Ivan Talarico – Un elefante nella stanza (Folkificio, 2019)

Ci ha messo un tempo che somiglia a quel clima che nelle sue canzoni inganna, con le finestre aperte a un vento surreale. Ma i piedi di Ivan Talarico sono ben piantati per terra, anzi sulla Terra, e alla fine questo album, che racchiude alcuni dei brani che già da tanti anni porta in giro nei suoi live, è uscito; e si mostra senza particolari timidezze e con la voce, casomai, determinata a raccontare immagini, concentrata in quel mulinello di parole che attraversa leggero ogni angoscia, ogni paura, ogni perdita di senso e di sensi, ogni amore che somiglia a un filetto di sgombro… di una cena solitaria in casa per non rovinare l’economia del mese. Sì: è un disco di filetti di sgombro, di bugie, elefanti fortissimi e “torte di male” (non è un refuso). E questo mulinello, che leggero leggero, “zitto zitto” in mezzo a tutte quelle parole, alla fine si trasforma in un vortice – a volte di angoscia, a volte semplicemente di vita quotidiana, a volte di solitudini di persone che tentano di comunicare davvero, a volte ancora solo di paura – è lasciato all’aria di una produzione artistica che crea spazi grandi, che appoggia e non opprime, che dà alla narrazione la parte protagonista: non a caso c’è dietro la mano eccellente di Filippo Gatti. È un album che fa sorridere anche se spesso con amarezza, e fa venire voglia di abbracciare proprio gli elefanti, esseri grandi e grossi e dignitosi, che portano fortuna, nella loro enorme grazia. Un “elefante elegante” potremmo dire, tanto per giocare con assonanze e rime come fa Ivan, con quell’humour da Nord Europa e con quell’andatura alla Kaurismaki, che gli permette di raccontare l’angoscia con verecondia e pudore, senza nessun cedimento al pathos. Ma qui non afferriamo nemmeno i fatti drammatici, come avviene in quei film che arrivano da lontano: li supponiamo soltanto. Supponiamo le immense paure dei rapporti interpersonali e intimi, così come di quelli sociali; riviviamo l’impossibilità di comunicare, quando non bastano empatia, parole, gesti, immagini e disperazioni. Non è un album semplice questo di Talarico, malgrado le apparenze: bisogna avere gli stessi tempi del suo autore, così dilatati e forse inesistenti, come quel vento che entra da quelle finestre aperte, per apprezzarne il senso – se senso è la parola giusta da adoperare – e per assaporarlo fino in fondo. Ivan ha una grande presenza scenica e un live che parla da solo(anche quello parla… ebbene sì!); renderlo su un disco non era facile. Anzi: era una impresa quasi disperata. Ebbene c’è riuscito. O quasi, perché in alcuni momenti l’attenzione si perde; ma sono solo davvero dei rapidi momenti (su cui in futuro si potrà lavorare) poi si ritorna rapidamente dentro la forza di un artista speciale perché… “ha un occhio destro dall’aspetto sinistro”. 


Elisabetta Malantrucco

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