Mateus Aleluia – Olorum (Selo Sesc, 2020)

C’era una volta, e c’è ancora, Cachoeira, una cittadina lungo la riva del Paraguaçu, nella regione del Recôncavo Bahiano, a 120 chilometri da Salvador. Qui, fra XVII e XVIII secolo vennero deportati decine di migliaia di africani, obbligati al lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero e nelle miniere d’oro. E qui, a fine degli anni Cinquanta, Dadinho, Erivaldo e Heraldo dettero vita a Os Tincoãs, un trio vocale unico, con cinque splendidi album fra il 1962 e il 1986. Nel 1963, Erivaldo lasciò il suo posto a Mateus Aleluia. Con lui il trio orientò le armonie vocali in direzione del samba e della spiritualità di origine africana, in particolare yorùbá, con canti inediti per il circuito radiofonico; canti che erano anche preghiere agli Orixás: Iansã, Obaluaê, Iemanjá. “Deixa a gira girar” stese tutti nel 1973 e, da allora, è rimasta un classico: l’ultimo remix di successo è dei Bixiga 70. Proprio alcuni membri dei Bixiga 70, dei Meta Meta e del gruppo di Céu accompagnano Mateus Aleluia nelle sue ultime registrazioni. Per Letieres Leite “Os Tincoãs sono stati la fanteria nell’affermazione della musica nera in Brasile dove si pensa ancora che la cultura nera non abbia rigore, non abbia i suoi schemi. Certo, non segue gli schemi della cultura europea, ma ha i suoi propri sistemi. La musicalità degli Os Tincoãs sorprendeva: ora la nuova generazione sta assimilando questa musicalità”. I due artefici principali delle composizioni e degli arrangiamenti erano Dadinho e Mateus Aleluia. La stretta relazione con Candomblé e Capoeira li spinsero verso l’Africa e lì accompagnarono in tour Martinho da Vila, decidendo di stabilirsi in Angola: era il 1983. Dopo la morte in Angola di Dadinho, Mateus Aleluia decise di tornare a vivere a Cachoeira nel 2002 pubblicando i suoi primi lavori da solista: “Cinco Sentidos” (2010) e “Fogueira Doce” (2017). Nel terzo album, pubblicato a fine luglio, il settantaseienne compositore, musicista e cantante torna a dar voce alla spiritualità di discendenza africana nella regione bahiana rivolgendosi a Olorum, l’entità suprema, origine della creazione cui non è riservato un tipo specifico di culto: nella tradizione yorùbá, Olorum delega i poteri alle e agli Orixás. Ma oggi il dolore sta diventando insopportabile e la preghiera cantata da Mateus Aleluia cerca ascolto direttamente presso l’entità suprema, invitandolo a re-incontrare il suo popolo: “Olorum seu povo está cansado de sofrer”, Olorum la tua gente è stanca di soffrire. L’apertura dell’album, e più tardi tracce come “Filgo de Rei”, sono autentiche orazioni che non fanno sconti a chi non capisce il portoghese e, infatti, le recensioni in lingua inglese quasi invitano a saltare le prime dolenti tracce dell’album che privilegiano la dimensione voce-chitarra, così come è accaduto quando Mateus Aleluia ha presentato l’album a fine luglio. Con “Kawô Kabiyesilê” l’atmosfera si fa ancora più intima, la lingua approda in Africa, con un canto a Xangô, orixá della giustizia, del fulmine e del fuoco, mentre gli archi si sostituiscono ai tamburi nel contrappunto a chitarra e voce; e fanno da ponte verso “Amarelou”, con i primi due minuti a fermare il tempo, per poi richiamare le percussioni a far assaggiare passi di danza sempre pronti all’incursione e ottimi protagonisti del finale. Solleticati i piedi, ecco “Canta Sabia” e con lei la magia degli Os Tincoãs: il riff che non ti scordi più, gli accenti giusti anche quando arrivano là dove non te li aspetti, il coro che risponde e rilancia la voce, gli assoli di chitarra e flauto traverso che volano a naturale continuazione del canto. Altrettanto contagiose sono “Nganga Njila” e “Pimenta Mumuíla” con brillanti duetti con la mozambicana Lenna Bahule, i cori delle Pastoras do Rosário e il sax di Thiago França. Ma i dodici brani sono anche i passi di un rituale e non potevano mancare, in chiusura, i trascendenti “Talismã” e “Kyriê! Epa Babá...” - dedicato a Oxalá, orixá associato alla creazione del mondo e dell’umanità - sintesi, anche cromatica, dell’intero album. 




Alessio Surian

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