Tosca – Morabeza (Leave Music/Officina Teatrale, 2019)

Foto di Riccardo Ghilardi
#BF-CHOICE

Quando questa intervista è stata realizzata - nei bei locali di Officina Pasolini, la scuola di Alta Formazione per giovani artisti della Regione Lazio che Tiziana “Tosca” Donati gestisce da qualche anno a Roma, vicino al Ministero degli Affari Esteri -  l’ipotesi “Sanremo” era ancora lontana. Nel finale si è parlato molto di omologazione, di libertà e di assunzione di responsabilità. La storia personale di Tosca mostra innanzitutto questo: l’onestà intellettuale di una grande artista che sa seguire la propria strada con consapevolezza, coraggio e coerenza, portando sempre se stessa e non quello che qualcuno si aspetta da lei. Per questo risulta essere un esempio: chi crede che solo seguendo nella vita dei percorsi omologati e brevi si possano raggiungere grandi obiettivi sbaglia e di grosso.  Tosca -  dopo un percorso live in giro per il mondo (e incontri con grandi artisti di calibro internazionale) che ha portato alla realizzazione di un Documentario, per  la regia di Emanuela Giordano, dal titolo “Il suono della Voce” e dopo due anni durante i quali ha costruito insieme con i suoi musicisti e la produzione di Joe Barbieri l’album Morabeza - ora torna al Festival della Canzone Italiana. Non sappiamo nulla del brano in gara, ma abbiamo la garanzia che comunque andrà sul Palco dell’Ariston, riusciremo ad ascoltare con lei ciò che noi intendiamo quando parliamo di musica di qualità.

Se guardo al tuo lavoro, a Morabeza, ma anche ai dischi precedenti che hanno portato al “Suono della Voce, il documentario”, il mio pensiero va subito alla forza del linguaggio musicale.
La musica crea ponti. Basta gettarli! Sai come quando, da ragazzini, vedevamo che nei cartoni animati venivano gettati i ponti a scaletta e ci si saliva per andare dall’altra parte? In realtà va proprio così se ci si lascia andare alla potenza della musica e allo stesso tempo alla sua semplicità. Perché la musica è così: un mezzo allo stesso tempo semplice e potente. 
Foto di Riccardo Ghilardi
Ed è un incredibile passepartout. Personalmente posso dire di essere arrivata, grazie alla musica, dove mai sarei potuta arrivare con un qualsiasi management, con un ufficio stampa, con un sistema tecnico-organizzativo: molto probabilmente tante anime artistiche non mi si sarebbero aperte, se non avessero sentito naturalezza. Per esempio, mi ricordo che quando ho iniziato il percorso del “Suono della voce, il documentario”, agli artisti che sono stati coinvolti per prima cosa mandavo  una canzone, dicendo: “vengo nel tuo Paese, sono un’artista e mi presento così: questa sono io, questa è la cosa che mi piacerebbe condividere con te”; il mio era un dono musicale. Così le nostre esperienze si sono intrecciate.

Da un capo all’altro del mondo…
Sì, proprio perché non siamo in Italia: stiamo parlando di Brasile, Portogallo, Francia, Africa (Tunisia, Algeria…); in qualche maniera noi siamo un po’ involuti culturalmente e l’involuzione porta alla plastica, all’organizzazione ferrea che rende l’artista distante e anche quindi meno artigiano. All’estero questa cosa si vive meno; magari un po’ a Parigi e con i francesi… in fondo sono un po’ nostri cugini, no? Ma anche lì,  sull’inarrivabilità dell’artista noi siamo campioni mondiali. Invece all’estero, quando approcci in maniera diversa e diretta artisti che ti somigliano, allora le porte si spalancano. Non solo: c’è proprio voglia di abbracciarsi musicalmente, di condividere, di far nascere qualcosa di nuovo. E questo è successo naturalmente, con tutti gli artisti che hai visto nel documentario e che sono stati coinvolti nell’album; il disco è scaturito dal documentario ed è stata una cosa di certo faticosissima, ma l’approccio è stato naturale e credo che i risultati siano stati altrettanto naturali. Io parlo sempre di “potenza della semplicità”. 

Tu sei sostanzialmente una interprete, però questi due lavori e l’intero progetto che li vede insieme ha un forte sapore di autoralità e di poetica femminile. Una cosa che mi ha molto colpita è il passaggio in cui – nel racconto – si parla delle cure a cui Giovanna Famulari, la straordinaria violoncellista che ti accompagna, si sottoponeva durante le tournée e la notizia  del trapianto risolutore, giunta proprio alla fine di questo vostro percorso di condivisione e solidarietà. È un passaggio affrontato poeticamente e delicatamente; ho pensato, vedendolo, che non poteva che nascere dal cuore di una donna.
Beh, innanzitutto la regia del documentario è di Emanuela Giordano, una donna, appunto. Il fatto che noi fossimo in giro e che purtroppo molte volte al mattino Giovanna si assentasse per le sue cure ci colpiva molto: è una cosa che abbiamo vissuto insieme. 
Foto di Riccardo Ghilardi
Spesso il mondo omette di considerare l’essere umano, come se di certe cose non si dovesse parlare. Invece ci siamo detti che quella è la vita, che la malattia ci riguarda e quindi non aveva senso ometterla. Nel documentario abbiamo raccontato uno spaccato di vita durato tre anni dove tutto riguardava tutti: me e i miei collaboratori. E loro sono me:  io detesto la scala gerarchica; senza di loro non sarei quella che sono e spero che sia un po’ così anche per loro. Quella storia è stata una nostra costruzione comune. E quindi Emanuela, donna che ha molto a cuore le donne, ha avuto l’intuizione di mettere questa cosa nel finale e Giovanna è stata d’accordissimo. 

Per questo parlo di poetica femminile. Le donne sono attaccate alla Terra e ne sanno fare poesia. 
Le donne, quando non sono strumentalizzate, sono belle: siamo belle. Non da oggi, ma negli ultimi venti, trenta anni mi sembra, povere ragazzine, che non si sia investito molto sulle capacità cognitive, sull’anima, sulla condivisione. Si è investito sul corpo, che però è una merce deperibile. Basta che pensi alla storia del costume in Italia, a certa politica televisiva, a tanto svilimento dell’essere femmina. E intanto pensa pure a tutte le donne ammazzate…  ti rendi conto?

Come no!
Ecco, io spero che il nostro lavoro sia andato in altra direzione e in modo naturale. Per questo progetto ho avuto un gruppo formato da quattro donne e un uomo…  tra l’altro le sorelle Salvucci sono due bellissime ragazze e Giovanna una bellissima donna. Ora io non mi incenserò da sola..

Tosca con Joe Barbieri - Foto di Giovanni Canitano
Lo faccio io: tu sei una bellissima donna.
E però il nostro messaggio è stato: “non potete capire quanto siamo state bene, quanto proprio l’essere donna con donna è stata una cosa bella e poetica” e sia alla fine diventato un disco. 

Ed è proprio quello a cui volevo arrivare. Si sente. Ovviamente non mancano gli uomini.
Le anime maschili sono state importantissime, a partire da Joe Barbieri.

La musica di Joe Barbieri ha una tale eleganza, una delicatezza, una raffinatezza talmente non scontata, che il coinvolgimento in Morabeza  è perfetto. Come è andata tra voi?
E  io l’ho scelto apposta; con Joe ci conosciamo da sempre, ma intorno al 2012 abbiamo cominciato anche a a collaborare insieme, abbiamo cominciato piano piano ad annusarci. La cosa bella di Joe – a parte essere un artista clamoroso – è che ama il mondo femminile. Tanto. Lo osserva, non è mai prepotente anche quando non è d’accordo con te. Mi è capitato: tanti produttori mi hanno trattata male in passato e invece lui no. Mi diceva: “Pensaci,  se non lo vuoi fare non lo facciamo ma pensaci, perché secondo me questa cosa ti sta bene addosso;”  è quella delicatezza nel dire le cose che ti ci fa pensare davvero. Come quando arriva la mia amica Valentina e mi dice: “Pensaci un attimo a questa cosa” e io alla fine ci penso. Ecco, con Joe è andata così e non sai quante cose abbiamo cambiato, tagliato, cucito, ripreso.  Ci abbiamo messo due anni, non ne potevamo più (ride).

E oltre a tutto questo, nell’album ci sono collaborazioni – ne abbiamo già accennato – straordinarie. 
Sì… e poi tutte queste condivisioni con artisti stranieri! Per esempio Ivan Lins ha cantato in italiano, perché quando glielo ho chiesto, mi ha risposto: “Sì ma se mi fai cantare in italiano, sennò no!” (ride) perché non era mai accaduto; Luisa Sobral mi ha scritto una canzone inedita e quando le ho chiesto l’intervista per il documentario si è presentata da sola, col marito e i figli, al parco, con grande naturalezza. 
Foto di Riccardo Ghilardi
Marisa Monte è arrivata, ha suonato la porta e io non l’ho nemmeno riconosciuta e sai perché? Perché immagini un artista italiano che deve fare un’intervista per un documentario e che si presenta senza uffici stampa e “tutto il cucuzzaro”? E invece lei era lì, dall’altra parte della porta, con i suoi occhialetti e io pensavo fosse la segretaria: mi sembrava inconcepibile non fosse arrivata con dieci persone al seguito. È arrivata, abbiamo messo una sediolina in terrazzo, abbiamo chiacchierato due ore, ha cantato, parlato, le sono piaciuti i miei orecchini, glieli ho regalati e lei era felicissima. Un altro così è stato Rogê, che la sera prima era a cena con Vincent Cassel, aveva fatto una cosa con Gilberto Gil e poi è venuto da me tranquillo chiamandomi: “amica”. 

Una volta i diplomatici di un mondo più antico del nostro formavano una comunità internazionale che si “riconosceva”. Mi hai fatto pensare a questo: io credo semplicemente che quello che è accaduto e che racconti sia normale: voi siete una comunità di artisti e come tale è una comunità internazionale. E vi siete riconosciuti. Non credi? 
Sì, brava, è proprio così, solo che in effetti se a dirlo sono io può sembrare una presunzione. Però è vero. Le persone ti riconoscono, ti odorano e quindi ti dicono di sì. Un altro così è Gabriele Mirabassi. Questi sono musicisti che danno il sangue per quella che è una missione. È stato tutto bello davvero. E tutto naturale.

Tornando al disco, immagino che la scelta dei brani sia stata complessa.
È durata due anni: levavo, mettevo, levavo, mettevo… Tutto è nato da “Giuramento”: dovevo andare in Brasile e ho chiesto a Joe di farmi l’adattamento. Non era facile ma lui l’ha fatto. 
Tosca e Joe Barbieri - Foto di Giovanni Canitano
Io ho testato il brano al Blue Note di Rio de Janeiro. È stato un grande successo. Dieci minuti di applausi.

A proposito di questo, è vero che all’estero – parlando di pubblico - c’è un approccio molto meno supponente?
Ma non solo: soprattutto c’è un approccio! C’è ancora la gente che fa la fila per comprare i biglietti pur non conoscendo l’artista; c’è curiosità culturale.

Secondo te perché in Italia non è così?
Credo dipenda dalla televisione. E credo che anche noi artisti abbiamo una bella responsabilità. Soprattutto quelli che potevano invece essere degli esempi. Noi non possiamo parlare di buona politica e cattiva politica se per primi poi facciamo cattiva cultura. Se la politica televisiva ha creato un mondo di vincitori e perdenti, un mondo di profitto, un mondo fatto di “funziona o non funziona”, “spacca o non spacca”, automaticamente gli artisti sono andati dietro e si sono adattati. E però poi non ci possiamo lamentare se abbiamo contribuito a generare plastica. Oggi all’estero, in Brasile, in Tunisia, in Portogallo, le cose più temute sono la musica e l’informazione. In Italia l’informazione è diventata invece una forma di spettacolo. Non pensare che io sia arrabbiata, ma un po’ stanca sì. L’artista deve sempre mantenere la sua dignità e cercare di essere un esempio. Non puoi diventare un qualunquista. E deve esserci una politica culturale che aiuti i ragazzi nei Club, che faccia uscire le persone da casa. 

È un discorso fondamentale che bisognerebbe approfondire a fondo. Però dobbiamo tornare al disco. Mi piacerebbe che raccontassi ai lettori del nostro giornale la storia legata alla versione di “Serenata di Paradiso” anzi, di “Serenade de Paradis”.
Joe aveva pensato ad un’altra cosa e io - sarà che questa con Balzani è proprio radice mia: è sangue per me - ho provato come voleva lui ma non me la sentivo addosso. E siccome quando ero a Parigi avevo conosciuto questo straordinario violoncellista, Vincent Ségal, e l’ho intervistato, ho pensato che si sarebbe potuta fare una cosa con due celli. A Parigi la canzone l’ho cantata in francese, ma i parigini l’hanno voluta sentire anche in romanesco…  Ho anche pensato che mi sarebbe piaciuto cantarla con Awa Ly; lei è molto conosciuta in Francia e vive anche in Italia. Era perfetta e ha accettato. A lei avevamo mandato una base davvero scarna e quando ho sentito la sua versione mi è piaciuta moltissimo. E allora ho detto: “facciamo aprire lei” e così è andata. Per quanto riguarda il brano, quando ho fatto “Romana”, l’omaggio a Gabriella Ferri, e già mi avevano ventilato l’ipotesi di andare a cantare a Parigi, avevo pensato di volere una versione francese. Ho chiesto di adattarlo ad Enrico Greppi della Bandabardò, che è l’artista che mi adatta tutte le cose in francese. Io trovo davvero poetico il risultato. 

Ti ho chiesto di questa canzone perché descrive bene l’atmosfera del disco, che si muove in modo equilibrato tra tradizione e cosmopolitismo. E uso questo termine antico di proposito, perché l’aggettivo “globale” oltre che essere brutto, qui risulta davvero fuori luogo. E ora questo lavoro lo consideri un punto di arrivo o è solo una sosta alla stazione di posta? Prosegui in questa direzione o cambi strada? Dove va Tosca? 
Sai che non lo so? In realtà non ho mai avuto la sensazione… o meglio ho sempre avuto la sensazione di guidare io ma che poi in realtà fosse la musica ad essere davvero alla guida. È una cosa strana quella che ti dico, soprattutto quando di mezzo ci sono le radici che ti portano anche a livello inconscio in luoghi che non conoscevi; hai delle idee che mai avresti pensato un giorno di avere. La musica è il mio grande amore. Tu sai che questa è croce e delizia dell’artista che per prima cosa ama la sua arte. 
Da quando ho lasciato il mondo più legato al mercato davvero è sembrata una traversata dell’oceano: ho nuotato, a volte ho fatto il morto a galla, altre mi hanno portato le onde. Vuoi un altro esempio? devi andare da una parte e puoi scegliere la strada dritta con tutti i comfort e i servizi oppure avventurarti su una strada di montagna, più lunga e difficile ma vuoi mettere sederti sotto ad un bell’albero, goderti il panorama, mangiare in una bella locanda? Ho scelto questa strada e non me ne sono mai pentita. Ma proprio per questo non faccio programmi e mi faccio sorprendere. 

Ti riavvicineresti al pop da artista indipendente? 
Non lo so: bisognerebbe capire di che cosa si tratta; per esempio trovo scandaloso che oggi non ci sia un pop d’autore. Viviamo in una società dove il cinema deve far ridere e basta, a teatro deve esserci  la star delle fiction altrimenti non se ne fa niente, la musica deve essere leggerissima e non ti deve far pensare. Gli arrangiamenti sono tutti uguali. Sai dove ho sentito cose diverse ultimamente? Al Premio Parodi e al Premio D’Aponte. Intanto lì ho visto suonare altri strumenti, magari una ghironda. Perché non utilizzare una ghironda in un pezzo pop? No. Ci deve essere per forza l’omologazione: se tutti fanno così, dobbiamo fare così. E invece bisogna insegnare che se tutti fanno così, tu puoi fare colà. È un discorso lungo che chiederebbe un’altra ora di intervista. Posso però dirti che oggi ai ragazzi non viene insegnato che si devono assumere delle responsabilità. Hanno paura di essere i numeri uno. Meglio essere il numero due: è più rassicurante. La libertà è poter decidere cosa fare, ma è, appunto, una responsabilità. 


Tosca – Morabeza (Leave Music/Officina Teatrale, 2019)
Morabeza, l’ultimo album in studio di Tosca, è un progetto che fa venire in mente una quantità davvero eccessiva di aggettivi. Mentre lo si ascolta – una o più volte – si pensa: soave, equilibrato, gioioso, poetico, delicato, malizioso, romantico, nostalgico, impertinente, magistrale, cosmopolita, moderno, classico, diretto, aggraziato. Aggettivi che non bastano certo a descriverlo, ma ci aiutano ad avere un primo approccio con lui e ci offrono la possibilità di introdurci direttamente dentro la ricchezza di suoni, di suggestioni musicali, di possibilità vocali che regala. Partiamo innanzitutto dalla voce, dal “suono della voce” di Tiziana Donati: uno strumento capace di rappresentare proprio quello che dovrebbe cercare sempre di essere: la voce di Tosca è precisa, colorata, perfettamente intonata, sa arrivare esattamente dove vuole lei; mette insieme grazia e passione senza bisogno di strafare. Del resto qualsiasi strumento che regali emozioni non ha mai bisogno di andare oltre quello che la stessa emozione dà. Perché il bello di questo disco – e qui facciamo un altro passo in avanti - è che già dalla prima nota si capisce che chi lo canta ci crede fino alla fine. Tosca va dritta e precisa e ci va con la convinzione di chi ha saputo scegliere tutto quello che ritroviamo intorno alle sue canzoni, con pazienza certosina e conoscenza profonda dei suoni. C’è tantissima delicatezza e cuore, insomma, nella sua voce e in ciò che va intonando, e allo stesso tempo tanta maestria, tanta educazione musicale. È davvero un piacere che distende il viso ascoltarla. Sempre. E in questo c’è anche tanto maturo divertimento, nel giocare con le lingue (italiano, portoghese, arabo, francese e romanesco), con le assonanze, con gli incontri di altri strumenti e di altre voci idealmente arrivate da tutti i continenti. Una specie di festa elegante – qualche volta allegra, altre sorniona, altre ancora appassionata – per celebrare amore, musica, gioia, lontananza, incontro, magia e appunto “morabeza”. Tosca spiega ogni volta il significato di questa parola creola, che descrive quel particolare sentimento di nostalgia della propria terra ma anche di intima allegrezza per quello che avviene ora e avverrà in un tempo prossimo, magari tornando (o immaginando il ritorno). È una sensazione che abbiamo provato tutti senza trovare la parola esatta per spiegarlo; è quello che prova un amante lontano che però sa che tornerà, sognando ciò che sarà. È quello che prova forse un migrante che pensa alla sua casa, ai suoi cari, al ritorno, in certi momenti di leggerezza e coccole interiori. Deve essere ciò che hanno provato Tosca e i suoi eccellenti musicisti in giro per i quattro capi del mondo gioendo della scoperta, dell’incrocio, dello scambio e pregustando già come tutto questo avrebbe preso una forma compiuta in arte. Scegliere un artista raffinato come Joe Barbieri per produrre, dare forma a tutto questo è stata davvero l’idea vincente. Perché Barbieri ha saputo scrivere, adattare, accompagnare, arrangiare, dare un sapore attuale e vivo a dei veri capolavori della musica mondiale e mettere sullo stesso piano tutto il resto del disco che si ascolta. Un’impronta, la sua, appena percettibile eppure chiara come la pennellata e la firma di un pittore scaltro. Quando ascolti questo disco, poi, ci si potrebbe far ingannare da come tutto sembri naturale, normale, ovvio e conseguente: ci si dice, infatti, che non poteva andare che così, leggero e diretto. Eppure basterebbe pensare anche solo a quanti artisti straordinari sono entrati in questo progetto per rendersi conto del grande e faticoso lavoro che deve esserci stato dietro. Anche se non esiste niente di più soddisfacente di una fatica per un lavoro che si ama. E come si fa a non amare un disco dove suonano e cantano, prestano e scrivono canzoni, artisti – tutti ospiti – come Cyrille Aimée, Arnaldo Antunes, Lofti Bouchnak, Lenine, Ivan Lins, Awa Ly, Cèzar Mendes, Gabriele Mirabassi, Vincent Ségal, Luisa Sobral, Nicola Stilo? E come trascurare la maestria dei musicisti di Tosca, tutti di una bravura davvero sconcertante? Loro sono – e vanno citati – Giovanna Famulari, Tony Canto, Massimo De Lorenzi, Sergio Di Natale, Ermanno Dodaro, Oscar Montalbano, il Quartetto d’archi OndaNuev e naturalmente Joe Barbieri. Insomma, rimanendo nel gioco delle parole dai significati sfumati, bisognerebbe trovare una parola – in qualsiasi lingua – per spiegare quel leggero imbarazzo che prova chi scrive una critica, per paura che chi leggerà pensi ad una “esagerazione”. La tranquillità però arriva quasi subito, perché basta ascoltarlo questo album: si può non amare certe sonorità, preferire una cosa ad un’altra, ma oggettivamente non si può che riconoscere di essere di fronte ad un lavoro raffinato, di gran classe, che all’ascolto pettina con delicatezza l’anima. Ci sono alcuni passaggi poi che bisogna assolutamente segnalare anche per l’alto valore culturale che simbolicamente rappresentano. Partiamo dal brano che ha dato il via a tutto: “Giuramento” - adattamento in italiano (fatto da Barbieri) di “Rosa”, un classico di Pixinguinha in cui Tosca mostra subito al mondo dove vuole andare e arrivare e di cosa è capace. Ad accompagnarla il clarinetto sempre magico del Maestro Mirabassi e la chitarra di Massimo De Lorenzi: un piccolo gioiello che ci conduce nelle atmosfere del viaggio della cantante romana in giro per il mondo. Il tutto nasce dall’idea di regalare una canzone per ogni luogo raggiunto. Così si trasforma anche “Serenata di Paradiso” di Romolo Balzani, che, tradotta in francese per il pubblico parigino da Enrico Greppi della Bandabardò, diventa alla fine un gioco potente di incontro tra tradizioni, lingue, strumenti e suoni: due celli straordinari - quelli dell’incredibile Giovanna Famulari e di Vincent Ségal - due voci calde - quelle di Awa Ly e Tosca – e due lingue, il francese e il romanesco… il risultato si misura dall’emozione che riesce a regalare. Vale poi la pena segnalare la tradizionale “Ahwak”, portata da Tosca all’Auditorium della Radio algerina: tutto il pubblico l’ha cantata con lei. Proprio ad Algeri Tiziana ha incontrato Lofti Bouchnak, un guru della musica che le ha insegnato la pronuncia e le sfumature della lingua araba, che cambia di Paese in Paese. Lofti accompagna Tiziana in questa versione da disco ed è un altro momento appassionato di questo progetto musicale. E ancora ricordiamo  la versione straordinaria e coinvolgente di “Voodoo Rendez-Vous”  di Benoit Charest e Sylvain Chomet (con l’adattamento di Joe Barbieri), brano tratto dalla colonna sonora di un piccolo film di animazione di culto: “Appuntamento a Belleville”; e infine – ma solo per questione di spazio – concludiamo con le due canzoni di Luisa Sobral,“Per ogni giorno che verrà” (adattata dal solito Barbieri) nella rilettura personale di Tosca - “uno dei tasselli da cui è partita la  costruzione del disco” - e il brano scritto proprio per la Donati, “Un giorno in più”, che le due artiste interpretano insieme: quando la musica si fa poesia. 


Emanuela Giordano  Il Suono della voce, Il documentario da un’idea di Tosca (Leave/Rai Cinema, 2019)
Presentato a Roma, durante la Festa del Cinema, nella sezione “Alice nella città”, il Suono della Voce è un documentario per la regia di Emanuela Giordano, in cui Tiziana Tosca Donati ci accompagna nella sua lunga tournée, durata tre anni in giro per il mondo, alla ricerca del suono della voce di grandi musicisti e artisti stranieri - ma anche il suono della voce di grandi popoli - per intrecciarli col suo. Spiega Tosca nel documentario: “Il suono della voce è il cuore di questo progetto, il suono della voce mia e il suono della voce di tutti i posti che ho visto e il suono della voce delle persone che ho incontrato: tutto qui!” un tutto qui che però racchiude il mondo, il senso stesso della comunicazione, anzi, della “metacomunicazione” si potrebbe dire usando un termine scientifico. Riporta ad un attimo prima che si formi il linguaggio. Questo viaggio musicale raccontato in immagini tende proprio ad arrivare a questo: alla capacità del suono della voce di connettere gli esseri umani ancor prima che arrivi la parola, ancora prima che arrivi la musica. Lo spiega bene, sempre nel documentario, Ivano Fossati: “Il suono della voce viene prima delle parole, viene prima della musica, viene prima della canzone ed è una chiave per attraversare le frontiere; se tu sei convincente non importa in quale lingua stai cantando: gli altri ti capiranno”; Fossati, ricordiamolo, è l’autore della bellissima canzone omonima, che diede anche il titolo all’album del 2014 dell’interprete romana e a cui è seguito un altro progetto live: “Appunti musicali dal mondo”. E poi è arrivata per lei, accompagnata dai suoi musicisti straordinari, questa lunga tournée in Africa – a Tunisi ed Algeri – in Portogallo, in Brasile, in Francia. Un’occasione non solo per suonare e incontrare i luoghi della musica e il pubblico, ma anche per intrecciare contatti e incontri artistici con molti grandi musicisti e autori dei luoghi raggiunti. Il documentario non va pensato come ad un reportage. Il filo conduttore è davvero il suono della voce che attraversa le immagini di tante realtà lontane dalla nostra. Tosca ed Emanuela Giordano sono state brave a scrivere insieme questa storia: le immaginiamo addirittura sedute insieme scegliere i frame per il montaggio. Ma vanno fatti sinceri complimenti alla Giordano per essere stata veramente capace di far “sentire”, tra le immagini, non solo i suoni, ma anche ciò che non si vede, e addirittura gli odori. Questo lavoro quindi raggiunge vari obiettivi: sa raccontare l’esperienza artistica di Tosca e del suo gruppo, di cui si sente forte l’affiatamento, la condivisione, l’idem sentire; rende l’idea dello scambio reale, foriero di nuove possibilità artistiche e culturali con artisti lontani solo geograficamente e pronti all’interazione, al racconto e alla fusione,  che è poi l’anima vera di ogni creazione umana. Infine spiega realmente la forza del suono della voce, ma anche dell’immagine cruda, senza cioè particolari elaborazioni estetiche, nella realizzazione dell’Incontro: con gli artisti, con le persone, con i popoli, con le terre, con il mare, con la vita, con se stessi. Ricordiamo i credits di questo lavoro: fotografia, montaggio e color correction: Stefano Ricco, sound engineer e mix audio: Antonio Lovato, direzione musicale: Tosca e Bubbez Orchestra, consulenza musicale: Tosca, Max De Tomassi e Joe Barbieri. Con: Tosca, Marisa Monte, Ivano Fossati, Ivan Lins, Luisa Sobral, Lotfi Bousniak, Cyrille Aimée, Rogê, Alice Caymmi, Mariene De Castro, Aline Calixto, Vincent Ségal, Awa Ly, Salim Dada, Evandro Dos Reis, Maria Anadon, Thiago Delegado, Houria Bouhired, Lina Ben Menni, Barbara Olivi, Cristina Piovani. E con i musicisti di Tosca: Massimo De Lorenzi, Ermanno Dodaro, Giovanna Famulari, Alessia Salvucci. 



Elisabetta Malantrucco

Posta un commento

Nuova Vecchia