Quasi vent’anni fa, usciva il primo disco di Pekko Käppi, l’EP “Kalastajia ja kaivostyöläisiä” (“Pescatori e Minatori”) che riportava l’attenzione sul jouhikko, la lira ad arco finlandese a forma rettangolare. Una storia simile ad altri strumenti legati all’accompagnamento dei balli: sei secoli di gloria, oblio e re-invenzione nel XX secolo. Re-inventare significa anche “amplificare” e, nel caso di uno strumento con un volume sonoro contenuto, questa dimensione ha spinto Käppi fin dall’inizio ad esplorare la produzione del suono e a lavorare anche come produttore: di recente l’avevamo incontrato in questa veste, e come musicista ospite, nell’album “Rajatila/Borderline” di Tuuletar. Questa capacità di tradurre le proprie competenze musicali in professionalità complementari (musicista, produttore, ricercatore, insegnante) in Finlandia, da decenni, trova efficace sostegno in istituzioni musicali come la Ala-Könni Folk High School di Kaustinen e la Sibelius Academy di Helsinki dove molti artisti del calibro di Käppi si sono formati e hanno continuato ad insegnare nel solco dei gruppi che hanno aperto la strada negli anni Ottanta, in primo luogo Värttinä.
Nel tempo si sono susseguiti un bel numero di collaborazioni, dischi solisti e con il gruppo K:H:H:L. mostrando una discreta capacità di spaziare e intersecare paesaggi musicali non necessariamente contigui. Nel 2019, con i K:H:H:L. è uscito “Väärä laulu” (Svart Records); poi, proprio a fine anno, Käppi è tornato alle radici con canzoni per jouhikko e voce. Ed è tornato ai pescatori, in particolare alla Karelia e al repertorio di Feodor Pratshu (1852-1921). Nel giugno del 1916, su cilindri di cera, vennero registrati trentuno brani suonati da Pratshu: una quindicina di questi brani offrono un’affascinante finestra sulle tradizioni locali così come venivano messe in musica in Karelia, ad Impilahti, un secolo fa. Proprio cercando di imparare a suonare il jouhikko sulle orme di Pratshu Pekko Käppi realizzò oltre vent’anni fa l’importanza di imparare a cantare queste ed altre canzoni. Ad agosto del 2019, a Käpilä, vicino a Tampere, Tommi Laine ha predisposto il soggiorno di casa sua per poter registrare e per tre ore Pekko Käppi ha dato fondo al repertorio tradizionale imparato in diversi contesti finlandesi. Il “Vol. 1” sembra suggerire che questa sia solo la prima puntata di album dedicati al folk finlandese. La scaletta comprende dieci brani (anche se, curiosamente, le note del libretto parlano di undici canzoni): tutte melodie tradizionali, eccetto la terza, “Salotien polka”.
Il disco mette in primo piano le melodie vocali insieme ai ritmi e alle armonie del jouhikko, senza ricorrere ad alcun altro strumento o sovra-incisione. Quando la voce si prende una pausa, c’è spazio per polke (“Salotien polkka”) e mazurke (“Hassun Pekon masurkka”) e qui il jouhikko fa fino in fondo il suo mestiere di propiziatore di danze, anche se a questi brani vengono destinate registrazioni relativamente brevi, intorno ai due minuti, che non permettono di registrare variazioni di rilievo nell’interpretazione ritmico-melodica. In generale è un disco dai tempi rilassati, ma che sa trovare con “Hevonen se heiniä”, a metà disco, il ritmo che si impenna – e sa offrire ammiccamenti country-rock. All’estremo opposto incontriamo l’ipnotica melodia sacra, l’Inno 280 del “Vecchio Libro degli Inni”, composta da Kirsi Ojala.
Ballate e canzoni d’amore permettono di entrare nello spirito dei rapporti affettivi e sociali, in particolare quelle dedicate alle donne, con “Kai” che a ritmo incalzante ne percorre la giornata di lavoro e con “Katriina”, la giovane serva su cui mette gli occhi il re e che il sovrano prova a circuire e a minacciare senza successo perché, in questo caso, a prevalere è lo spirito di resistenza e di rivincita della donna e, con lei, del popolo.
Alessio Surian
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