Michele Gazich – Fiume Circolare (FonoBisanzio, 2020)

Esistono canzoni che racchiudono nelle loro liriche un mondo, un universo, un insieme di sensazioni legate non solo all’autore ma all’intera collettività. E’ il caso di “Fiume Circolare” è il nuovo brano firmato dal violinista, compositore e produttore Michele Gazich che giunge a due anni di distanza dal pregevole album “Temuto come grido, atteso come canto” ed anticipa la pubblicazione del nuovo disco “Argon”. Lo abbiamo intervistato per approfondire con lui questa nuova ed intensissima composizione, senza dimenticare qualche anticipazione sul prossimo lavoro.

Ci puoi raccontare com'è nato "Fiume Circolare"?
Ho trascorso l'inverno e parte della primavera del 2019 in una casa campidanese, non lontano da Cagliari, in Sardegna. Cercavo me stesso e nuove ispirazioni esistenziali ed artistiche, respirando l'aria dell'isola. Alla fine di tutto, quando la primavera stava già per sfociare nell'estate, è nata “Fiume circolare”. Stavo vivendo una tragedia esistenziale, il collasso del mio progetto di ispirazione verso nuova arte e nuova vita, ma ho aperto un libro, fortunatamente. Il libro è “L'Homme Flottante”, di Jean Flaminen. Avevo incontrato il poeta nell'aprile di quell'anno a Venezia al festival "Incroci di civiltà", al quale entrambi partecipavamo. Dopo avermi fissato a lungo, l'anziano poeta sciamano francese mi scrisse sulla prima pagina del libro, in italiano perché io ben comprendessi: "Una corda slegata ormeggia il fiume". Fu la cellula generativa per il testo della canzone.

Quali sono le ispirazioni musicali alla base di questo brano?
Cominciò come un grido, su degli accordi staccati e ben scanditi. Quasi una canzone punk. Poi gli accordi si distesero e divennero rarefatti arpeggi. Io non sono un pianista, il mio strumento principale è il violino, ma sentivo che dovevo suonare questa canzone al piano, che il grido del violino doveva declinarsi in arpeggio pianistico. Sentivo anche che la mia voce doveva tornare a farsi sussurro. Trattenere la rabbia. Mi ritrovai, per calmare il mio spirito, a ripensare all'elegiaco stile pianistico di Bill Fay e lo declinai in una chiave tutta mia, tutta nostra, figlia dell'abate Martini: dall'Inghilterra ancora all'Italia.

Nel presentare il brano scrivi "So che la canzone parla di me e di voi, oggi. Tutti noi che viviamo le nostre vite isolate e tuttavia proprio per questo, paradossalmente, siamo uno. Un fiume circolare ci circonda. Non è un fiume come tutti gli altri che scorrono dalle montagne al mare, non è nemmeno un fiume che può portarci da qualche parte, neppure un fiume nel quale lavare i nostri panni sporchi e non ci sono ponti o guadi per passarlo. È circolare. È un muro liquido". Questa parole evocano una sorta di barriera invisibile che ci separa e ci tiene lontani. Un fiume impetuoso impossibile da attraversare...
La canzone nacque, ti raccontavo, su di un'isola: in Sardegna. Ora è come se fossimo tutti su isole. Una condizione, sì, di separazione, ma comune a tutti noi. Una solitudine condivisa. Questo muro liquido mi sembra ancora più terribile della "società liquida" di cui scriveva Zygmunt Bauman.

Il brano mi riportato alla mente "Così parlò Zarathustra" di Friedrich Nietzsche dove nella terza parte "La visione e l'enigma" parla dello scorrere del tempo come un circolo e la verità del tempo sta nel tornare su se stesso come l'ouroboros, il simbolo archetipale che raffigura il serpente che si morde la coda. Mi sembra vi sia un sottile parallelismo con il tuo brano...
Come tutti, anch'io sono influenzato dal pensiero di Nietzsche! Leggo e rileggo da quando ero ragazzo "Così parlò Zarathustra", capolavoro che ha resistito a semplificazioni e ad usi faziosi e reazionari! Sì, forse proprio grazie a Nietzsche, credo in un tempo circolare, ritornante su di sé. Purtroppo, anche se mi piacerebbe averla, non ho una prospettiva evolutiva sull'umanità e, ahimè, nemmeno su me stesso. Crediamo di evolverci ed è invece spesso un'involuzione. Viviamo ora un nuovo Medioevo. Io, come artista, quando ancora si poteva andare in giro, percorrevo il devastato Occidente con il mio carretto, simile a quello dei teatranti nel “Settimo Sigillo” di Bergmann
Mi muovevo da un'abbazia all'altra, da un'università all'altra: luoghi dove ancora si tenta di fare cultura e dove ho portato le mie canzoni, circondati da oscurità. Anche il vostro giornale è una di queste abbazie, circondato dal magma informe e bruciante di internet. 

Come nei tuoi precedenti lavori anche questo nuovo brano sembra imbevuto di sapienzialità ebraica. Quanto ti ha dato a livello ispirativo ed emotivo il contatto con questo immenso universo di conoscenza?
La radice ebraica è allo sfondo della mia famiglia paterna, intrecciata a quella slava. Per questo suono il violino. Mi sono sempre sentito arricchito e incuriosito dalla sapienzialità ebraica e dagli scrittori, dai grandi maestri che appartengono a questo popolo. Nella cultura ebraica la scrittura viene definita "Fuoco nero su fuoco bianco" ed è come se lettere di fuoco nero bruciassero sul fuoco bianco della pagina. Ho scritto una canzone così intitolata, che, ripeto sempre, è un invito a farsi bruciare dal fuoco dei libri, invece di bruciare i libri stessi. Il sapere ebraico, nelle sue declinazioni sacre e non, ogni giorno brucia e cauterizza la mia stupidità. Provo un senso di gratitudine verso la cultura ebraica, che mi ha messo di fronte a me stesso, alla mia forza e alla mia debolezza: "Sono forza e sono paura / Sono guerra e pace / Tu che ridi, non ridere di me / Nel mio cuore s'impasta il tuo pane", come cantavo qualche anno fa in una canzone intitolata “Shekinah”.

Ci puoi raccontare come si sono svolte le sessioni di registrazione di "Fiume Circolare? Come hai lavorato all'arrangiamento del brano?
Il brano, una volta che decisi che andava suonato al piano, già nei giorni della sua composizione, negli appunti nelle mie registrazioni casalinghe, si presentava già formato così com’era, nel demo piano e voce. 
Così l'ho registrato, nel giugno 2019 (presso lo studio MacWave di Brescia, con il tecnico del suono Paolo Costola, con il quale collaboro da tempo ormai immemorabile...). E così pensavo che dovesse restare. Certamente non volevo aggiungere una sezione ritmica. Ho provato, invece, ad aggiungere dei commentini di chitarra classica a cura di Marco Lamberti, il mio più stretto collaboratore da ormai quindici anni, bellissimi da sentire, ma distraevano dal testo. Con Lamberti, abbiamo convenuto che andavano tolti. Ho provato poi ad aggiungere la voce meravigliosa della cantante armena Rita Tekeyan, che aveva già collaborato con me in Temuto come grido, atteso come canto: in un primo tempo aveva la funzione di seconda voce e raddoppiava la mia voce, armonizzandola in vari momenti, ma infine ho lasciato solo il vocalizzo tra strofa e strofa, che aggiunge e dà mistero, senza rivelare troppo. Ciò che è rimasto è la fisarmonica di Vincenzo "Titti" Castrini, strumento nuovo nei miei dischi, che appare e scompare e fluttua circolarmente insieme al piano. Ammiro molto il modo di suonare di questo fisarmonicista, che già avevo coinvolto quando produssi artisticamente l'album di Lara Molino “Fòrte e gendile”: il suo strumento è diventato il fil rouge che collega tutte le canzoni del mio futuro album, “Argon”.

Nello splendido video che ha accompagnato l'uscita del brano sei al pianoforte e scalzo. Il tuo violino e le scarpe sono già al di là del fiume. C'è quindi una speranza sul fondo del "Fiume Circolare"...
Dal 2012 giro sempre con il regista Enrico Fappani. Lui è anche musicista, grande ascoltatore di musica e vorace lettore. Fin dall'inizio mi ha seguito in questo progetto di riconfigurazione dell'idea di videoclip: non più un semplice e funzionale veicolo promozionale per la canzone, ma piuttosto un piccolo cortometraggio, complementare alla mia composizione, naturalmente, ma dotato di una sua autonoma dignità. Lo slancio artistico di Enrico dialoga con il mio. Quanto alla speranza, naturalmente c'è. 
Tutta la mia arte è piena di speranza, anche quando mostra le mie cicatrici e il mio male di vivere. L'arte veramente senza speranza e priva di ogni dolcezza verso l'uomo è quella d'intrattenimento, quella che spinge alla risata e all'indifferenza mentre il mondo precipita. C'è un bellissimo verso del poeta Ezra Pound: "Quello che sai amare non ti sarà strappato": ben rappresenta la speranza e una folle utopica fede. Ben sappiamo che anche ciò che sappiamo amare ci viene strappato, ma decidiamo di vivere la nostra vita e di amare di nuovo sempre con la fede che ciò che sappiamo amare non ci sarà strappato. Camminiamo sul tetto dell'inferno, nulla fa pensare bene per il futuro, ma dobbiamo avere il coraggio di sperare!  Ogni volta che cito Pound mi sento in dovere di sottolineare che il mio citarlo non ha nulla a che vedere con coloro che, nella totale ignoranza della sua opera, ne hanno fatto una bandiera politica. Io cito il mistico dell'amore, il maestro di T.S. Eliot e di Allen Ginsberg, uno dei pochi poeti menzionati per nome e cognome da Bob Dylan in una sua canzone (“Desolation Row”).

Il brano anticipa l'uscita di "Argon", il tuo nuovo album, ispirato al libro omonimo di Primo Levi. Cosa dovranno attendersi gli ascoltatori?
Spero che possa essere il mio lavoro più articolato e completo, quello che più rappresenta la mia visione dell'arte e della vita. E' figlio di 9 anni di lavoro sulla scrittura e di 2 anni di lavoro in studio di registrazione.  L’Argon, (dal greco ἀργός –όν, cioè “refrattario all’azione, pigro”) è un elemento chimico della tavola periodica: ha come simbolo Ar e come numero atomico 18. L’Argon, insieme all’Elio, al Neon, al Krypton, allo Xenon e al Radon, fa parte del gruppo dei gas nobili, nobili perché hanno la caratteristica di non combinarsi o combinarsi a fatica con gli altri elementi. 
Un tempo veniva anche detto, suggestivamente ed evocativamente, inerte e raro. Argon è, inoltre, il titolo del primo racconto de "Il sistema periodico" (1975) di Primo Levi: autobiografia attraverso i ventuno elementi della tavola periodica, che diventano spunto per brevi narrazioni autobiografiche. Levi, oltre che scrittore, fu chimico. Nel racconto Argon, Levi descrive i suoi antenati ebrei piemontesi, che vivevano, in un atteggiamento di dignitosa astensione, a margine della società per forza, ma anche per scelta. Ho preso a prestito l'idea di Levi per raccontare attraverso le mie canzoni la condizione dell'artista. Se si escludono rari casi felici ed eclatanti, il lavoro dell’artista è lavoro segreto e negletto dalla società, perché è apparentemente inutile. Esso è invece fondamentale per la sopravvivenza del mondo, come l’altrettanto segreto lavoro delle api e dei lombrichi. L’artista può essere ucciso, segregato, messo a margine, ma non sarà mai marginale. Tutto ciò, forse, non dice del mio album nel dettaglio, ma dice credo tutto sul perché ho pensato di scriverlo e di lavorarci così a lungo. Grazie, Salvatore, per queste domande così stimolanti e ricche di spunti.


Salvatore Esposito


I dieci dischi del 2020 di Michele Gazich…

2020 Rough and Rowdy Ways - Bob Dylan (1941- vivente)
2020 Hey Clockface – Elvis Costello (1954 - vivente)
1920 Pulcinella - Igor Strawinskij (1882-1971)
1820 Sonata per pianoforte Op. 109 - Ludvig Van Beethoven (1770-1827)
1720 Tre sonate e tre partite per violino solo - Johann Sebastian Bach (1685-1750)
1620 Libro primo dei Motetti in lode d’Iddio nostro signore – Claudio Monteverdi (1567-1643)
1520 Missa pange lingua Josquin Desprez (1450-1521)
1420 Vasilissa ergo gaude – Guillaume Dufay (1397-1474)
1320 Bone pastor Guillerme – Guillaume de Machaut (1300-1377)
1220 Beata viscera Pérotin (1160-1230)

Blogfoolk mi aveva invitato a produrre una Playlist dei miei album preferiti del 2020. Ho cominciato dai primi due che mi sono venuti in mente. Poi ho pensato: tanti altri sapranno meglio di me, consigliare ai lettori 10 dischi dello scorso anno e allora ho provato a fare una cosa un po' diversa, che spero possiate apprezzare....

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