Nuove Tribù Zulu – Rosa e Fuoco (SquiLibri, 2019)

“Rosa e Fuoco”, amore e lotta, viaggio verso altre realtà da incontrare e viaggio di ritorno e di incontro: l’ultimo album delle Nuove Tribù Zulu, nel formato del cd Book della collana Crinali, edita da SquiLibri - ormai divenuto “un classico” di qualità per la nuova Canzone d’Autore in Italia - rappresenta in suoni ed immagini questo e anche molto altro: contaminazione, movimento e mutamento, varietà e complessità di suoni e possibilità. Un nuovo passaggio importante del cammino della band romana, che di strada ne ha fatta da quando suonava sotto la statua di Giordano Bruno, a Campo De’ Fiori, il luogo di massima laicità nella città più clericale del mondo: simbolo assoluto di contraddizione e, quindi, di vita. Ludovica Valori, Andrea e Paolo Camerini – le Tribù Zulu – vanno avanti, progettano, immaginano un futuro con entusiasmo, convinzione e con una buona dose di rabbia, mantenendo sempre una visione di insieme: lo hanno saputo raccontare a Blogfoolk qualche tempo fa, seduti in un bar aziendale (in quattro su un tavolino da due), nel bel mezzo del trambusto del caffè delle Undici: in questi lunghi giorni di quarantena, silenzio e distanza, più che un ricordo, un’immagine onirica.

Come nasce una canzone delle Nuove Tribù Zulu?
Ludovica Valori - Non seguiamo un unico percorso, non c’è una sola procedura che viene seguita allo stesso modo; si può ad esempio partire da un testo di Andrea o da un’ispirazione musicale... alla fine sviluppiamo l’idea tutti insieme.
Andrea Camerini - A volte accade che, vivendo insieme Ludovica e Paolo, mi presentano una idea... c’è sempre molta sinergia tra noi sulle cose che facciamo; io poi lavoro sul testo e Paolo magari propone una sua melodia.
Paolo Camerini - Per esempio “Cenere” nasce da me e Ludovica. Andrea era in India e gli mandammo l’idea.
Ludovica Valori - Lo spunto di quel brano arriva da una mia vicenda personale: il mio legame con Liliana Ingargiola, una delle fondatrici del Movimento di Liberazione della Donna. Lei mi ha iniziato alla politica e alle tematiche femministe. Purtroppo nel 2012 Liliana è venuta a mancare; all’indomani della dispersione delle ceneri Paolo ha avuto questa idea musicale; Andrea ha sviluppato il testo, che secondo me è una bella interpretazione della figura di Liliana e di ciò che ha rappresentato in tutte le sue battaglie.

Vi ho chiesto come nasce una canzone delle Nuove Tribù perché la vostra storia musicale è particolare, frutto di contaminazione, incontro e ricerca. Ero curiosa di sapere come lavorate insieme.
Paolo Camerini - Sì, adesso funziona così e gravita intorno a noi tre. In passato avevamo dei collaboratori e comunque non avevamo i mezzi tecnologici di adesso. Erano più limitati e quindi i brani nascevano di più in sala prove con tutto il gruppo.
Ludovica Valori - E poi prima, quando io non c’ero, componevano soprattutto con la chitarra; adesso componiamo più col pianoforte e forse una differenza nello stile si può avvertire.
Andrea Camerini - Che poi nessuno di noi tre suona la chitarra; peraltro non riusciamo mai ad avere un chitarrista fisso: si crea sempre una qualche problematica, ma non intendo in senso caratteriale, sia chiaro.

Anche i Têtes de Bois - che non nomino a caso, visto che Andrea Satta canta in un brano del disco - hanno questo tipo di situazione.
Andrea, Paolo e Ludovica - è vero!
Paolo Camerini - Peraltro sono nati anche loro suonando sotto la statua di Giordano Bruno a Campo De’ Fiori e il periodo è lo stesso.

All’epoca, la scelta di andare a suonare per la strada era anche un atto politico?
Paolo Camerini - Nel ‘91 era anche questo; un atto pensato, ma anche istintivo: ci venne di farlo dopo aver visto i primi bombardamenti in Iraq. Ci scosse molto sia individualmente che come gruppo; fino ad allora avevamo suonato nei luoghi della consuetudine musicale, però Nuove Tribù Zulu nacque proprio sulla scorta di quello che avevamo visto. Era a livello generazionale la prima guerra che vivevamo e fu l’input per diventare musicisti buskers; e comunque siamo entrati in quel mondo perché c’era StradArte. Si lottava perché l’arte su strada diventasse una consuetudine come in Francia o in Inghilterra.
Ludovica Valori - Questa è una battaglia che ancora continua.

In Italia un busker viene ancora confuso con un mendicante.
Paolo Camerini - Esatto. All’epoca c’era ancora una legge dei tempi del fascismo che si cercava di combattere; era bello: sulla strada incontravi persone diverse, lontane dal nostro circuito underground; parlavi e interagivi coi bambini, con gli anziani, con chi non la pensava come te; era davvero interessante. E poi avevamo ritrovato la dimensione acustica; all’inizio, nei primi concerti, volevamo suonare interamente in acustico anche quando ci chiamavano nei locali. Per esempio all’Alpheus decidemmo di fare un concerto sotto il palco, completamente in acustico, per creare una situazione quasi da strada; poi naturalmente la cosa è andata evolvendo.
Andrea Camerini - Sarebbe interessante tornare, come nostro prossimo step lavorativo, in quella dimensione minimalissima.
Ludovica Valori - E in effetti, invece, questo nostro nuovo disco è ricco di sonorità.
Andrea Camerini - Comunque, per tornare ai Têtes, la presenza di Andrea Satta ne “Il mondo di vetro” non è casuale: l’abbiamo voluto perchè, raccogliendo i pezzi di questo mondo in evoluzione, Andrea sembrava la persona più giusta per testimoniare insieme con noi.

Gli anni Novanta sono stati un periodo pieno di fervore culturale, a 360 gradi, a Roma in particolare; poi le cose sono cambiate, è arrivata l’epoca berlusconiana e sono stati venti anni di plastica e di catastrofe per il tessuto sociale e per quello culturale. Per non parlare di quello etico. 
Voi avete attraversato tutto questo e avete resistito, anche trasformandovi all’interno. Come è andata?
Paolo Camerini - Noi abbiamo continuato, siamo andati a cercare cose anche da altre parti; Andrea poi è andato in India.
Andrea Camerini - Abbiamo cambiato mentalità progettuale, nel senso che c’è stato un “Ok, ma non ci basta più la produzione discografica: cerchiamo di progettare qualcosa che dia un po’ il senso e la forma della nostra crescita”.
Paolo Camerini - Ma tante cose che magari avevamo vissuto così intensamente in quegli anni, e poi a un certo punto abbiamo visto spegnersi, siamo andate a cercarle in altri luoghi; per esempio il progetto in India con la NOW – Nomadic Orchestra of the World è stato un’esperienza completamente diversa: ci ha destrutturato; sia l’esperienza dell’India in sé, sia il progetto con loro hanno significato creare una cosa del tutto nuova; ci siamo ritrovati a ricominciare anche nel suonare, perché ci siamo quasi messi di nuovo a fare concerti da buskers.
Ludovica Valori - In India è pieno di musicisti non professionisti e anche loro si sono dovuti abituare a suonare con l’amplificazione e con i nostri strumenti, che magari neanche conoscevano; anche da un punto di vista musicologico è stato molto interessante.
Paolo Camerini - In qualche maniera abbiamo un po’ riscoperto la radice, perché loro ci hanno fatto suonare anche molto rock; sono musicisti folk, tre tribù nomadi del deserto del Rajasthan che non avevano mai suonato insieme. È stato divertente.
Ludovica Valori - Peraltro suonavano strumenti con funzioni diverse, come il been, che viene usato per mandare via i serpenti dai pozzi.
Andrea Camerini - L’incantatore di serpenti...
Ludovica Valori - Poi c’è la ravana, che è l’antenato del violino e ha tantissime corde.
Paolo Camerini - Serve ai cantastorie chiamati nei villaggi.

Andrea, per quanto tempo hai vissuto in India?
Andrea Camerini - Dal 2010 al 2015, avevo necessità di approfondire lo studio del canto Carnatic. Ma in effetti anche perché è stato l’ultimo atto di questo discorso del 2009, con i tour della Nomadic Orchestra; come Tribù Zulu ci siamo ampliati non solo come mentalità: abbiamo proprio allargato l’orizzonte visivo; che poi in realtà tutti e tre portiamo esperienze con i Rom; Paolo ed io abbiamo lavorato, dal ‘91 al ’96, nel più grande campo rom d’Europa, a Ponte Marconi, facendo gli operatori sociali e culturali. Molte nostre influenze musicali derivano da quel contatto giornaliero.
Ludovica Valori - E io ho approfondito per tanto tempo: ho un grande legame con queste terre e con queste culture.

Hai un grande legame anche col folk romano.
Ludovica Valori - E certo: da tutte queste cose nasce l’incontro.

Infatti! Vi sto facendo questo tipo di domande proprio perché, per raccontare questo vostro disco, bisogna tener conto delle tante influenze musicali e culturali delle vostre storie, da soli e insieme. Proprio per trovare il bandolo della matassa: ci sono tante ispirazioni dentro.
Ludovica Valori - Certo, ma bisogna anche tener conto che è stato un disco con una lunga gestazione.
Paolo Camerini - In effetti non uscivamo con un nostro disco da soli da moltissimo tempo...
Ludovica Valori - ... e c’era tanta roba che sedimentava e andava tirata fuori.
Paolo Camerini - Un po’ è stato concepito come un percorso: il disco comincia con cose che stanno più nelle corde delle Tribù degli anni Novanta. Inizia con brani che sono più riconoscibili nel nostro sound e poi chiaramente evolve in maniera diversa, anche nuova.

A volte anche pop.
Paolo Camerini - E sì. Questo disco ha anche influenze pop e di canzone d’autore; comunque noi abbiamo sempre cercato il ritornello più pop.
Andrea Camerini - È vero che il disco è un po’ così; però se vai a sentire la nostra discografia, in realtà proviamo sempre un po’ a destabilizzare; è difficile che abbiamo fatto un disco che suona allo stesso modo dall’inizio alla fine.

Ma certo! Intendevo dire – e non è una critica negativa - che all’ascolto ripetuto ci si accorge, a un certo punto, che va proprio in un’altra direzione.
Andrea, Paolo e Ludovica - Questo è vero!
Ludovica Valori - Perché per noi è importante sia la profondità che l’immediatezza.

Io ci vedo un viaggio, ma un viaggio sia di chi parte che di chi arriva: parla di partenza ma anche di accoglienza. Mi sono quindi chiesta se, dopo aver operato questa sintesi, andrete in un’altra direzione ancora, ma in qualche modo avete già risposto.
Paolo Camerini - E sì: come accennavamo prima, l’idea è andare verso qualcosa di minimale, con pochi strumenti, magari registrata live.
Ludovica Valori - Sai da dove arriva l’idea? Dal fatto che alcuni brani, che nel disco sono così ricchi di suoni, li abbiamo anche eseguiti in trio, voce basso e pianoforte, e funzionano; è interessante che questi brani, all’apparenza complicati, ci aprano invece delle porte in tutt’altro senso.
Paolo Camerini - Comunque pure se l’idea è quella di andare verso una direzione minimale, potremmo anche cambiare idea...
Ludovica Valori - ...e mettere l’orchestra sinfonica!
Andrea Camerini - Per esempio una cosa che ci manca e che non abbiamo mai fatto è seguire uno spunto africano. Noi siamo andati solo in Sudafrica, con la Federazione Nazionale della Stampa. Eravamo al 5th World Summit Media & Children a Johannesburg. 
Lì ci siamo detti: finalmente diamo un senso al nostro nome!

Come avete scelto il nome?
Andrea Camerini - C’erano ancora i Cyclone e, se ti ricordi, nel ‘91 si parlava di AfriKa Bambaataa; il manifesto di Afrika Bambaataa ci piaceva; parlava di unità solidale con tutti i popoli del mondo; ci piaceva il messaggio della Zulu Nation, che poi però noi abbiamo sviluppato con l’India, dove abbiamo cercato questo ideale dell’unità umana; dalla Zulu Nation si è sviluppato il nostro discorso, maturato e concretizzato in una narrativa nostra, che prevedeva anche l’azione sociale.
Paolo Camerini - Che poi la cosa divertente è che in Italia il termine “Zulu” è visto un po’ in modo dispregiativo.

A proposito di termini, perché avete messo insieme “Rosa e Fuoco”? cosa vogliono dire queste parole per voi e perché le avete scelte?
Andrea Camerini - Le abbiamo scelte perché sono dei simboli che fanno parte della nostra ricerca; rosa e fuoco sono due archetipi altamente spirituali, ma corrispondono anche più concretamente al sociale. Li abbiamo visti come simboli agenti di trasformazione per noi. E poi ne abbiamo visti di fuochi mediatori tra cielo e terra in India! E non solo: il fuoco ha lo stesso ruolo per le Vestali, ma anche all’Altare della Patria: il fuoco è la luce vivente. La rosa fa parte della nostra tradizione occidentale come spiritualità ma anche come cuore, come passione. I due simboli secondo noi sintetizzavano ciò che volevamo comunicare; in questo disco c’è tanta attenzione al sociale e anche tanta incazzatura.

Per esempio "Tutte le strade portano a Roma" è molto tosta, oltreché vera.
Paolo Camerini - Musicalmente è nata da me, fatta col basso acustico; inizialmente avevo pensato pure a una cosa in stile “George Harrison”, con un po’ di India in mezzo, poi l’abbiamo sviluppata e chiaramente il testo è di Andrea e nella parte finale in effetti c’è una parte un po’ più incazzata.
Andrea Camerini - Amore e lotta!
Paolo Camerini - Anche perché in questa epoca c’è una difficoltà pazzesca proprio a vivere.
Ludovica Valori - Che poi va tutto bene, però non possiamo scrivere canzoni confortanti: dobbiamo scrivere cose che muovano un sentimento creativo, che muovano una reazione ad un mondo che ci vuole tutti uguali.

E in quest’epoca, in questi anni, avete difficoltà a suonare?
Paolo Camerini - Prima si suonava tantissimo, anche con altri musicisti, con altri colleghi; era difficile raggiungere il successo ma comunque si suonava molto. Ora la cosa strana è che in certi circuiti il problema non è tanto il successo, ma è proprio difficile suonare se porti tematiche diverse. È chiaro che ci sono anche le nuove generazioni ed è giusto così. Però negli anni Novanta ai concerti vedevo anche molti ragazzi che non ci conoscevano: c’era una curiosità pazzesca; magari andavi nelle piazze del sud e che piacesse o meno, venivano tutti a sentire cosa accadeva. Adesso in alcune situazioni questo manca, mi sembra ci sia meno curiosità, non succede nulla. E non lo vedo solo con noi: anche con altri.  E in quelle stesse piazze suonano sempre gli stessi, impazzano magari le cover band.
Andrea Camerini - Non c’è più forse la strada e forse non c’è più nemmeno la percezione dell’artista che incarna una situazione di verità...
Ludovica Valori - Un artista il cui stile di vita è coerente con quello che dice.
Andrea Camerini - E poi qual è l’obiettivo? Io vedo che di queste nuove generazioni di artisti - al di là delle loro esigenze che vengono fuori a livello di narrazione – l’obiettivo è “money money “ e vedo poco il “sacrificio dell’eroe”, il mito del viaggio dell’eroe. Dal mio punto di vista adesso non è successo ancora nulla: io aspetto una generazione - e me lo auspico - che spacchi il mondo; io parlo di ideali In italia: serve qualcosa che rompa veramente.
Paolo Camerini - Magari queste nuove generazioni da qualche parte arriveranno e qualche cosa accadrà comunque.
Ludovica Valori - E poi la nuova tecnologia fa sì che ciò che è valido oggi, domani sia obsoleto; i dischi non si vendono: cambia il modo, non è detto che non sia una opportunità.

Però voi avete scelto di fare un disco in “carne e ossa.”
Paolo Camerini - Noi abbiamo scelto di farlo proprio in un momento come questo, perché è stata un’opportunità: più che un disco è quasi un libro, 48 pagine in cui ci siamo messi in gioco.
Ludovica Valori - Ci sono i disegni di Paolo.
Paolo Camerini - Anche Ludovica disegna.
Ludovica Valori - Io ho curato la grafica delle ultime copertine e allora ho detto: “senti, fallo un po’ tu!”
Paolo Camerini - Io ci ho visto una possibilità: l’opportunità di metterci dentro anche tutte le nostre capacità, non solo la musica; Andrea ha scritto il testo che accompagna il libretto e io ho fatto le illustrazioni... SquiLibri in questo senso ti dà una grande possibilità. Ci ho lavorato due mesi. È quasi un concept - un po’ come facevano negli ultimi anni Settanta - in cui abbiamo potuto esprimere anche nella grafica, nella copertina, nello scritto, tutto quello che avevamo da dire in questo momento. Un atto artistico a 360 gradi.



Nuove Tribù Zulu – Rosa e Fuoco (SquiLibri, 2019)
Spiritualità e passione, sole e luna, fuoco e rosa: sono le vie della ricerca e dell’incontro che si ritrovano in ogni angolo di suono e di parola nell’ultimo album delle Nuove Tribù Zulu, la band romana che dell’esordio dei primi anni Novanta conserva ancora l’energia e soprattutto il sogno mitico. Si deve avere molta attenzione per non perdere, nell’ascolto, tutti i passaggi che riconducono ad archetipi mistici ma anche culturali, a visioni, a immagini di un mondo possibile, nascoste nelle pieghe di una Terra “frangibile”. Lo abbiamo visto proprio in questi giorni di malattia come questo Mondo così sicuro di sé, smargiasso, prepotente, strafottente, in realtà nascondesse una fragilità estrema, capace di crollare in mille pezzi al primo soffio di vento. L’immortalità nasce da dentro, dalla costruzione solida del proprio essere, dall’etica e dall’estetica interiore che ci spingono – pur nella nostra consapevole solitudine – verso il diverso, verso l’esterno, verso l’intima essenza di ogni essere “altro” che però a noi ritorna. Di questa condizione umana parla proprio Andrea Camerini nel poema che accompagna il libretto del disco (versi che in buona parte sarebbero probabilmente piaciuti a Pasolini): “Sono solo / Sei sola / siamo soli / siamo uno / siamo due / siamo cento / siamo una moltitudine / siamo migliaia / siamo la stessa cosa / siamo la stessa essenza / siamo lo stesso universo inarrestabile”.  E di questo mondo fragile e di questa forza interiore da coltivare canta insieme con Andrea Satta dei Têtes de Bois ne “Il mondo di vetro”, brano che ci sembra traino e guida dell’intero album, anche per quanto riguarda il sound incalzante. Pur se il bandolo della matassa – va detto chiaramente – non è poi così facilmente individuabile. E forse nemmeno vuole essere trovato: Rosa e Fuoco è, da un punto di vista musicale, estremamente ricco di possibilità sonore, nel tempo e nello spazio. Qui ci si ritrova il meglio del folk rock romano intrecciato con suggestioni gitane, orientali, pop, rap. Qui si balla e ci si lascia coinvolgere, qui non ci sono un prima e un dopo e nemmeno un mondo con dei confini e a volte tutto questo non ci lascia il tempo di riprendere fiato. Ma è forse proprio ciò che più piace di questo disco in particolare, ma in generale dell’intero viaggio delle Tribù Zulu: la contaminazione e la contraddizione tra il suono appassionato e pieno di sangue della Terra e la spinta spirituale del Cielo. Se la rabbia sociale dell’uomo non si placa, la risposta è nella bellezza e nel cuore e nel suo battito che percepiamo nel silenzio, come nella coinvolgente “Nessun Rumore”, interpretata con la Piccola Orchestra di Tor Pignattara. Un discorso a parte merita “Cenere”, canzone scritta ricordando Liliana Ingargiola, una delle fondatrici del Movimento di Liberazione della Donna, maestra di vita e di politica per Ludovica Valori. Lo merita perché quelle lotte sono vive e importanti più che mai e lo spirito di quelle battaglie di giustizia, così come tutto l’ardore che è stato, si riducono in cenere solo in apparenza. Resta, vorremmo dire, molto più che un riflesso. Travolgente per poetica e ritmo  è poi il brano che apre il disco, questo “Bohémien Superstar” – cantato da Andrea con Enrico Capuano – che si rivela un coinvolgente invito al viaggio e all’incontro. Viaggio interiore, viaggio reale, viaggio di partenza, viaggio di ritorno, viaggio di migrazione, viaggio di contaminazione. Ricordiamo infine la traccia che dà il titolo al disco - che vede ospite il rapper Angelo Patuano “Mc Shark” - perché in poco meno di 4 minuti riesce a enumerare un elenco spaventoso – anche se forse nemmeno esaustivo – di atrocità dei nostri tempi folli; atrocità che possono combattersi solo con l’estrema caparbietà di chi non ha perso il sogno, di chi ancora vede l’amico immaginario, di chi crede ancora nell’andare, nel trasformare, nell’incontrare: rosa e fuoco, appunto. Come sempre oggetto da conservare il libretto, edito da SquiLibri, in questo caso arricchito dai disegni davvero evocativi di Paolo Camerini - l’altra anima musicale delle Nuove Tribù  - dai versi di cui si è già accennato di Andrea, e dalle foto felici di Giulia Razzauti, realizzate al Museo Macro: altri tasselli di un caleidoscopio di suggestioni, possibilità, suoni e immagini che corrispondono perfettamente, una volta ricomposti, all’estrema coerenza umana e poetica delle Nuove Tribù Zulu, una tra le band più rappresentative dell’arte in musica a Roma.



Elisabetta Malantrucco

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