Di friscaletti, zampogne, insegnamenti, maestria e pratica della tradizione. Intervista a Pietro Cernuto

Non è nuovo sulle pagine di Foolk Magazine, Pietro Cernuto, messinese di residenza romana, studi accademici al Conservatorio “Corelli” della sua città natale, formato agli strumenti e alla pratica di tradizione orale con i suonatori dell’area dei Peloritani. Già primo sassofono tenore della Banda dell’Esercito Italiano, provetto suonatore del friscaletto, l’agile flautino di canna, e di zampogna a paro siciliana, membro degli Unavantaluna, ma musicista aperto anche a svariate collaborazioni, dal Tama Trio  ai dialoghi tra aerofoni popolari e strumenti e repertori classici. In questa occasione lo incontriamo in veste di costruttore, finendo gioco forza per parlare anche di maestri, di insegnamenti e di saperi tradizionali.

Quando e come hai iniziato a costruire strumenti? Hai avuto maestri?
Per rispondere mi piacerebbe iniziare proprio dai maestri non soltanto costruttori, parlando di quei portatori della nostra tradizione che ci hanno trasmesso tutto il loro sapere senza nessun interesse, ai tempi in cui facebook non esisteva, quando questo mondo lo vivevi esclusivamente per pura e genuina passione, quando di tanto in tanto rubavi il sapere e i segreti degli altri, ammesso che ci riuscivi, quando dovevano passare gli anni prima di essere accettato: è il mondo in cui sono cresciuto. Don Sostene Puglisi di Mili S. Pietro, Nunzio Famà di Scala Torregrotta, Don Nino Cannistrà di Monforte S. Giorgio, Nino Giunta di Fiumedinisi, Salvatore Vinci di S. Filippo Superiore, Giovanni Ciulla di San Pier Niceto, che ci ha lasciato poco tempo fa, ma potrei citarne tantissimi altri… Oggi le cose si trasmettono soprattutto via internet, un tempo dovevi prima di tutto conoscere, poi era importante farti conoscere, prima di dirti le cose si dovevano fidare di te, e alla fine non è detto che ti dicevano tutto… Non rispondevano mai in maniera esaustiva e ti lasciavano sempre col dubbio. Non so se è meglio oggi o prima, ma di sicuro un tempo le cose te le dovevi sudare, quando le capivi significava che “sapevi”, potevi dire che avevi raggiunto un traguardo. Io ho avuto la fortuna di crescere con queste persone, anche se all’inizio non è stato facile. Studiavo in Conservatorio quindi ero visto come uno che musicalmente poteva superarli. Mi dicevano che suonavo in maniera diversa da loro perché “suonavo a musica”.  
Col tempo però mi hanno conosciuto, sono stato accettato, e mi hanno insegnato tutto ciò che era necessario per essere indipendente con questi strumenti. Uno di loro, Famà, dopo più di dieci anni che suonavo con lui in giro per la Sicilia, si decise ad insegnarmi la costruzione della zampogna a paro. Quando mi chiamò per dirmelo, esordì in un modo che non posso dimenticare: “Pietro, hai presente quello che ti ho detto fino adesso? Scordalo e ripartiamo da capo”. Nell’estate del 2004 mi fece stare due mesi a casa sua e mi insegnò tutto il suo sapere sulla costruzione della zampogna, delle ance semplici, in siciliano “zammare”, necessarie per fare suonare questi strumenti, di come si realizza un otre in pelle di capra.  In quel periodo costruimmo una zampogna, che poi mi regalò e che oggi suono in giro con le varie formazioni con cui mi esibisco. L’altro mio maestro fu Sostene Puglisi, un monumento della tradizione musicale pastorale dei Peloritani. Lui mi insegnò tutto sulla costruzione del friscaletto, dei doppi flauti, dei ricami a coltello sul friscaletto, di come fare le ance semplici per la zampogna, dell’accordatura della zampogna. Tra tutti gli anziani che ho conosciuto, era l’unico che da un unico stelo di canna riusciva a fare tutte le ance per fare suonare la zampogna. Mi diceva sempre: “Ogni canna utilizzata per costruire le ance ha il suo suono. Se vuoi che tutti i chanter della zampogna abbiano lo stesso timbro, devi imparare a fare le ance con la stessa canna”.  Non ci sono mai riuscito. Ne io e ne nessuno…  Questo è uno dei motivi per cui nell’ambiente musicale pastorale messinese “ ‘Mpari Sosti Puglisi” è considerato “U nummiru unu”! Oggi ci sono tanti musicisti costruttori molto bravi, dei veri perfezionisti. Ma, a mio avviso, e ne sono pienamente convinto, soprattutto se non si ha avuto modo di vivere la tradizione e non si ha avuto la fortuna di conoscere queste persone, la loro bravura sarà sempre diversa da chi ci ha preceduto, da chi ha vissuto in altre epoche, con pregi e difetti, proprio perché questi strumenti erano vissuti e suonati in un altro modo. Oggi, secondo il mio pensiero, ben vengano tutti gli studi, le migliorie, i perfezionamenti sia costruttivi che musicali su questi strumenti antichi: la musica, quando è fatta bene, è sempre bella. È importante però  che tutto ciò venga fatto col rispetto per la tradizione, per le origini, per le persone che ci hanno tramandato il loro sapere. 
Non bisogna mai dimenticare da dove veniamo, non si devono snobbare le tradizioni antiche, come mi è successo diverse volte di ascoltare, non bisogna avere nessuna vergogna. Chi suona o costruisce questi strumenti deve essere consapevole che, se noi oggi ne facciamo uso, è solo grazie alle persone semplici, genuine, umili, a volte analfabete ma non stupide, che ce li hanno fatti conoscere e apprezzare.

Parliamo del friscaletto? 
Il friscaletto siciliano è di un solo modello. Cambiano le tonalità di impostazione, ma la tipologia è unica: 7 fori anteriori e due posteriori.  È la presenza di questi due fori posteriori che lo rende unico. Anticamente si dice che uno strumento simile con due fori posteriori e quattro anteriori sia stato importato in Sicilia dai Francesi ai tempi dei Vespri Siciliani. Questo strumento prendeva il nome di flagiolet. Successivamente, sono stati introdotti altri fori anteriori arrivando all’attuale strumento di oggi. Io li costruisco in tutte le tonalità, dal DO grave al DO/RE acuto. Man mano che cambia la tonalità, cambia la lunghezza dello strumento e, conseguentemente, la distanza tra i fori.

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