Concepito e registrato nel soggiorno di casa a South Brent (contea del Devon, Inghilterra sud-occidentale) durante il confinamento dello scorso anno, “The Beacon” è il quinto album degli inglesi David Harbottle (voce, chitarre, cittern, banjo, basso e percussioni) e Freya Jonas (voce, harmonium, concertina, piano e glockenspiel), partner di arte e di vita, che arriva dopo il disco dai contenuti marinareschi, intitolato “The Sea is my Brother”, e che è arricchito dall’allargamento da duo a trio, per via della collaborazione di Annie Baylis (voce, violino, viola e fisarmonica). Per di più, entrano pure gli sparsi tocchi di synth, inseriti dal produttore e ingegnere del suono Josh Best-Shaw.
L’album raccoglie nove canzoni e un tradizionale la cui ispirazione, per forza di cose, deriva dalla condizione di isolamento vissuta lo scorso anno. Il titolo prende a prestito l’immagine dei fuochi di segnalazione accesi in ben noti luoghi, utilizzati un tempo sia come fari per la navigazione in mare sia per segnalare a terra accadimenti e pericoli. Le fiamme di questi “fari” dell’antichità simboleggiano non solo la necessità di riflettere sulla vita sociale e sul rapporto con la natura, ma intendo rappresentare, soprattutto, la speranza e l’ottimismo per il futuro, raccontano i due musicisti nelle note di presentazione.
Il songwriting di Harbottle & Jonas si inserisce nei canoni di un folk contemporaneo che non disdegna affatto la ripresa di moduli pop o di quell’insieme eterogeneo rubricato sotto la categoria di Americana. Apre l’album la title track, che fa riferimento all’Ugborough Beacon, antica struttura di granito, non lontana dalla casa di David e Freya, da cui si gode una vista incantevole sulla brughiera di Dartmoor. Le suadenti armonie vocali incontrano plettri e archi in un alternarsi di crescendo e di passaggi più delicati. L’ispirazione per “Edith Cavell” proviene, invece, da una poesia Robert Lawrence Binyon, dedicata all’eroica e tragica storia dell’infermiera del Servizio Sanitario Nazionale Britannico, impegnata sul fronte belga nel corso della prima guerra mondiale: ascoltiamo ancora un tema incentrato sulle armonie a più parti intorno alle quali si muovono gli strumenti acustici. “I Make a Nest” mette al centro la bellezza dell’autunno e , più in generale, della natura: qui è Freya Jonas che assume il ruolo di voce principale, accompagnata dallo squisito controcanto di Baylis. Coloriture country si impongono in “Whenever you See a Robin”, dove spicca il felice dialogo tra chitarre e harmonium; le liriche del motivo provengono dalle memorie familiari di Jake Cauty, regista e autore del video di singolo “The Beacon”. Dopo i tempi veloci della morbida “Every Creature is a Book”, il pensiero si rivolge alla mancanza di interazione sociale, che è protagonista di “Lights”, una song incentrata sul pianoforte e interpretata da Jonas, che ne è l’autrice. Il violino è lo strumento portante di “Anam Cara”, brano dal tratto “celtico”. È un componimento firmato da tutti e tre gli artisti, che procede sul doppio binario colto e popolare, mettendo al centro il conflitto interno tra corpo e anima: una riflessione sviluppata en-route, prima di una nuotata nel fiume le cui acque si sentono a inizio del pezzo. La delicata “F.C. Jonas” è stata scritta da Freya come tributo a suo nonno, mentre la successiva “Shelter” è influenzata dalla poetica di John O’Donohue, autore cui è caro proprio il concetto celtico di “anam cara” (termine che deriva da “anamchara”, ossia “anima amica” in irlandese). A chiudere il disco è una splendida versione del celebre tradizionale scozzese “Black is the Colour”, eseguito da Freya Jonas su un bordone di viola.
Se da un lato occorre riconoscere che non tutti i lavori prodotti nell’intimità casalinga durante questa emergenza sanitaria fanno centro, dall’altro va detto che “The Beacon”, coniugando spessore poetico e buona musica, si erge ben oltre la media. Il lavoro conferma la caratura di Harbottle & Jonas, che si affermano nel sempre più vivace circuito nu folk britannico. Intanto, la coppia sta progettando un album in collaborazione con il veterano cantautore e storyteller Reg Meuross, in cui rivisiteranno “Ten Folk Songs”. Stay tuned, folks.
Ciro De Rosa
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