In memoria di Tony Rice, maestro della chitarra flatpicking e del bluegrass

Il giorno di Natale ci ha lasciato Tony Rice (Danville, VA 8 giugno 1951 – Reidsville, NC 25 dicembre 2020). Il suo è un nome che in Italia può dire poco, probabilmente sconosciuto ai più, se non agli amanti del genere bluegrass. Eppure Rice è stato un grande artista, ineguagliato artefice di una vera rivoluzione nella musica country folk americana. A riprova della sua statura, universalmente riconosciuta negli States, lo stesso “New York Times” gli ha dedicato una lunga retrospettiva. In Italia le parole più belle sono quelle che per lui ha speso Beppe Gambetta, sulla sua pagina Facebook ha lasciato un sentito e personale ricordo, un debito artistico e, immaginiamo, anche personale e umano: “È veramente triste svegliarsi in un mondo senza Tony Rice. Lui è già immortale nell'Olimpo del flatpicking con quei 4-5 grandi che hanno fatto la storia di questo stile. La sua musica continuerà a parlarci e toccarci nel profondo come sempre […] perchè da Tony Rice avevamo imparato che il flatpicking non era solo fatto di fiddle tunes e di tradizione, ma poteva anche fondersi con il jazz e aprirsi a universi creativi infiniti anche al servizio della canzone e di nuove musiche originali. Quando poi è uscita "Church Street Blues" Tony ha raggiunto l'apice: tutti abbiamo capito che il flatpicking poteva esprimere poesia pura, l'arte sublime che tocca l'anima nel profondo. La musica di Tony è ora patrimonio dell'umanità”. Dalle sue parole si possono intuire la grandezza e il principale merito di Tony Rice, aver saputo rinnovare un genere musicale senza tradirlo. Artisticamente infatti nasce come chitarrista bluegrass, uno dei tanti nella affollata scena musicale americana, ma da subito abilissimo nel flatpicking. Questo stile chitarristico è eredità di una generazione di musicisti come Doc Watson e Clarence White; negli anni ’70 condivide la ribalta con gli altri massimi rappresentanti di questo stile che, con Dan Crary e Norman Blake, è divenuto ormai un vero genere musicale a sé stante. 
Di Clarence White, dopo la sua morte, riuscirà anche a recuperare lo strumento, la Martin HD28 del 1935 con la buca allargata che diverrà ora per sempre iconica nell’immaginario collettivo (un po’, se vogliamo, l’equivalente folk della Gibson Les Paul di Peter Green passata a Gary Moore). All’inizio della sua carriera Rice appartiene alla generazione di nuovi ragazzi terribili del bluegrass insieme a Jerry Douglas alla steel guitar e Ricky Skaggs, giovane ma già affermato mandolinista e polistrumentista. Proprio Skaggs lo porterà definitivamente nel circuito degli interpreti più importanti, sancendo la sua completa affermazione artistica. La più importante testimonianza di questo periodo è il disco omonimo di “J.D. Crowe & the New South” del 1975. È un esordio folgorante, un disco che, grazie anche al virtuosismo dei suoi musicisti, diviene presto un modello per tutti gli interpreti del nuovo bluegrass con un approccio musicale e un’orchestrazione dell’ensemble strumentale che diverrà un vero e proprio standard. Tuttavia Rice si dimostra presto insofferente ai limiti della struttura tradizionale dei brani country e alla riproposizione, per quanto raffinata, della musica tradizionale. Immediatamente dopo l’uscita del disco lascia la band e si unisce al nuovo quintetto di David Grisman, mandolinista abbastanza noto e dalle idee decisamente “progressiste”, già servizio di Jerry Garcia, Grateful Dead e Peter Rowan. Con Grisman le contaminazioni con il jazz cominciano a farsi evidenti e lo stile di Rice si adatta ecletticamente alle sue composizioni e al suo stile. “David Grisman Quintet” del 1975 è un disco importante e innovativo, e la collaborazione di Rice arricchisce di molto le idee di Grisman. Parallelamente Rice pubblica i suoi primi lavori solistici ma è nel 1978, chiusa l’esperienza con Grisman e con un bagaglio stilistico certamente perfezionato da questa, che compie il grande salto e forma una band propria, The Tony Rice Unit. Con la piena libertà creativa, e il supporto dei musicisti “al suo servizio” (il fido Todd Phillips al contrabbasso, ma anche gli interventi di Sam Bush e Mike Marshall al mandolino, Jerry Douglas al Dobro e ancora Grisman e Skaggs), si misura con la composizione di brani originali che non siano necessariamente legati alle usuali progressioni armoniche del genere, ormai di maniera e prevedibili. Se i suoi primi dischi solisti si mantenevano tutto sommato ancora abbastanza saldamente nel confortevole solco della tradizione bluegrass, con la sua “Unit” Rice va ora decisamente oltre i canoni consolidati del bluegrass; in un contesto orgogliosamente, e talvolta fanaticamente, conservatore e “bianco”, Tony Rice prova a guardare alla musica realmente a 360 gradi. 

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