Erik Aliana – Ancestors (Buda Musique, 2019)

Erik Aliana ci offre il suo ponte sonoro fra Parigi, dove vive, e Badissa, dov’è nato, nella regione centrale del Camerun in cui vivono i Beti. La sua lingua madre è il tûki. A parlarla sono rimaste solo 3000 persone, un gruppo sempre meno numeroso a causa dell’esodo che dalle zone rurali spinge le famiglie verso le città, con un accelerato oblio di musiche e ritmi che riguarda soprattutto la capacità collettiva di far musica richiamando poliritmi vocali ancestrali. Nel suo album precedente (“Just My Soul”), insieme a Francis “Picket” Dschoutzeo al basso, ha raccontato l’anima di queste musiche e ha denunciato la deforestazione (“Roule Camion”) e il ricorso alla violenza armata (“Ngaré”). Ha cantato una spiritualità che lega la propria identità ad un’idea di umanità e di relazione con gli antenati e la natura. Nelle sue parole: «In Africa non abbiamo una religione: rispettiamo e preghiamo la natura. E’ importante tornare a farlo. Grazie alle mie radici camerunensi, alle mie radici a Badissa, sono convinto di quel che faccio, del mio messaggio». “Ancestors”, uscito l’8 novembre 2019, realizzato da solo, resta pienamente coerente con questo messaggio veicolato da testi in tûki, o'sananga, francese e in inglese (“camfranglais” lo ha sintetizzato per la stampa francofona). Basta ascoltare “Mille noms“ per sentire la profondità della sfida culturale, la nitida bellezza e l’essenzialità delle scelte musicali di Aliana che rimandano immediatamente al lavoro pionieristico di Francis Bebey a partire da “Concert Pour Un Vieux Masque” del 1968. Come per le ricerche di Bebey, coniugata con la dimensione spirituale c’è innanzitutto il senso della storia in questi mille nomi, così come nella dolce “Out of Africa” che apre l’album: una storia africana misconosciuta, da ascoltare attraverso le fonti offerte dal continente stesso. E’ più che sufficiente un riff di chitarra acustica ad introdurre una melodia vocale che rimanda alle polifonie pigmee prima di introdurre in o'sananga e francese una genealogia che parte dal proprio nome per muoversi nello spazio e nel tempo attraverso l’intera regione subsahariana. A metà canzone entrano le percussioni a sottolineare le diverse tappe del viaggio. Le stesse percussioni diventano protagoniste in “Respects”, che trae ispirazione dagli scritti di Witaka Mbataka: “Matto o saggio, ricco o povero, un anziano sarà sempre un faro per evitare le insidie della vita e seguire le vie della saggezza”. Il riferimento qui (ma anche in “For Papa”, cantata a cappella) è al “diritto d’anzianità” quale valore sacro e genealogicamente al modo di essere e di fare dei pigmei che ha permesso loro di conservare un equilibrio prezioso fin dalla notte dei tempi, evitando scontri e violenze. Questa volta l’invito ad agire è rivolto in inglese (What to do now?) e si ripete sui temi della guerra civile (“Kamit Peace”), delle migrazioni in temi quali “Ke Enda Oko”, in cui si mette in guardia rispetto alle condizioni che l’Europa riserva ai migranti, o in “Oyé” che racconta le vicissitudini di chi è stato ridotto schiavo, maltrattato nel corpo e nell’anima. La canzone è nata durante un viaggio a Guadeloupe dove Aliana racconta di essere stato colpito dall’aspetto, dai gesti e dalle voci di persone locali che rimandavano a quelli del Camerun. Con “Oyé” Aliana intende: «cantare un’ode al meticciato che è nato dal cataclisma della schiavitù, dedicarla alla gente nera e meticcia delle isole, dire loro che questo bambino strappato al suo villaggio natale di sicuro ritornerà a casa, sua madre, Africa, non l’ha dimenticato. La sua anima, la sua cultura, i suoi valori, la sua spiritualità sono sopravvissute». Due gradite sorprese sono “Ke enda oko” e Fruits frais” che vedono i raffinati ed evocativi interventi della chitarra slide di Debashish Bahttacharya. “Nougwé”, il brano che chiude l’album, offre un dialogo serrato fra voce e kalimba per affrontare il tema della morte, un passaggio che non va temuto, ma considerato parte della vita, di un vivere permeato di immaginazione: «il DNA dei valori ancestrali, la cornice dei valori tradizionali che vengono per primi e costituiscono da millenni, in profondità, una dimora ecologica. L’immaginario rende audaci, mantiene in perpetuo conflitto fra passato e futuro, fonte d’ispirazione e rinnovamento. Immaginare è rompere le proprie catene»


Alessio Surian

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