Mario Poletti – One Man One Mandolin (Autoprodotto, 2020)

La lunga chiacchierata che noi di Blogfoolk abbiamo intrattenuto con la Teres Aoutes String Band, lo scorso luglio, in occasione dell’uscita del loro secondo album “Courenta & Cadillac”, ci ha senza dubbio confermato che gli orizzonti musicali del quartetto sono privi di limiti. Perché il loro discorso musicale è governato da un approccio puro, diretto, fondamentale. Mario Poletti, che di Teres Aoutes è uno degli animatori e che ha una storia musicale sufficientemente articolata da essere considerato uno dei punti di riferimento nello scenario contemporaneo delle musiche popolari italiane (e non solo), va ovviamente nella stessa direzione. Dal blues al folk, dal popolare “storico” al rock, dalla musica strumentale alla didattica, alla ricerca. Insomma – come dice lui stesso – l’approccio è onnivoro e non si ferma certo davanti ai limiti di genere. “One man One mandolin” – che si aggiudica un posto di primo piano nella discografia solista di Poletti – ha la doppia forza di aggiungere un nuovo tassello alla sua prospettiva inclusiva e di ricondurre l’attenzione di noi ascoltatori sulle “sue” corde, interpellate magistralmente con la consapevolezza di chi le pizzica da un congruo numero di anni. Nell’album tutto si lascia spingere da un’ispirazione totale che, nello stesso modo in cui assorbe gli elementi più sensibili e spesso disparati, costruisce una grammatica contemporanea, sempre connessa alle esigenze attuali. Non si tratta di strumentazione e suono, ma di atteggiamento: qui ed ora, l’estetica e il contenuto ricevono la forma adatta al messaggio e alla sua diffusione. A questo si può aggiungere un ulteriore elemento di indiscutibile valore estetico e storico: il fatto cioè che l’album, nel quale Poletti suona tutto, raccoglie un repertorio di grandi classici. Molti di questi hanno una storia di interpretazioni articolatissima, sono stati resi famosi da grandi stelle della musica internazionale (jazzisti, cantanti e musicisti di differenti gusti ed estrazioni) e appartengono grossomodo all’immaginario collettivo. Basti pensare al brano di apertura “Autumn Leaves”, così come a “Garota de Ipanema”, “Somewhere over the rainbow”, “Time after time”, “Sir Duke”. Oppure a perle meno “standard” ma ugualmente lucenti, che rivelano una più profonda articolazione della ricerca dell’autore: “Blue Monk” di Telenius Monk, “Marcy mercy mercy” di Joe Zavinul, “St. Louis Blues” di W. C. Handy, “Billie’s bounce di Charlie Parker. Tutti questi classici sono trattati con forte immediatezza, nella misura in cui Poletti affida canto e ritmo a mandolino acustico e mandola elettrica, accompagnati dai suoi hand clapping, tap foot e snap finger. Per questo l’album, oltre a caratterizzarsi evidentemente nel suono delle corde doppie dei due strumenti che Poletti privilegia, e che rivelano una gamma sonora straordinaria, richiama il sostrato estetico della one-man band. Richiama cioè un quadro musicale e performativo nel quale, grazie a un dosaggio di suoni che viene orientato principalmente da arrangiamenti selettivi, si riesce allo stesso tempo ad apprezzare il nervo e la nuova forma dei brani proposti. Così, nell’avanzare delle esecuzioni ci si rende conto che la scelta dei classici diviene una sorta di pretesto. Attenzione, non in senso negativo. Al contrario, in un’accezione sinceramente positiva, il richiamo della melodia indimenticabile – la consapevolezza che questa “è” l’ossatura della narrazione – definisce una dinamica entro la quale ognuno si orienta, riuscendo così ad apprezzare, senza smarrirsi, le variazioni strumentali, l’atteggiamento interpretativo. Questo punto è senza dubbio centrale, perché, al di là del fatto che l’album è suonato con profonda empatia e partecipazione, lo svolgimento di questi dieci classici (ai quali l’autore aggiunge due sue composizioni molto fluide e rumoristiche, appropriatamente intitolate “Noise#1” e “Noise#2”), riconduce all’idea primitiva dell’interpretazione, dello scambio libero tra i linguaggi e della ricollocazione dei loro elementi basilari nello spazio senza tempo delle grandi musiche. 


Daniele Cestellini

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