Paolo Sofia – L’albero di more (CalabriaSona, 2019)

“L’albero di more” è un album pieno di emozioni e richiami a un immaginario meridionale - quello calabrese nello specifico - in cui nostalgia, passione, smarrimento, lotta, prendono forma dentro un insieme di suoni puliti, ordinati (anche se in alcuni casi prorompenti), coagulati in una lirica possente, priva di ridondanze e immagini scadute. L’autore, Paolo Sofia, trae dalla sua esperienza di cantante e musicista (prima con i QuartAumentata e poi come solista) gli spunti giusti per raccontare un nuovo racconto popolare, che si compone gradualmente in una miscela di sentimenti inequivocabili, che da un lato ritroviamo assorbiti nella narrativa popolare e, dall’altro, riformati in canzoni raffinate e ponderate. L’affresco che ne esce è incantevole, perché cattura non solo la curiosità ma soprattutto la passione di chi sente l’attrazione nei confronti dell’epica orale e della sua lunga evoluzione. La base dell’affresco - che gode del lavoro di musicisti straordinari, di cui diremo dopo - è “La Maligredi”, un libro di Gioacchino Criaco in cui si parla degli scontri politico-sociali che si svolgono nell’aridità destabilizzante di un Aspromonte asciutto, asciugato da dinamiche sinistre e deformanti. In questa canicola, però, sembra di scorgere qualche elemento positivo - come il “cooperativismo contadino” e la “lotta operaia” - nonostante la maligredi, “ossia la brama del lupo quando entra in un recinto e, invece di mangiare la pecora che gli basterebbe per sfamarsi, le scanna tutte”. La trasposizione musicale dei temi qui trattati riceve una forza ancora più visionaria, definendo strutture melodiche sempre morbide e forti, comprensibili già dal primo ascolto, che poggiano saldamente su un suono pieno e piacevolmente etnico. Questo aspetto è uno tra i più interessanti de “L’albero delle more”, perché rappresenta una trama sufficientemente larga, dentro la quale trovano il giusto spazio elementi fondamentali della musicalità popolare e, allo stesso modo, dell’interpretazione contemporanea di questi. In alcuni brani - come “A lupa” e “U trenu”, posti all’inizio della scaletta dell’album - vi è una compresenza dell’italiano e del dialetto. Mi sembra un ottimo modo per rappresentare quella tensione, che qui è molto lineare e positiva, tra tutti gli elementi che interessano l’autore, assecondando la loro confluenza in un suono multiforme ed equilibrato. A ben vedere questi due “incipit” permettono alcune riflessioni anche sul timbro generale dell’album. Perché si ha l’impressione che la compresenza di due codici linguistici - tanto affini quanto distanti nel tempo, nella morale, nell’estetica - possa assorbire tutti gli altri dati che si incastrano in un doppio binario stilistico. È come se la costruzione sonora fosse in qualche modo rappresentata in una dimensione che vuole essere multiforme, sempre biunivoca, laddove dialogano armonicamente bouzuki, basso e mandola, timpani, lira calabrese e marranzano (in “A Lupa”), oppure chitarre, launeddas e flauti doppi, tamburello, batteria e chitarra battente (in “U Trenu”). Da qui, dal lavoro di interpretazione, di analisi, scrittura e trasposizione dei temi ripresi dal libro - che va ascritto a Sofia, il quale scrive i testi e le musiche, in alcuni casi in collaborazione con lo stesso Criaco - si arriva a quello di produzione artistica e di interpretazione sonora. Per quanto concerne la produzione, vediamo la confluenza di almeno due soggetti. Da un lato Mujura - artista raffinato e “presente” in importanti progetti del panorama folk contemporaneo - che si occupa della produzione artistica. Dall’altro lato Giuseppe Marasco, che si occupa della produzione esecutiva per conto di CalabriaSona. Per quanto concerne il suono, non possiamo non citare la presenza delle voci di Mimmo Cavallaro e Valentina Balistrieri, e la chitarra battente di Francesco Loccisano. Insomma, gli elementi ci sono tutti e confermano l’ottima qualità dell’album, al quale va riconosciuto anche il merito di immaginare e tracciare una linea musicale raffinata, delicata, liberatoria, potentemente lirica. Tra i brani migliori non si possono non citare “Com’è bella la luna” e “Anima niri”. 


Daniele Cestellini

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