un po’ di crisi in questo rapporto di appartenenza, è vero, ma lui è davvero una sintesi ben riuscita, come tante altre persone arrivate da noi, di un’integrazione che potrebbe fare scuola. Il Salento è un territorio speciale: voglio ricordare che negli anni ‘50 la comunità Rom salentina è stata una delle poche a integrarsi veramente con quella autoctona. Quando ho realizzato il documentario “Gitanistan”, mi sono accorto che era anche difficile parlare di “comunità nella comunità”: la gente, semplicemente, non vedeva questa divisione, non la percepiva.
 
A proposito di "Gitanistan": nel disco c’è un particolare omaggio a quel film, il brano “Balkanica pizzicata”, uno dei vostri pezzi più noti.
Era da tanto che volevo tornare su questo brano. Ho pensato di fare una versione da dj set, con un sound più attuale, cambiando pochissime cose in realtà, ma dando una nuova vita a uno dei brani sicuramente più ascoltati del nostro repertorio, quello che fa ballare la gente dalle prime due note. “Gitanistan”, poi, rappresenta sicuramente un momento importantissimo della mia carriera. In questi mesi sto lavorando un “Gitanistan 2”, per rintracciare le musiche e le culture rom non solo del Salento ma del Sud Italia.
 
Un “sequel” che sarà certamente molto atteso...
Ci lavoro, in realtà, già da quattro o cinque anni, c’è già una cartella aperta sul mio computer, e ha anche un titolo… L’obiettivo di questo nuovo progetto è continuare a riflettere su temi quali appartenenza, tradizione, contaminazione. “Gitanistan” ha raccontato lo stato immaginario delle famiglie Rom salentine, il nuovo progetto allarga lo sguardo e si pone nuove domande. Innanzitutto, parlare del mondo rom significa parlare di un universo stratificato e complesso: solo nel Salento ci sono quattro, cinque gruppi diversi, dai kosovari ai montenegrini, ai rom del Sud della Francia. E poi, qual è la musica rom? Il balkan, il flamenco, solo il mainstream che ci viene proposto, o la musica che i rom decidono di “abitare” quando si fermano e sentono odore di casa? Può essere, una musica rom, la tarantella calabrese, la pizzica salentina? Sono queste le domande che cercheremo di indagare.


Giorgia Salicandro
 
Mascarimirì – Elettro Mascarimiri - Music for Dancing (ARRA Produzioni Mediterranee/Italysona, 2021)
Scrivendo di “Nou?” pubblicato lo scorso anno, sottolineavamo come Claudio “Cavallo” Giagnotti con i suoi Mascarimirì abbia spostato sempre più in là, nel corso degli anni, i confini delle proprie ricerche sonore, spinto non solo dalla curiosità di esplorare nuovi territori sonori, ma anche dall’esigenza di allontanarsi da certi provincialismi in cui spesso langue la scena musicale salentina. La peculiare visione della tradizione in movimento, racchiusa nel concetto di Tradinnovazione, si è concretizzata in una progettualità coraggiosa e non immune da difficoltà, ma certamente foriera di tante fortunate intuizioni a partire dalle collaborazioni sul versante franco-occitano per passare all’articolato progetto “Gitanistan” - declinato tra disco, mostra fotografica, live e un docu-film – e ancora prima con le sperimentazioni sulla voce di “Tradizionale. Polifonia paccia salentina” e per giungere al più recente “Occhi Turchini 2.0” (limitato purtroppo ad un solo singolo). In questo contesto, fondamentale importanza ha avuto la dimensione live, in cui si coglie a pieno il dispiegamento di forza ed intensità di Claudio “Cavallo” e non è un caso che, ai concerti full band, abbia affiancato dei live set in solo, tutti da ballare, in cui si destreggia tra elettronica, piatti e strumenti tradizionali. Complice il lockdown dello scorso anno e l’incontro con il giovane cantante e percussionista marocchino Amine Halim, già ospite sul palco de La Notte della Taranta nel 2019, ha preso vita “Elettro Mascarimiri - Music for Dancing” album che cristallizza le intersezioni tra tradizione salentina, musica elettronica e suoni da dance hall. La prima fase di lavorazione, presso la “casa-puteca Kashu Cavallo” (sede anche di Arra Produzioni Mediterranee), ha visto coinvolto anche Massimiliano Almoraima all’oud ed è stata focalizzata alla ricerca di ritmi, suoni e suggestioni vocali che si dipanano dal Salento al Nord Africa attraversando il Mediterraneo. Ne è nato un insieme di segmenti acustici di casba, nay, bendir e strumenti della tradizione mediorientale che, successivamente, nella seconda fase di lavoro presso lo studio Essenza di Spongano (Le), sono stati trasformati in loops elettronici in cui si sono innestati i tamburi a cornice di “Cavallo” e le idee musicali del gruppo. Voci antiche, canti tradizionali, frammenti versi poetici hanno impreziosito il tutto componendo un universo musicale che lega passato, presente e futuro. Laddove “Pizzica Dance Hall Party” del 2016, fa vedeva i Mascarimirì rielaborare le registrazioni sul campo con il producer Alessio “Franza” Amato, questo nuovo album ribalta la prospettiva e pone al centro la creazione di nuovi brani con l’idea di restituire al pubblico la voglia di ballare liberamente, riscoprendo le radici della funzione liberatoria della danza. Ne è nato un disco da electro party metropolitano in cui i dodici brani in scaletta si muovono sulle onde del Mare Nostrum attraverso coordinate sonore differenti. Tamburi a cornice, fiati e percussioni mediorientali dialogano su beat elettronici acid-house dipanandosi tra pizzica, pizzica salentina, musica sufi, gnawa e chaabi. Nel disco però non c’è solo musica trance, ma anche un intreccio di lingue che mescola salentino, francese, inglese, arabo e polacco, con le melodie della tradizione mediterranea, nord africana e del Sud Italia, il tutto abbattendo ogni tipo di frontiera spazio-temporale. Aperto dalla ipnotica “Dance freely” che suona anche come un manifesto programmatico, l’album entra nel vivo con le poliritmie della trascinante “Elettro Chaabi Tarantolato” in cui spicca Amine Halim e gli attraversamenti sonori tra Salento e Nord Africa. Il torrido crescendo di “Berber forever” e la brillante “Aulos” giocata tra fiati, percussioni e loop ci introducono alle rielaborazioni di un soundscape di “Calime”, alle registrazioni sul campo rielaborate in chiave acid-house con voce antica di Pippi de Curse di “Acid-A” e all’incursione nel Bosforo di “Turkija” in cui fa capolino alla voce d Kashu. Seguono altre due coinvolgenti rielaborazioni di fields recordings con le voci di Antonietta Barbetta (“Atlasia”) e Carmela Rinaldi (“Carmeliddha”) che ci accompagnano al vertice del disco con la superba “Pizzica di San MaRocco in cui ritroviamo la voce di Amine Halim. La “Fx version di “Dance freely” e la “club version” di Balkanika Pizzicata da “Gitanistan” completano un disco tremendamente intrigante e dallo standing internazionale che non mancherà di conquistare anche le dance hall estere. Il disco è disponibile su Bandcamp.
 

Salvatore Espsoito

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