Susanna Buffa e Ludovica Valori – Suoni dal buio (Autoprodotto, 2020)

Foto di Paolo Camerini
In compagnia di Susanna Buffa (voce, chitarra, autoharp, percussioni) e Ludovica Valori (voce, fisarmonica, trombone), cantanti e strumentiste di rango, dalle svariate e multiformi collaborazioni. Della prima ricordiamo la recente curatela e il ruolo di interprete nel progetto “Calendario Civile” di Alessandro Portelli, della seconda il suo consolidato ruolo di vocalist nelle Nuove Tribù Zulu. Artiste pensanti, dunque, alle prese con un repertorio vocale tradizionale e d’autore popolare che attraversando la Penisola dà voce alle donne resistenti contro i soprusi sociali e di genere. C’è poesia, c’è artigianalità (in senso positivo) e freschezza in “Suoni dal buio”, che porta come sottotitolo “Canti popolari di donne che resistono”: è un disco dal’imprinting live pur essendo fatto in studio, riducendo al massimo le sovra-incisioni e privilegiando immediatezza ed essenzialità, in un misurato equilibrio tra rapporto con le fonti e accostamenti timbrici.

Le vostre origini?
Ludovica Valori - Abbastanza miste direi: da parte materna ci sono la Ciociaria e la Germania, da parte paterna Firenze – come si deduce facilmente dal mio cognome - e la Roma ebraica.
Susanna Buffa - Io sono romana ma miei genitori sono nati ad Amatrice e mi sento tanto romana quanto amatriciana. Il terremoto ha consolidato il legame con l’Appennino, alle cui tradizioni anche musicali sono del resto legata da sempre.

Foto di Marco Signoretti
Come nascete come artiste?
Ludovica Valori - Lo studio della musica l’ho iniziato a cinque anni con il pianoforte. Dopo alcuni esami al conservatorio c’è stata una pausa, poi ho ripreso nel 1999 con la Titubanda, una street band attivista con cui ho praticato “on the road” la fisarmonica, il bombardino e il trombone. Nel frattempo avevo formato il mio primo gruppo klezmer-balkan, il Dragan Trio, poi è arrivata la riscoperta della tradizione romana con BandaJorona, l’entrata nel gruppo rock Ardecore e nelle Nuove Tribù Zulu, ensemble di cui faccio parte da ormai tredici anni. Oggi sono attiva con il duo Traindeville, creato insieme al contrabbassista Paolo Camerini, con cui abbiamo inciso due album di brani folk e originali e abbiamo suonato negli USA, in India e in Europa. E poi ci sono state tante collaborazioni con artisti che mi hanno insegnato moltissimo.
Susanna Buffa - La mia passione per la musica è nata con me, assieme anche a quella per la scrittura; ho iniziato con il pianoforte a sei anni ma poi, per la gran parte della mia vita, ho fatto la giornalista occupandomi comunque di musica. Non pensavo al mio futuro come a quello di una musicista, che pure era il mio sogno; poi ho conosciuto Lucilla Galeazzi e questo incontro ha cambiato totalmente la mia vita. Ho iniziato a studiare con lei e pochi mesi dopo mi ha trascinata su un palco. È iniziato tutto da lì.

Da quanto tempo suonate insieme?
Susanna Buffa - Da tre anni, ma prima di allora ci eravamo incrociate molte volte e poi, quando è nato il progetto TerreDonne (un gruppo di artiste che andava a fare musica nelle terre colpite dal sisma), chiesi a Ludovica se voleva farne parte. 
Foto di Gianni Coccia
Abbiamo iniziato a conoscerci meglio e la nostra collaborazione è nata poco dopo, in occasione di alcuni interventi presso l’Accademia di Santa Cecilia a Roma per l’editore Squilibri, durante i quali abbiamo eseguito insieme musica di tradizione umbra. Poi è arrivato lo spettacolo “Suoni dal Buio - Voci di donne che resistono”.

Credete che la dimensione di duo sia ideale o è una questione di budget?
Ludovica Valori - Personalmente la trovo molto pratica e divertente. Musicalmente ci permette di sperimentare in libertà senza i condizionamenti dovuti alla presenza di altri strumenti. Penso che tramite la sintesi estrema si possa cercare di arrivare all’anima di una canzone, alla sua sostanza: è un percorso affascinante e impervio che può portare a scoperte interessanti.

Come nasce “Suoni dal buio”?
Susanna Buffa - Prima è stato uno spettacolo, che per il tema trattato si ispirava agli input di un’edizione del bellissimo festival molisano “Rocciamorgia”. Quella dell’album è stata un’idea di Ludovica ed è arrivata dopo. Sono stata subito d’accordo: era giunto il momento di registrare e fissare su un supporto fonografico il lavoro sul repertorio che avevamo fatto nei passati due anni. Crearsi dei punti fermi serve per poter fare dei passi in avanti: cercheremo di far circolare ancora la musica contenuta in questo album ma abbiamo anche voglia di lavorare su un repertorio nuovo.

La copertina cosa ritrae?
Susanna Buffa - Si tratta di una mia foto del Gran Sasso scattata alle 6 di mattina dal versante di Campotosto.

Come avete costruito il repertorio del disco?
Ludovica Valori - È stato un percorso spontaneo, abbiamo scelto brani che già eseguivamo nei live con una certa attenzione per quelli meno conosciuti. Non ci interessava riproporre per l’ennesima volta gli “standard” del folk italiano!

Vi siete poste il classico dilemma di come interpretare i canti contadini? O è una diatriba oramai storicizzata?
Susanna Buffa - Non so se sia storicizzata o data per risolta... in realtà non è mai una questione risolta perché ciascuno si avvicina al repertorio di tradizione seguendo un percorso molto personale ed è questo che poi genera letture diverse di uno stesso canto. Posso dire però che, sin dal principio, il nostro approccio al repertorio di tradizione è stato guidato da un desiderio di preservare i canti e di non stravolgerli, pur apportando inevitabilmente dei grandi cambiamenti. Se si pensa che molti dei canti che eseguiamo dal vivo e su disco sono nati per voce sola, il fatto di aver aggiunto gli strumenti è già un cambiamento notevole. Tra l’altro alcuni di essi, come il trombone o l’autoharp, non appartengono di certo alla nostra tradizione, ma abbiamo pensato che non avesse senso ricalcare qualcosa che altri avevano già fatto - e molto bene - prima di noi. Al tentativo di conservare lo spirito originario di questi canti, molto ha contribuito la scelta di registrarli dal vivo.  

Che è successo in studio: come avete costruito i brani?
Ludovica Valori - Abbiamo cercato il più possibile di ricreare l’atmosfera del live: ciò è stato possibile anche grazie alla perizia e alla pazienza di Matteo Portelli che nel suo White Lodge Studio ci ha messo davvero a nostro agio. Ridotte al minimo le sovraincisioni, abbiamo puntato sulla spontaneità e la verità delle interpretazioni.

In che misura le esperienze diverse dalle quali provenite hanno influenzato il suono?
Ludovica Valori - Guarda, una volta mi hanno detto che suono la fisarmonica come se fosse una chitarra elettrica! ... Questo per me è un bellissimo complimento, nel senso che non potrei mai spogliarmi – e non vorrei comunque farlo! - delle mie esperienze con band dal suono decisamente rock. Il bello per me è affrontare i brani popolari con la personalità musicale che ho sviluppato in questi anni. Del resto, avrebbe anche poco senso “fingere” di interpretarli con la sensibilità di un musicista del passato.
Susanna Buffa - Sono sempre stata mossa da un grande interesse per la ricerca in ambito di tradizione orale, dal desiderio di scovare cose nuove e sconosciute da cantare soprattutto attingendo al lavoro di altri ricercatori in centro Italia, ma le mie esperienze come vocalist sono spesso al di fuori dell’ambito popolare di tradizione (anche se ve ne sono: con Raffaello Simeoni, ad esempio, oltre che con Lucilla Galeazzi con cui collaboro da molti anni) e riguardano la musica per cinema e l’elettronica, con Teho Teardo e Eugene, il rock e, più recentemente, il folk britannico e statunitense. Spesso il passaggio delle influenze in ciò che si produce è un processo inconsapevole, credo che qualcosa di tutto ciò sia passato anche in “Suoni dal buio”.

Un ruolo importante lo occupa il repertorio di Graziella Di Prospero: ce ne parlate?
Ludovica Valori - Graziella è stata una grandissima ricercatrice e musicista attiva nel Basso Lazio ed è ancora troppo poco conosciuta: ci sono ottimi gruppi che portano avanti il suo repertorio – tra loro anche gli amici Canusìa – e io ho conosciuto il suo lavoro quando suonavo con BandaJorona: 
eravamo in contatto con il suo compagno Giorgio Pedrazzi, purtroppo anche lui scomparso di recente. L’energia di Graziella e la sua forte personalità sono contagiose e i brani da lei raccolti e riproposti meritano di essere ascoltati dal grande pubblico. Noi eseguiamo il suo “So’ nata sfortunata” e il “Saltarello de l’infamità” (che abbiamo inserito nel disco) ma vi invitiamo ad andare alla ricerca dei suoi dischi che sono davvero preziosi!

Non si vive di solo folk, come si evince anche dalle vostre collaborazioni! Cosa ascoltate? Cosa amate e - se c’è - cosa detestate della musica che gira intorno?
Ludovica Valori - Ascolto di tutto, anche vista la mia attività di conduttrice radiofonica a Radio Città Aperta. Quello che non mi piace di questa epoca, ma forse c’è sempre stato, non è un genere in particolare: mi danno fastidio il conformismo, la furbizia, l’appiattimento nell’imitare pedissequamente modelli che vengono da fuori senza una vera riflessione, senza un percorso artistico personale, vissuto. Però ci sono sempre cose interessanti da ascoltare, abbiamo anche i mezzi tecnologici per trovarle: ci vuole curiosità, e anche quella va coltivata.
Susanna Buffa - Ascolto per lo più musica elettronica e sperimentale e molto, moltissimo folk di matrice britannica e statunitense. Come giornalista musicale mi è rimasto quell’istinto di cercare novità, cosa che faccio ogni mattina al risveglio. Mi piacciono dischi che non sono ancora usciti: mi piace pensare che il bello debba ancora venire. Anche se ho qualche difficoltà con la musica da ballo sudamericana, non so se ci sia musica che detesto. Di sicuro non sopporto che si dica che la musica è finita con “Pet Sounds” dei Beach Boys, che il rock sia finito con “Nevermind”, che i Pink Floyd senza Syd non fossero gran che, che usare un computer non sia suonare. 
Sono convinta che “Entangled” sia un gran pezzo a dispetto dell’assenza di Gabriel. Non vedo il bisogno di porsi dei limiti e di costruire recinti e barricate. Ho molta fiducia nel futuro e nelle nuove generazioni, credo ci sia della bellissima musica ora in giro, se si ha voglia di cercarla e comunque, che ci piaccia o no, il nostro tempo suona in questo modo.

Quali sono le frontiere della ricerca sulla musica di tradizione orale e della riproposta nel nuovo millennio?
Susanna Buffa - la musica popolare non conosce frontiere o confini, né regionali, né tanto meno temporali. La sua essenza è la trasformazione perenne che avviene nel passaggio tra generazioni e nell’incontro tra culture. Se è vero che è stata ed è ancora espressione di quelle che Gianni Bosio e Giovanna Marini hanno chiamato “classi subalterne”, è anche vero che oggi quest’ultima barriera si potrebbe felicemente far saltare. Vedo grande interesse in persone di ogni ceto per la capacità che la musica di tradizione ha di preservare l’identità culturale di un popolo. Nessuno può rinunciare alla propria identità così come, per citare Alessandro Portelli, nessuno può rinunciare al futuro per quanto incerto appaia. Sono davvero curiosa di stare a vedere come la musica di tradizione continuerà a trasformarsi e quali sorprese potrà ancora riservarci. Nell’anno appena trascorso abbiamo ricevuto una grande lezione da musicisti molto giovani: progetti come “Linguamadre - il canzoniere di Pasolini” o come “Viaggio in Italia” di AdoRiza ci hanno insegnato che la musica è futuro e incessante trasformazione.
 
Come fare arrivare il messaggio musicale, educativo e sociale della musica di tradizione orale alle nuove generazioni?
Ludovica Valori - Suonando in giro senza pregiudizi, proponendo il proprio repertorio a chiunque lo voglia ascoltare: la mia esperienza come musicista di strada mi insegna che si possono avere molte sorprese!
Susanna Buffa - Si può, suonando e trattando la musica popolare alla stregua della musica pop più diffusa, ma anche portandola a scuola. Le esperienze che ho fatto in quell’ambito hanno confermato che accadono cose inaspettate e bellissime nel momento in cui i ragazzi incontrano le proprie radici.



Susanna Buffa e Ludovica Valori – Suoni dal buio (Autoprodotto, 2020)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK 

Producono un repertorio ben selezionato Susanna Buffa e Ludovica Valori, perseguendo l’asciuttezza interpretativa senza cercare ridondanze o eccessive ornamentazioni. Concise ed essenziali anche le scelte timbriche (chitarre, fisarmonica, autoharp, trombone  e percussioni), che ricalcano la ragionata immediatezza del palcoscenico, per il quale di fatto è nato il progetto artistico. Per di più, c’è la volontà di non stravolgere i canti all’origine, spesso concepiti per voce sola. Da qui la necessaria consapevolezza di dare spazio alla voce, alla comprensibilità, vestendola di senso e lavorando ad arrangiamenti sobri, lasciando che gli strumenti accompagnino, si aprano a sequenze soliste o di contrappunto, però senza mai soverchiare il portato canoro. Memori della lezione delle cantatrici contadine, Buffa e Valori aderiscono a un’estetica diretta ma da artiste vere non rinunciano alla loro “pronuncia” musicale creativa. attraversano la Penisola, da nord al centro, spingendosi anche nel Sud dei “pezzenti” cantato da Matteo Salvatore (“Padrone Mio”), mettendo al centro la forza delle donne. Il sottotitolo del lavoro è “Canti popolari di donne che resistono”, delicate e risolute nel reagire alla volontà maschile, istituzionale e padronale, di disciplinare e dominare corpi e anime. Non è casuale, quindi, trovare il “Saltarello dell’infamità” di una grande cantatrice come Graziella Di Prospero accanto a “Saluteremo il signor padrone”, dove entra, inusitatamente, un gustoso trombone, oppure “So’ ito a laura ‘ a la banditella”, canto d’amore della provincia di Latina, accostato a “Mamma mi sento un gran male” dal repertorio della toscana Caterina Bueno. La coppia offre il canto di emigrazione “Un bel giorno andai in Francia” in versione abruzzese e l’altro classico “Amore mio non piangere” dal repertorio delle mondine. “La vizzocona” è, invece, una divertente serenata a dispetto umbra. Si incrociano voci, fisarmonica e autoharp nella serenata marchigiana “Bella sei nada femmina”, che è tra i capisaldi del disco anche “Stornelli a serenata”, tema di tradizione laziale.
Un lavoro sincero, vissuto appieno e figlio della passione, che fa risaltare suoni  e parole nella maniera più opportuna.


Ciro De Rosa

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