Il settembre di Victor Jara

 “Io non canto per cantare, né perché ho una bella voce, il mio canto è quello delle impalcature per raggiungere le stelle, il canto di una zolla che arriva in fondo alla terra, là dove tutto giunge e dove tutto comincia. Il canto che è stato coraggioso sarà sempre canzone nuova”
In un giorno di settembre Victor è nato a San Ignacio, in un altro giorno di settembre Victor è morto a Santiago, assieme al Cile di Salvador Allende. All’alba degli anni 70 il movimento della Nuova Canzone Cilena era in pieno sbocciare. Non si poteva definirlo come un fenomeno culturale omogeneo che partiva da idee preordinate, l’unico scopo preciso era la scoperta, l’esplorazione, il desiderio ardente di essere parte di un processo rivoluzionario. La meta era lo sviluppo di una cultura nuova. Per i Quilapayun l’aspetto principale consisteva nel fatto che la canzone avesse abbracciato i compositori accademici come Sergio Ortega o Luis Advis. Per gli Inti Illimani invece la linea guida era lo sviluppo musicale delle ricchezze presenti nelle antichissime radici folkloriche latino-americane. Anche loro comunque collaboravano con numerosi compositori e per le canzoni spesso utilizzavano come testi, poesie di “Las decimas” di Violeta Parra. Oppure musicavano “Los siete estados” di Victor Jara, che è basato sulla leggenda classica del giovane che deve superare sette prove per sposare la figlia più giovane del re, dove le sette prove rappresentavano i sette momenti dell'allora attualità latino-americana e la figlia del re diventava una prigioniera, simbolo della libertà negata al popolo. 
Per la lunga opera “Canto al programa” inoltre, avevano perfino messo in musica le quaranta misure del programma di Unità Popolare del compagno Presidente Salvador Allende, appena eletto a La Moneda, il 3 novembre del 1970. Ne fu realizzato anche un disco (non distribuito in Italia) la cui meravigliosa copertina mi è molto cara perché sarà ripresa anche per i manifesti del concerto all'Arena di Verona, la mia città, di sabato 6 settembre 1975, organizzato dalle associazioni Arci e Acli. Un avvenimento da brividi, davvero impossibile da dimenticare. Gli Inti Illimani tutti avvolti dai loro caratteristici poncho bordeaux, il tempio antico della lirica pieno di trentamila persone, bandiere cilene dovunque, gruppi di persone arrivate da ogni dove che cantavano in coro "El pueblo unido jamas será vencido" e alla fine dopo tre ore indignate di musica e poesia, nel buio immenso dell'Arena, una luce, una sola piccola luce bianca che illuminava Joan, la vedova di Victor Jara. Ricordo di aver conservato il manifesto di quella notte. Chi poteva immaginare che, un giorno del 2011, sarebbe poi riemerso per salire sul palco assieme agli Inti e per venire esposto in una mostra di Arte Murales da Mono Carrasco, lo storico muralista cileno che visse con loro quella lontana stagione di speranza. Ma davanti alle armi e alle torture degli squadroni della morte, a nulla potevano valere tutte le voci e gli slogans della gente della strada “Allende, Allende, el pueblo te defiende”. 
I colori andini non fermarono le mitragliatrici che crivellarono il corpo del Presidente “che andò verso la sepoltura accompagnato da una sola donna che portava in sé il dolore del mondo”, come racconta Pablo Neruda, consigliere e diplomatico, Premio Nobel per la letteratura 1971, nell’ultima pagina del diario della sua vita. In Europa la tragedia del golpe nero di Santiago dell’11 settembre 1973, ebbe una eco potentissima e anche duratura nel tempo grazie all’esilio italiano degli Inti Illimani. E nonostante il criminale assassinio, anche Victor Jara non venne più dimenticato. “La canzone dimostra ciò che l’uomo è” sosteneva. Già dalla fine degli anni 60, le sue non erano più autobiografiche e, nonostante spesso si occupassero di singole persone, trattavano delle vite di intere popolazioni dell’America Latina. “El aparecido” (composta all’inizio del 1967 e uscita a marzo in 45 giri) ne è un esempio emblematico: racconta infatti del “Che” che, Fidel Castro aveva annunciato se ne fosse andato da Cuba e che nessuno sapeva dove si trovasse a combattere per la liberazione da una qualche oppressione. Sembrava essere ovunque e in nessun luogo, appariva improvvisamente nell’immaginazione come un mitico fuoco fatuo di libertà e rivoluzione. 
Sicuramente inseguito da quella “aquila con gli artigli d’oro” che aveva posto una taglia sulla sua testa ma sempre imprendibile. Il galoppo della canzone sarà però bruscamente interrotto solo pochi mesi dopo, dalla notizia giunta dalla Bolivia. Victor era un pacifista ma fu aspramente criticato dal Partito Comunista per questa canzone che venne ritenuta un’istigazione alla guerriglia. Un’altra lirica di quei giorni lontani (offerta all’interpretazione dei Quilapayun) era intitolata “El soldado” e risulterà purtroppo profetica: “Soldato non spararmi. Chi ha appuntato sul tuo petto quelle medaglie? Quante vite sono costate? So che la tua mano trema, non uccidermi, io sono tuo fratello”. Ma davanti alle armi e alle torture degli squadroni di Pinochet, a nulla valeva opporre l’ingenuità della poesia o il sorriso della nonviolenza. Nel 1972 Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di stato americano aveva pubblicamente dichiarato “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano davanti alla irresponsabilità del popolo cileno”. L’irresponsabilità era stata eleggere Allende attraverso libere elezioni democratiche! Fa ancora accapponare la pelle il pensiero che il 1973 fu l’anno del colpo di stato in Cile e del Premio Nobel per la pace a Kissinger! 
Dopo avergli spezzato i polsi affinché non suonasse più la chitarra neanche da morto, i militari si preoccuparono di rastrellare e distruggere anche tutte le copie delle registrazioni di Victor, matrici comprese. Ma Joan salvò e portò con sé nella fuga molte di esse. Da allora tanti artisti internazionali hanno l’hanno ricordato, chi ad esempio dedicandogli una canzone nella propria lingua come l’inglese Bert Jansch (“Let me sing”) o il bretone Gilles Servat (“Gwerz Victor C’Hara”), chi interpretando gli originali. Alcuni di loro mi sono particolarmente cari come Robert Wyatt (“Te recuerdo Amanda”) o Lhasa de Sela ("El árbol del olvido). I Quilapayun e gli Inti Illimani gli consacrarono dischi interi e così cantanti da una parte all’altra del globo, dalla cilena Francesca Ancarola (“Lonquén”) allo svedese di origini olandesi Cornelis Sjunger (“Rätten till ett eget liv”). Sono stati realizzati dischi collettivi in studio e dal vivo. In Italia i Zafra inserirono molte delle sue canzoni nei propri 2 LP  (“Grazie alla vita” e “La colomba e il colonnello”). I CD italiani interamente dedicati ad omaggiare l’opera di Jara sono stati fino ad oggi:

Riccardo Pecoraro 
– Cantata Victor Jara (La Piccola Editrice, 1993)
Un’accorata cantata su ritmi latinoamericani, per canzoni, brani recitati e coro, composta nel 1980 sul modello di quelle di Luis Advis, originariamente registrata ad Anacapri (Napoli) nel 1993 ed edita da una piccola casa editrice di Celleno (Viterbo). I testi, tutti ad opera di Pecoraro, sono tesi a mantenere vivo il ricordo delle circostanze storiche cilene e di colui che nei giorni del golpe militare non si nascose e non fuggì ma si recò come tutti i giorni in quello che riteneva essere il suo posto in mezzo alla gente, a qualsiasi costo.

Lino Straulino  Un puente para la memoria (Nota, 1999)
Un disco che contiene la versione integrale di uno spettacolo dove le parole raccontano la storia di Victor, le canzoni sono talvolta tradotte in dialetto friulano. Lo spettacolo è stato presentato il 23 aprile 1999 al Teatro Zanon di Udine. Solo pochi giorni prima i giudici inglesi avevano accordato il permesso all’estradizione del criminale Augusto Pinochet in Spagna per venire finalmente processato con l’accusa di genocidio. Una rappresentazione di solidarietà, “ponte per la memoria” tra il Cile e il Friuli, realizzata grazie alla “Associazione Argentina Vientos del Sud” da musicisti italiani come Straulino assieme a brasiliani, argentini, peruviani. Come scrive Carlos Fuentes: “A New York, Londra o Parigi nessuno perde il sonno a chiedersi se la propria nazione esista ancora o no. In America Latina è possibile svegliarsi una mattina e scoprire che la nazione non c’è più: usurpata dai militari, sottomessa da una multinazionale o sequestrata da qualche rappresentante americano circondato dai suoi affabili e disarmati consiglieri”.

Daniele Sepe – Conosci Victor Jara? (Il Manifesto, 2000)
Un disco militante e raffinato, registrato a Napoli, assieme tra gli altri ad Auli Kokko e José Seves (Inti Illimani) che contiene al suo interno anche la registrazione dell’ultimo messaggio radiofonico alla Nazione indirizzato da Allende poco prima della fine e trasmesso attraverso Radio Magallanes. Si tratta di un prodotto a favore del Progetto “Bambini di strada – Quito” finalizzato anche a sostenere l’opposizione alle disumane condizioni dei piccoli ecuadoregni che, come nel caso di Piazza del Mercato di San Roque, vivono denutriti, abbandonati e non scolarizzati in mezzo alla immondizia.

Ugo Guizzardi/Angelo Palma – Cancion Nueva (Felmay, 2013)
Un disco graficamente molto curato e la cui copertina è opera originale di Eduardo “Mono” Carrasco, uno dei sette fondatori nel 1968 della storica Brigada Ramona Parra il cui obiettivo era trasmettere attraverso la pittura sui muri delle strade, dei messaggi a contenuto politico in maniera clandestina. I murales erano al tempo una forma d’arte unica e autoctona in Cile. Il disco, a cui partecipano numerosi musicisti (tra cui Lalli alla voce), è registrato a più riprese a Lanzo Torinese tra il marzo 2011 e il dicembre 2012 e si avvale della consulenza tecnica e artistica di José Seves (Inti Illimani). 

Antonio Francesco Quarta – Libertad (Autoprodotto, 2017)
Disco autoprodotto dall'autore comprendente dodici canzoni in originale lingua spagnola con l'accompagnamento della chitarra di Dino Doni. Tra esse: "El arado" che Victor compose quando la vittoria presidenziale del 3 novembre 1964 di Eduardo Frei Montalva sembrò dare speranza alla battaglia dei campesinos per la Riforma Agraria in Cile e "Plegaria a un labrador" (che ricordiamo nell'interpretazione anche dei Quilapayun, Mercedes Sosa o Maria Farandouri), che qualcuno sostenne fosse proprio quella costata a Víctor Jara la condanna a morte.
 
Il giorno 18 di un altro settembre, quello del 1988, quindici anni dopo, un aereo con a bordo gli Inti Illimani atterrò all’aeroporto Arturo Merlino Benitez di Santiago. La lunga notte che oscurava il cielo cileno non era ancora del tutto terminata. In mondovisione soltanto un anno prima il telegiornale trasmetteva le immagini del generale Pinochet che accoglieva Papa Wojtyla. Ma almeno adesso era possibile per tutte le voci intonare insieme in Cile, un canto funebre per Victor, cantautore la cui figura in pochi anni ha assunto una dimensione epica e tragica. Il canto civile di un’immensa popolazione. E oggi quello stadio di cemento e sangue a Santiago, porta il suo nome: “Estadio Victor Jara”. Le canzoni non cambiano il corso della storia ma talvolta lasciano un segno più profondo di quello di quarantaquattro colpi di mitraglietta, quello della non dimenticanza “En mi pago hay un árbol que del olvido se llama donde van a consolarse los moribundos del alma”.


Flavio Poltronieri

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