Andreas Tophøj & Rune Barslund – Trails & Traces/Vaev – Vaev/Gangspil – Gangspil 2/BRAGR – Live At Engelsholm Castle (Go’ Danish Folk Music, 2021)

Dalla Scandinavia, e nella fattispecie dalla Danimarca e dalla benedetta etichetta Go’ Danish Folk Music, un poker di dischi che raccontano e dimostrano la ricchezza e vivacità di una scena folk di cui non si è mai parlato molto, o comunque non abbastanza, qui in Italia. “2”, ovviamente è il secondo album realizzato insieme da Kristian Bugge (violino) e Sonnich Lydon (organetto diatonico e armonica a bocca) ma in realtà è il primo con la denominazione Gangspil che deriva dal titolo di un album realizzato nel 2015 in trio con il chitarrista e cantante Morten Alfred Høyrup. Come e più del lavoro precedente anche questo è imperniato prevalentemente sulla musica tradizionale da ballo con motivi provenienti dal repertorio popolare (diversi dei quali inclusi in raccolte databili al XVIII secolo) o dalla penna dei due musicisti. Vals, menuet e polka e rejlendær si susseguono snodandosi attraverso ben ventotto tracce perché l’album è addirittura doppio, il che di questi tempi è a dir poco impensabile: non preoccupatevi però perché, anche se magari non amate le danze popolari, qui non c’è assolutamente da annoiarsi in quanto i due musicisti, oltre a maneggiare con destrezza i loro strumenti, occasionalmente cantano e, qualora non vi sembrasse sufficiente, per aggiungere ulteriore varietà, si sono fatti aiutare in studio da diversi amici che hanno aggiunto chitarra, bouzouki, pianoforte, violino, harmonium e altre voci. Quanto esposto pocanzi vale, a grandi linee, anche per “Trails & Traces” che d’altronde è sempre frutto di una coppia, questa volta formata da un violinista e un fisarmonicista (con uno strumento però cromatico), ovvero Andreas Tophøj & Rune Barslund: qui i contributi esterni sono pressoché inesistenti (si ricorda in pratica solo la voce di Sinhe Lahm Lauritsen nell’unico brano cantato,
“Rosen”), ma sia Andreas che Rune occasionalmente si dedicano al pianoforte e il repertorio è più vario, perché non è limitato alla tradizione danese ma pesca idealmente in tutta l’area scandinava sconfinando nelle Isole Britanniche e persino oltreoceano. L’intento del duo infatti è quello di rievocare i loro viaggi attraverso una serie di composizioni, perlopiù originali, ispirate alle loro esperienze ed alle persone che hanno incontrato nei loro itinerari: si segnalano in particolare due set dal forte sapore irlandese e l’iniziale “The Kerry Polska” che, a dispetto del titolo, si muove su coordinate che sono proprie della musica scandinava, a fare da corollario ad un lavoro assai gradevole e, benché sia inutile dirlo, suonato in maniera perfetta. Anche i Vaev sono un duo, però il loro approccio alla musica scandinava è ben altra cosa rispetto ai due prodotti di cui sopra. Poul Lendal e David Mondrup sono musicisti con una lunga carriera alle spalle, il primo non solo nel folk ma soprattutto nell’ambito della musica colta ed elettronica mentre Poul Lendal è un veterano della musica popolare danese con trascorsi in alcuni dei suoi gruppi più importanti come i Lang Linken e gli Harpen Kraft; fra loro suonano almeno una dozzina di strumenti, compresi violino, flauto, scacciapensieri (molto diffuso al nord, specie in Norvegia), fisarmonica, melodica, harmonium e tastiere nonché alcune percussioni. In questo primo frutto della loro collaborazione gran parte del materiale proviene dal ricco repertorio tradizionale locale, a parte un paio di brani scritti dai due musicisti, ed è stato trattato con ampio uso di elettronica ed altri marchingegni assortiti allineandosi a quel che comunemente viene chiamato folktronica. 
Per cercare di comprendere meglio la loro proposta si potrebbero scomodare, per restare da quelle parti, i gloriosi Hedningarna (anche se i Vaev non posseggono la stessa genialità e la brillantezza del gruppo svedese, e ancor di più le magnifiche voci finniche che erano parte fondamentale di quell’organico) ma un paragone ancor più calzante potrebbe essere quello degli occitani Gai Saber. In questo loro disco infatti, più che incorporare l’elettronica e fonderla in un unico inedito linguaggio sonoro, i Vaev tendono semmai ad utilizzarla per marcare e sottolineare la dimensione ritmica del materiale da loro selezionato che ha perlopiù carattereballereccio e strumentale, pur senza trascurare alcuni episodi cantati in coro (nei quali si fanno aiutare da Mia Guldhammer); questo se non altro dà la possibilità di apprezzare la loro versatilità e abilità come musicisti poiché gli strumenti acustici restano quasi sempre in primo piano e pure per questo motivo, nonostante il disco sia ben lontano dal capolavoro, il semaforo è complessivamente verde. L’idea di trasportare la tradizione nel presente è alla base anche dell’operato dei BRAGR, il cui nome è mutuato da Bruge che nella mitologia nordica rappresenta il dio della musica e della poesia. Il quartetto guidato da Perry Stenbäck però non ha avuto bisogno di ricorrere all’elettronica, e nemmeno all’elettricità, per riuscire a creare uno stile fresco e dinamico, optando piuttosto per il virtuosismo dei suoi componenti, qualche influsso jazz e specialmente per arrangiamenti ricchi di brio e fantasia, così da riuscire ad elaborare un sound tremendamente compatto, energico ed efficace, che fa quasi pensare ad una versione più ridotta del “muro del suono” che era proprio dei favolosi e seminali Filarfolket (tanto per restare al Nord) oppure i più famosi Blowzabella. 
I BRAGR però sono solo in quattro e non a caso nelle loro vene scorre anche sangue svedese, proprio quello di Perry Stenbäck che, infatti, ha portato in dote al gruppo, oltre al cittern, quel meraviglioso strumento peculiare alla tradizione del suo paese che è la nyckelharpa: Christine Dueholm, Jesper Frost Byling e Kristian Bisgaard sono invece danesi ed contribuiscono con chitarra, basso acustico fretless, batteria e percussioni e naturalmente le loro voci (qui però poco utilizzate e in pratica quasi come fossero altri strumenti). Il secondo album del quartetto, come recita il titolo, è stato registrato interamente dal vivo ma non presenta alcun duplicato con l’opera prima , “Danmarkar'n” (Go’ Danish Folk Music, 2016), e ne ripropone intatte le stesse emozioni incrementando, come sempre dovrebbe essere in concerto, la vitalità e la spontaneità di un repertorio che, inevitabilmente, guarda alle culture di tutta l’area scandinava senza disdegnare affatto la proposta di nuove composizioni originali comunque sempre in linea con le tradizioni locali. L’ottima acustica del castello in cui è si è svolto il concerto, per altro più che adeguatamente trasposto su disco, e l’alternanza di momenti più pastorali ad altri saltellanti e vorticosi, oltre a tutte le altre virtù del gruppo elencate prima, ha non solo trascinato e coinvolto il pubblico presente (che verso la fine partecipa con entusiasmo) ma è molto probabile, se non del tutto certo, che potrà ammaliare anche chi dovrà accontentarsi di questo eccellente “Live At Engelsholm Castle”. 


Massimo Ferro

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