Nelia Safaie viene da Gorgan in Iran, dov’è nata nel 1977 e dove vivono i suoi genitori. Ha appreso dal padre a suonare il santur e del violino e, a quindici anni ha intrapreso anche lo studio del tar e, da autodidatta, di setar e bağlama. Da allora ha cominciato a lavorare con la musica in un ambiente poco favorevole a quest’arte che l’ha spinta a spostarsi lasciare Gorgan per Teheran. Ha così potuto studiare tar con Hossein Alizadeh, Keyvan Saket, Fariborz Azizi e Zeidollah Toloei; e canto con Hamidreza Noorbarj e Mahsa Vahdat. Insieme ad altre allieve di Mahsa Vahdat, a fine 2016, Nelia Safaie ha partecipato a due registrazioni raccolte in “Songs in the Mist. Young Iranian female voices”. Ooldouz Pouri, che partecipava allo stesso album, ha poi pubblicato nel 2018 il suo debutto come solista, l’ottimo “Waiting for the Dawn” con il sostegno della Kirkelig Kulturverksted, che negli ultimi anni ha appoggiato il lavoro di Mahsa Vahdat. Ora la label norvegese, con una produzione firmata da Erik Hillestad e Mahsa Vahdat, ha rivolto la sua attenzione a Nelia Safaie ed alle sue doti sia di interprete, sia di compositrice.
Negli otto brani Nelia Safaie, con maestria, canta e suona setar, tar e bağlama nella splendida cornice acustica della chiesa Maridalen ad Oslo, insieme ai norvegesi Gjermund Silset al cotrabbasso e Kenneth Ekornes alle percussioni di Emre Sınanmış al duduk. Cinque composizioni sono firmate dalla cantante, mentre tre sono arrangiamenti di brani legati all’Iran settentrionale, all’area del Mar Caspio.
Il titolo dell’album rimanda alla condizione “silenziata” delle donne in Iran, cui non è permesso esibirsi in pubblico come soliste. Al centro dell’album Nelia Safaie dà voce ad un testo che ha scritto lei stessa in omaggio a Nakisa, mitica musicista della Persia pre-islamica. In “I’m Another Nakisa” da forma ad una delle canzoni più brevi, ma anche più incisive, centrata su una metafora pittorica: «Dipingo sulla tela la mia Nakisa in rosso, in nero miei capelli. E chiedo appassionatamente amore. Quando la luce dell’alba arriva sulla mia tela mi calma. Allora creo la mia propria Nakisa». L’antica tradizione persiana è offerta agli iraniani come fonte di resistenza anche nel brano conclusivo, “Iran, the Ancient Land”: «Conosco la via difficile, quando i tuoi fiumi sono secchi, quando il tuo cielo è colmo di paura e odio. Resta fino a quando vedi la primavera sulla terra. Vengo da un vecchio paese, le labbra piene di silenzio e il cuore pieno di parole, da vie silenziose e tristi, da quella preziosa montagna. Resta una terra vecchia e paziente, mio Iran, mostra la tua faccia al mondo, il mattino sta arrivando, meraviglioso!». Di fronte alle difficoltà che attraversa l’Iran, l’album da corpo ad un ventaglio di emozioni. Quando veicola la speranza sa farlo attraverso una cornice melodico-ritmica che esprime fermezza e intensità, in particolare in “True Hope: «Sento che sorge l’alba, fiume di brillante purezza. Sorgerai, dalla notte miserabile, in modo trionfale». Con delicatezza, c’è spazio, in “Mouyeh-Zar”, anche per ricordare il terremoto e le sofferenze che hanno colpito Kermanshah e per tornare a volgere la voce e le note della bağlama verso le rovine che quelle scosse hanno lasciato.
Il duduk di Emre Sınanmış offre sempre un sapiente controcanto alla voce nitida ed espressiva di Nelia Safaie e lascia il segno con camei melodici, come nell’apertura e nel corso di “Telavang” in cui dialoga con la bağlama della cantante.
Alessio Surian