Magister Petrus, giornate di musica e di studio dedicate a Pietro Sassu

Una vita per la musica e le tradizioni popolari
Dopo gli studi in conservatorio e in università, Pietro Sassu si dedicò intensamente alle ricerche etnomusicologiche, collaborando tra gli altri con Diego Carpitella, Roberto Leydi e Sandra Mantovani. Avendo scritto diffusamente, in passato, sul rapporto Morelli-Sassu, di seguito ci limiteremo a riportare alcuni concetti chiave espressi dagli Autori nel testo sopra citato. Come anticipato, Simone Sassu, musicista e giurista, è Presidente degli’ “Archivi Sassu”, ideati circa quindici anni or sono, al fine di tutelare, recuperare, catalogare e diffondere i materiali di ricerca prodotti dall’etnomusicologo sassarese. L’Associazione è stata fortemente voluta dai suoi familiari e da una ristretta cerchia di amici e colleghi. Conscio della mole del lavoro da svolgere, in introduzione al libro, Simone Sassu ha evidenziato «… che c’è ancora tanto da fare e forse ne saremo impegnati per tutta la vita. Ma sappiamo anche che la riscoperta e la valorizzazione dell’immensa mole di documenti, che forniscono testimonianza delle loro pioneristiche imprese, ci consegnano un programma di lavoro in continuo aggiornamento, che sarà ancora a lungo occasione di sempre nuove esperienze di ricerca». Gli amici de “Su Cuncordu de Cuglieri” hanno coralmente evidenziato il loro percorso musicale (si protrae ormai da circa quarant’anni), sottolineando come i canti sacro-popolari vengano eseguiti secondo tradizione orale e parallelamente indagati da diversi ricercatori, i quali ben conoscono le difficoltà nel rintracciare le origini: «Anche attraverso queste vie sconosciute e misteriose, seguendo orme ora di matrice colta, ora popolare, arrivano sino a noi le voci del sacro. Il coro Su cuncordu de Cuglieri le ha ricevute dalla tradizione più antica e la custodisce con cura e dedizione, consapevole che la tradizione più autentica “non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco».  
Nel libro è presente un nostro contributo “Pietro Sassu e Renato Morelli amicizia e sinergie nella ricerca etnomusicologica”, nel quale abbiamo tratteggiato i percorsi seguiti dai due studiosi, ponendo in risalto la solidità culturale con la quale Renato Morelli è riuscito dare continuità e rinnovato vigore alle proprie ricerche, dando lustro all’amico sardo, avendo la consapevolezza che quanto comunemente prodotto potrà essere sicuro punto di riferimento per tutti coloro che vorranno seriamente approfondire le tradizioni musicali locali. Abbiamo concluso il contributo, con l’auspicio che le istituzioni pubbliche e private collaborino, affinché l’opera dei due etnomusicologi venga adeguatamente valorizzata e trasmessa alle generazioni future, tenendo presente la lezione di amore che sta alla base di tutte le loro ricerche.
L’idea di realizzare il film su Cuglieri risale a metà anni Ottanta, quando Morelli e Sassu effettuarono registrazioni sul campo, finalizzate alla realizzazione della raccolta discografica di musiche liturgiche popolari italiane, in parte confluite nel cofanetto contenente quattro LP (con volume allegato) “Canti liturgici di tradizione orale” (Arcangeli-Leydi-Morelli-Sassu, 1987). Successivamente, la coppia Sassu-Morelli si distinse per la pubblicazione di quattro cd (Edizioni Nota), rispettivamente dedicati alle comunità di Castelsardo, Cuglieri, Orosei, Santu Lussurgiu. L’opera filmica “Voci del sacro” è stata autoprodotta, grazie anche alla generosa e gratuita collaborazione di Bice Morelli (camera), Livia Morelli (fonico in presa diretta), Stefano Menin (camera), Sara Maino (camera e montaggio), Paolo Carboni (camera), quest’ultimo coinvolto nel progetto grazie all’interessamento del sassofonista e ricercatore Gavino Murgia.  
Nel contributo testuale, Morelli ha voluto mettere in luce le difficoltà tecniche incontrate nonché il suo orientamento estetico in ambito etno-antropologico. Le riprese degli eventi di Cuglieri sono state particolarmente impegnative, per via dei canti eseguiti in movimento durante le processioni paraliturgiche. Tale caratteristica ha richiesto numerosi accorgimenti per quanto riguarda il lavoro di team, relativo alle riprese audio-video in presa diretta. Diverse riflessioni tecniche ha poi riportato in merito al montaggio, nel quale sono state effettuate sofferte scelte circa la selezione delle scene riprese dal vivo (il girato delle interviste ammonta a oltre sette ore di registrazione, mentre il montaggio finale dura circa quaranta minuti).  Tuttavia, non si deve pensare a uno spreco dei materiali filmici registrati, perché Morelli è conscio dei possibili usi che potrebbero essere impiegati per la valorizzazione dell’intero girato, tra cui, ad esempio, «scopi museografici o di supporto multimediale a esposizioni del settore, che costituiscono una delle principali destinazioni del film etnografico. Se dunque le esigenze del film prevedevano necessariamente il montaggio stretto dei canti, con il taglio netto di alcune strofe, l’accurata ripresa integrale dei canti ha reso possibile in post-produzione un montaggio più largo, con i canti nella versione completa da inserire all’interno del DVD come bonus track».
 
Antropologia e analisi musicale
Nel suo contributo, Piera Perria ha riportato puntuali note etno-antropologiche, riferite ai riti paraliturgici della Settimana Santa di Cuglieri. Una particolare attenzione è stata data a quanto scritto da Felix Despine, intendente del Re di Sardegna che, durante il suo soggiorno, ebbe modo di osservare e descrivere con discreta accuratezza tali riti (Despine F., 1881, “Souvenir de Sardaigne”, Baratier e Dardelet, Grenoble - traduzione di Loddo T., “Ricordi di Sardegna, un anno a Cuglieri e dintorni (1858-1859)”, Cagliari, Domus de Janas editrice, 2010).  Naturalmente, la Perria ha tenuto conto della vasta letteratura riferita alle tradizioni popolari sarde, inoltre si è cimentata in un’indagine sul campo attraverso colloqui con anziani, nati negli anni Trenta del secolo scorso, testimoni di un passaggio epocale verso la modernità. Riflessioni teoriche sono state riportate in merito ai testi delle preghiere cantate le quali, all’interno delle comunità, sono funzionali anche in termini didattici oltre che di completamento alla narrazione dei momenti topici del triduo pasquale, nel quale si commemorano la Cattura, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Tra i testi latini, specifica attenzione è stata data al “Miserere” e allo “Stabat Mater”, dove la Madre, “dolorosa iuxta crucem lacrimosa”, con il “Planctus”, segna il momento più tragico della Passione, culminante negli atti de “s’igravamentu” (lo schiodamento) e la conseguente “Deposizione” di Cristo dalla croce. Facendo riferimento a consolidati studi etno-antropologici, Perria ha posto in risalto il parallelo tra i riti religiosi e gli eventi naturali, visti in relazione al calendario agrario e al susseguirsi delle stagioni.  Un parallelo che la ricercatrice ha sviscerato comparando fonti scritte e orali: «Non pare privo di significato che sino agli anni quaranta del secolo scorso la cronologia dei riti maggiori della settimana santa fosse regolata dal tempo della natura, mentre, a partire dagli anni cinquanta si assiste a una serie di cambiamenti della sequenza rituale. Se, ad una prima ricognizione basata sulle testimonianze dei più anziani, tali mutamenti sembrano essere l’esito di una contrapposizione tra la teologia e la liturgia ufficiale della Chiesa e la religiosità popolare, a una riflessione più attenta le ragioni devono essere cercate altrove. Probabilmente nelle trasformazioni che hanno influenzato lo statuto festivo nel tempo della modernità avanzata e in seguito all’impatto dei processi di globalizzazione (...)».
“Il canto a cuncordu nella settimana santa di Cuglieri” è il titolo del contributo scritto da Oliver Gerlach, studioso indipendente e provetto cantore di musica bizantina, con speciali competenze nel canto liturgico occidentale e orientale, secondo la modalità dell’“oktoechos”. Nello specifico, ha avuto modo di analizzare la polivocalità locale, ponendo in evidenza l’approccio “modale”, in relazione alla grammatica della salmodia a più parti, osservando come tale grammatica possa essere analizzata in chiave esegetica. I canti presi in considerazione sono il “Miserere” e i due “Stabat”, i cosiddetti “Stabat mater semplice” e  “Stabat Mater sequentia”. Le analisi sono state supportate da trascrizioni musicali pubblicate in appendice (due su pentagramma, una su trascrizione bizantina), realizzate utilizzando “Elan”, un software innovativo (realizzato dal “Max Plank Institute”), che permette di trascrivere direttamente da file audio o video, visualizzando in tempo reale i movimenti armonici delle singole voci. Le trascrizioni sono state integrate con comparazioni di melodie del repertorio gregoriano, fornendo al lettore anche un glossario finale, utile guida alla terminologia tecnica impiegata, che potrebbe spiazzare il lettore non avvezzo al linguaggio musicale e a tutte le considerazioni necessarie per analizzare la complessità, lo stile e le caratteristiche estetico-espressive dei canti sacro-popolari a più voci di tradizione orale. Nel testo, oltre a numerosi esempi musicali, sono stati riportati diversi spettrogrammi, i quali hanno permesso di analizzare l’andamento delle diverse voci anche in relazione ai fenomeni acustici che siamo soliti definire di “auto-armonizzazione”, ottenuti grazie agli “armonici” i quali, in determinate circostanze fisico-acustiche, permettono di far udire suoni non direttamente emessi dalle voci dei singoli cantori.  In tema di “alchimia” sonora, sono stati posti in evidenza anche diversi preziosismi estetici, come, ad esempio, «(…) ogni volta che un melisma viene interrotto da una pausa, i cantori hanno una particolare tecnica per sfumare il suono. Sebbene di solito le vocali siano articolate, terminano tutte con un suono nasale (come ad esempio nel caso di «a» che suona come «am»), causato dalla chiusura delle labbra, che provoca una distorsione delle formanti vocali. Un altro aspetto del suono è un glissando molto lento, quando le pause vengono interrotte da una triade».
Per l’Autore, “Stabat sequenzia” è stata la composizione più complessa da analizzare, “perché le voci si muovono in un glissando continuo mentre camminano in processione” e ciò li rende peculiari nel contesto regionale. Diverse osservazioni delle analisi sono state opportunamente riferite al rapporto testo-polivocalità, utile per meglio comprendere la sinergia tra i canti e il contenuto poetico.  
Interessanti risultano alcune analogie individuate da Gerlach con il canto georgiano, riferendosi a “Voci per imparare”, testo scritto dall’etnomusicologo Filimon Koridze (divenuto “santo”, nel 2011, grazie agli auspici del Patriarca di Tbilisi) nel quale, con fini pratici, si suggerisce ai giovani cantori di muoversi per quinte e ottave parallele (come succede negli “incipit” dei canti di Cuglieri).
 
In limine
Come etnomusicologi, abbiamo spesso privilegiato gli studi dedicati alle singole comunità, più che le ricerche passeggere e generaliste dedicate alle tradizioni musicali regionali. Sono gli studi locali che garantiscono spessore al repertorio isolano, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze identitarie. Tale verità trova particolare riscontro in un’epoca contraddistinta da un soffocante e viscido mondialismo, nel quale sempre più si tendono a massificare e uniformare (quando non anche ibridare acriticamente) in vario modo le diverse tradizioni orali, di fatto annacquando le alterità.  
Il libro “Voci del Sacro” e il documentario di Morelli andranno ad arricchire la produzione di qualità - letteraria, filmica e musicale - relativa ai riti pasquali e ai canti polivocali sardi. Gli studi teorici identitari sono importanti, ma il pensiero finale desideriamo dedicarlo all’essenza espressiva e vitale dei canti, ovvero agli amici “cantores”, esecutori perseveranti che, nel corso dei decenni, hanno permesso al repertorio polivocale di tradizione orale di sopravvivere, dando lustro alla propria comunità, nel segno della continuità storico-sociale. Una storia che, negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, stava scricchiolando e per la quale alcuni avevano prospettato imminente fine. Leggendo il testo e vedendo il film, si scoprirà come Morelli, con preciso intento narrativo, abbia voluto dare adeguato risalto ai “cantores” nelle interviste, in particolare a Filippo Casule (bassu), Gianni Desogos (“tenore falzu”), Tonio Idda (“contraltu”), Domenico Murgia (“tenore”) e ai rispettivi figli, Giuseppe Casule (“bassu”), Alessio Desogos (“contraltu”), Emanuele Idda (“tenore falzu”). Roberto Murgia (tenore), invece, è il nipote di Domenico. Questi giovani sono il futuro della comunità in termini esecutivi e identitari.  L’8 e il 9 settembre, i cantori di Castelsardo, Cuglieri, Orosei, Santu Lussurgiu renderanno affettuoso omaggio a Pietro Sassu, il quale insegnava che canti e riti popolari si riescono ad apprezzare profondamente, dopo aver vissuto e studiato a diretto contatto con le specifiche comunità, nel rispetto della loro cultura. Sono canti da eseguire con anima e passione, il cui approccio NON richiede superficialità d’intenti. Sassu, inoltre, insegnava il rispetto delle minoranze, del pensiero critico e del principio di alterità musicale anche quando in contrasto con il pensiero dominante, spesso ammantato di accademicità dogmatica. Principio che contestualizzava in “un momento critico delle società evolute”, nel quale riteneva che le differenze musicali potessero beneficamente “essere fonte di utili riflessioni per cogliere alcune linee di forza del pensiero musicale complesso”.  
Ci ha accompagnato nel compimento finale degli studi universitari, con rinnovata stima, a “Magister Petrus” dedichiamo la nostra “Vision” artistica e il contributo odierno: in memoriam!

Paolo Mercurio

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