Francesca Naibo – Namatoulee (Aut Records, 2020)

Chitarrista e compositrice di grande talento, Francesca Naibo giunge al suo debutto discografico con “Namatoulee”, album che rappresenta il coronamento di un intenso percorso di formazione accademica, intrapreso presso il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, proseguito con il Master of Arts in Music Performance presso la HKB di Berna e il Master of Arts Specialized Improvisation alla Hochschule für Musik di Basilea e costellato dalla partecipazione a diversi concorsi nazionali ed internazionali, ottenendo premi e riconoscimenti. Inciso in completa solitudine nell'arco di due giorni di sessions presso lo studio Ritmo & Blu di Pozzolengo (BS), il disco raccoglie quattordici tracce nelle quali la Naibo esplora l'incontro e le intersezioni tra l'improvvisazione in ambito jazz e la musica colta contemporanea, alla ricerca di nuovi e sconosciuti territori sonori. Partendo dalla sua solida esperienza formativa, ha dato vita ad un lavoro che sorprende, sin dalle prime note, non solo dal punto di vista concettuale ma anche sotto il profilo prettamente tecnico. La peculiare tecnica esecutiva e la profonda conoscenza dello strumento, le consente di muoversi agilmente attraverso una vasta gamma di stili e timbriche differenti, disvelando inesplorate potenzialità espressive della chitarra semiacustica. In questo senso, va letta anche la scelta di rinunciare alle sovraincisioni, prediligendo l’utilizzo di oggetti, effetti (delay, overdrive, ring modulator e sound retainer), increspature rumoristiche, accordature inusuali e, in alcuni casi, anche dell’archetto e della voce. Tutto ciò è funzionale nella costante tensione non solo di ricercare soluzioni che non diano mai punti di riferimento all’ascoltare, ma anche di mantenersi lontana dalle sabbie mobili del già sentito. Ulteriore elemento determinante nell’economia generale del disco è la superba ripresa del suono curata da Stefano Castagna che preserva la forza e la potenza emotiva dell’improvvisazione live. Abbandonandosi all’ascolto del disco è, dunque, un esperienza da vivere con attenzione, magari con l’utilizzo di cuffie di buona qualità, per cogliere ogni dettaglio delle singole composizioni. Aperto dalle atmosfere siderali dell’iniziale “Mae Lougon”, tutta giocata su larsen ed effetti percussivi, il disco ci regala subito uno dei momenti più sperimentali prima con i vortici sonori di “Toundaleda” e poi “Nadare nura” nella quale spicca l’utilizzo dell’archetto e della voce. Il lirismo di “Fadada”, la cui architettura si regge su un susseguirsi di arpeggi e il minimalismo di “Lanka” ci introduce alla bella sequenza in cui spiccano “Lameda Lameda”, i rumorismi di “Foush” e le visionarie “Teing dol” e “Gontenghen”. Il confine delle esplorazioni sonore si amplia ancora di più con “Fron-ne”, “Dengoro” e “Groof culminando in “Walee” e “Tandiketi” che suggellano un eccellente opera prima di un artista che, a buon diritto, può essere considerata una delle grandi promesse dell’improvvisazione chitarristica in Italia. 


Salvatore Esposito 

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