
Partiamo da lontano. Come nasce la Teres Aoutes String Band?

Mario Poletti: L’idea di una string band ce l’avevo da parecchio tempo e l’incontro con Fabrizio è stato un ulteriore stimolo, la condivisione di una visione simile del fare musica popolare, la passione per gli strumenti a corde e la buona sintonia che si è creata anche a livello umano ci ha permesso di superare varie difficoltà e di arrivare a concretizzare il progetto.
Mario, ci puoi presentare i protagonisti di questo quartetto che riscrive un po’ le regole del bal-folk?
Mario Poletti: Oltre a Fabrizio e a me gli altri due insostituibili membri della formazione sono Oreste Garello, chitarrista di Torino, mio ex allievo del Centro Jazz Torino con una cultura musicale tipicamente urbana che si è approcciato al folk con estrema versatilità e disponibilità e Diana Imbrea, rumena di nascita e, come me, carmagnolese di adozione, diplomata in violino frequenta il mondo

Oreste Garello: Sì, il folk non è la mia lingua madre! Devo continuamente imparare, sia i brani che la “pronuncia” corretta.
Diana Imbrea: Io mi sono avvicinata alla musica folk grazie a Mario ed alla Teres Aoutes String Band ed è stato un incontro entusiasta da parte mia. Trovo facilità a entrare nell’armonia delle corde degli altri componenti ed è per me una soddisfazione veder ballare sulle note del mio violino.
Come è nata l’idea di realizzare il disco “Lo rock’n roll de la mountagna"?
Mario Poletti: Ci piaceva l’idea di accomunare le varie culture (lingue, canzoni e danze) che ci sono tra la Valle d’Aosta, dove sono nato e cresciuto vivendoci stabilmente per i primi venti anni della mia vita e la Val Vermenagna, dove vive Fabrizio e di farlo inserendo quelle che sono le nostre passioni musicali, il blues il rock il jazz, il tutto utilizzando strumenti tipicamente italiani, il mandolino che nasce in Italia nel 1600 e il violino che nello stesso periodo viene migliorato e codificato nella sua forma attuale.
Le sessions di registrazione si sono svolte nell’arco di due mesi di lavorazione. Qual era l’atmosfera di quei giorni in studio?
Diana Imbrea: Il clima è stato rilassato mentre ognuno di noi registrava le tracce a casa di Mario, pur nella concentrazione di rendere al meglio un lavoro al quale tutti noi teniamo molto. Anche in studio da Max Tatti, che ha seguito la parte di mixaggio e masterizzazione, io e Mario andavamo volentieri a lavorare, consapevoli che lui avrebbe compreso la sonorità della Teres Aoutes String Band.

Fabrizio Carletto: L’idea un poco eretica, per questi giorni, di registrare su un otto tracce nella sala prove di Mario mi ha subito stimolato, quasi come fare un salto indietro nel tempo. Abbiamo fatto un bel numero di prove e registrazioni “ad uso interno” e quando ci siamo buttati nelle session definitive tutto è stato davvero naturale. Come già detto Mario e Diana hanno seguito la parte del mixaggio e della masterizzazione e senza troppi patemi il disco era pronto. Ho fatto quindi una copertina un poco “rock – montanara” e come si dice… les jeux sont faits!
Come si è indirizzato il vostro lavoro di ricerca e rielaborazione sui materiali tradizionali su cui avete lavorato?
Mario Poletti: Personalmente non ho fatto ricerca in quanto i brani che ho proposto sono cose che già conoscevo e che in diverse occasioni (tipo la Fiera di Sant’orso) mi capita di suonare in maniera spontanea e informale, la rielaborazione è avvenuta con la volontà di contaminarle con suggestioni e modalità interpretative prese dalla popular music anglosassone e afroamericana. La scelta di non utilizzare strumenti diatonici ci ha offerto molte possibilità.
Come avete scelto i brani tradizionali da rileggere?

Nel titolo del disco è racchiuso l’incontro tra musica tradizionale dell’arco alpino con sonorità che vanno dal rock al blues. In questo senso come avete lavorato agli arrangiamenti?
Mario Poletti: La musica che abbiamo nelle nostre zone è, da un punto di vista armonico, sostanzialmente semplice e si basa sui tre accordi, tonica dominante e sottodominante, su cui si basa il blues e i suoi derivati, quello è stato il punto di partenza al quale si sono sommati i miei vari interessi e ascolti musicali, Ry Cooder, Daniel Lanois, Il Bill Frisell di Disfarmer e Nashville, le string band che suonano in strada a New Orleans, Django Reinhardt e l’Hot Club de France ecc ecc.
Fabrizio Carletto: Come spesso dico, da grosso amante dei musicisti sopra citati, il folk nostro ed il folk “loro” in verità è semplicemente folk, e le distanze sono molto effimere…anzi sono proprio vicinanze.
Tra le riletture mi ha colpito molto il tradizionale valdostano “De Bon Mateun”.
Mario Poletti: E’ tra le più gettonate in Val d’Aosta, quando durante una cena o festa il tasso alcolico si alza inevitabilmente prima o poi parte, anche la storia raccontata dal testo è divertente, me l’ha fatta conoscere anni fa Cesare Marguerettaz, un musicista valdostano con il quale ho praticamente iniziato la mia carriera di musicista, la versione che abbiamo registrato risente molto delle influenze di cui sopra.
Mario Poletti: Anche questa canzone risale alle mie prime esperienze musicali in valle, è di autore anonimo ma è attribuita all’Abbè Amè Gorret, personaggio vissuto in Val d’Aosta nel periodo a cavallo tra 1800 e 1900, come gran parte del clero valdostano di allora reclutato tra i ragazzi più intelligenti del villaggio e quindi diventato prete più perché era l’unica possibilità di studiare che per vocazione, grande alpinista ha partecipato alla prima ascensione dal versante italiano del Cervino ed era principali relatori alle riunioni annuali dell’allora neonato Cai, prete pieno di umane passioni è sempre stato relegato nei villaggi più isolati della regione, il testo è in francese che ai tempi era la lingua ufficiale della Val d’Aosta, la lingua italiana non si parlava ed è stata introdotta forzatamente dal fascismo. Il testo è molto poetico e parla delle sue considerazioni sulla sua vita durante la vecchiaia, nell’arrangiamento abbiano cercato di rendere la mestizia di cui è pervaso il testo.
Una delle chicche del disco è certamente "Mi l'hai basà” versione in occitano del classico "Dirty old town” di Ewan MacColl. Com’è nata l’idea di riscrivere questo brano?
Fabrizio Carletto: La colpa è di Mario, che mi ha detto che avrebbe ben visto un testo in vernantino per questo gran pezzo. Come si può dire di no a Mario? Quindi mi son messo di buona lena nel raccontare i “turbamenti” di un non ballerino ad un festino della mia valle, che si innamora della sua bella, pur essendo poco incline al ballo e quindi si trova in difficoltà ad approcciala. Ma come in un film, dopo molto pensare e tanto penare lui, nonostante non l’abbia fatta ballare, è riuscito a baciarla.
Mario Poletti: Non è vero, non è colpa mia…
Fabrizio Carletto: Scherzi a parte, Mario ha pungolato un lato della mia persona che spesso lascio quasi assopito per pigrizia, quello di scrivere per la musica. L’ho già fatto anche in passato, pure qui sotto stimolo “esterno” ed alla fine ci prendo pure gusto. Mi piace!
Mario, la Teres Aoutes String Band ti vede sorprendentemente anche nelle vesti di cantante. Come si sta nei panni del front-man?

Oreste Garello: Secondo me la dimensione del front-man emerge ancora di più nella gestione del concerto e del ballo, quando sentiamo che è necessario cambiare la scaletta al volo in relazione al feedback del pubblico. Questo aspetto forse è più importante in un gruppo folk che in un gruppo jazz o rock, per esempio.
Diana Imbrea: Se posso aggiungere trovo Mario molto a suo agio in questo ruolo perché tira fuori il leader e allo stesso tempo il maestro che è in lui.
Fabrizio Carletto: è stata una propensione naturale, non a fare solo il leader, ma fare quello che Mario ha fatto per questo gruppo, cioè una specie collante o come si diceva in campagna nel secolo scorso, il “bacialè”, che faceva incontrare ile persone che volevano sposarsi. Lui ha permesso di conoscerci e di intraprendere questa bella esperienza.

Fabrizio Carletto: Questo brano è uno dei classici che mi ha sempre affascinato fi da piccolo; da noi, a Vernante, si cantava spesso nelle feste e nelle osterie. Quando uscì il “W Jan d'l'Eiretto” dei Lou Dalfin nel 1990, restai ammaliato per la versione originale del pezzo, davvero toccante. L’idea di riproporla nella “versione vernantina” è stato quasi automatico e naturale. Ho contattato la corale dei “Vernantin” per il testo preciso e ci è subito piaciuta e quindi l’abbiamo non solo riproposta ma l’abbiamo pure inserita nel CD.
Quali sono i progetti futuri della Teres Aoutes String Band?
Mario Poletti: Suonare, divertirci e cercare di divertire, nel frattempo sono arrivate delle nuove idee che cercheremo di concretizzare.
Diana Imbrea: Suonare tanto, far ballare e magari anche incontrare altri gruppi dai quali prendere ispirazione del mondo folk e non solo.
Fabrizio Carletto: Come dico spesso, giocando con le parole, se succede qualcosa è un successo. Qualcosa sta succedendo e speriamo di fare ancora tante belle cose noi e le nostre corde montanare.
Teres Aoutes String Band – Lo rock’n roll de la mountagna (Autoprodotto, 2018)

Salvatore Esposito
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