Simona Colonna – Curìma Curìma (Sonirik, 2020)

Nuovo album in studio per Simona Colonna e per quello che, in un capovolgimento letterario, è il suo scudiero, il fedelissimo Chisciotte, per i meno attenti il suo violoncello. “Curìma Curìma”, questo il titolo della sua nuova fatica discografica, è una dinamica sonata per voce e violoncello, nella quale dialetto del Roèro e l’italiano si incontrano e si mischiano sapientemente. Simona è praticamente una cantautrice folk con l’attitudine art-rock ed una formazione classica, se avete avuto, come il sottoscritto, la fortuna di vederla dal vivo saprete già di cosa sto parlando, viceversa sentite questo album per credere. Undici tracce tutte violoncello e voce, con lo strumento che fa da voce solista, da accompagnamento, da ritmica, praticamente da tutto. Ad aprire l’album è la title track, pezzo in piemontese che viene fuori dalla migliore tradizione folk, quella fatta di brani in minore che aprono sulla settima, scanditi dal basso sulla tonica dell’accordo. Un’atmosfera quasi nebbiosa pervade il pezzo, che esce fuori come una camminata a passo molto sostenuto. Tutt’altro clima per “Ala corte dei galin”, brano dall’aria festosa, decisamente più orientato verso un clima da festa di paese, di quelle pure e genuine (disclaimer: ovviamente scrivo dall’altra parte d’Italia, non capisco il piemontese, per cui parlo esclusivamente dell’atmosfera del brano, non vorrei essere frainteso). Notevoli la modulazione dopo la prima strofa e le parti in cui il violoncello non segue il giro di accordi ma si scatena in un contrappunto scatenato. L’intreccio fra le due voci che si materializza in “Albero” è un capolavoro tecnico ed interpretativo: tanto è piena di pathos e di trasporto la voce quanto tempestoso e brumoso è il crescendo del violoncello, in un pezzo che è una cavalcata cupa, a metà fra il racconto nostalgico e la cronaca malinconica dell’odierna incapacità di stupirsi. “Drin drin”, pezzo che racconta, con molta ironia, di dipendenza da cellulare, è una prova perfetta di versatilità e di poliedricità musicale: il violoncello è suonato sulle corde basse per scandire il pezzo, è arpeggiato nelle aperture melodiche, e, come se non bastasse, è usato anche come percussione. “Nanù” è il pezzo con i toni più classici, col violoncello che fa da accompagnamento, alla maniera della chitarra agli albori della canzone d’autore. Ragion per cui a fare da elemento distintivo del pezzo è la voce di Simona, che riesce a spostarsi alla grande fra timbri più caldi e narrativi e vette altissime. Anche “L’è mac piova” è un pezzo giocato su toni cupi, sui quali la voce si staglia quasi salmodiante, mentre il violoncello recita una parte decisamente ritmica, quasi un ostinato, incalzante ed incessante. “La vecchia stazione”, suonata su un accompagnamento in odor di tango, ha una capacità culturale incredibile: abbatte totalmente le barriere linguistiche fra italiano e dialetto. Un andirivieni netto, senza compromessi, che odora di popolare, quello vero, non quello da hipster. Quella mescolanza lì è esattamente il nostro parlato di tutti i giorni, ed, al di là della lontananza linguistica, è uno di quei pezzi che, proprio per questa sua trasversalità, mira a diventare universale. “Solo parole d’amore” è una ballata delicata ed elegante, anche questa espressione di un cantautorato molto classico nelle modalità espressive. A fare da contraltare c’è un testo che è una vera perla, un racconto d’amore appassionato e per nulla banale, “tu non resti e non vai via da me” è un gran bel verso, un modo decisamente più originale del solito per parlare di un’assenza, sublimato da uno splendido vocalizzo nella parte centrale del pezzo. “Tiritera d’la mia tera” è, oltre che un interessantissimo scioglilingua culinario, doveroso omaggio alla tradizione culinaria ed alle eccellenze del Roèro, anche un altro campionario delle tante voci che Simona sa dare al suo violoncello: ad una ritmica vorticosa si alternano parti in contrappunto con la linea vocale. “Masca vola via” è giocata su una forsennata rincorsa fra la voce di Simona e la linea di violoncello, che parte da un ostinato vorticoso per terminare con un’apertura melodica. Nel mezzo un caleidoscopio di contrappunti e parti soliste, a colorare un pezzo dai mille umori, rappresentati alla perfezione dalle variazioni vocali ed interpretative di Simona. Chiude l’album “Babau”, unico brano in cui compaiono frammenti di elettronica. Sostenuto da un violoncello ossessivo, ha come unica parte vocale dei vocalizzi e delle tetre risate, che contribuiscono a conferirgli un’atmosfera decisamente disturbante, da notte delle streghe. Il violoncello è quasi monotono, la sua linea ha pochissime variazioni, soluzione che acuisce l’atmosfera, densa ma molto tesa, del pezzo. In conclusione, Simona Colonna si conferma cantautrice dalla grandissima classe, con una incredibile capacità di fusione e di commistione fra i vari generi. Oltre a questo, “Curìma Curìma” è uno di quegli album che potrebbe fare da sponsor alla riscoperta della semplicità in musica: uno strumento solo, ma tanta, tantissima fantasia. Ecco, spesso basta quello. 


Giuseppe Provenzano

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