Attraverso una rete di bugie arriverò fino a te

“...la bestia che urla e l'angelo tace
e non mi è concesso un momento di pace
a chi proverà a usare il mio niente
a lei apparterrò, impersonalmente...”

A Verona, domenica 9 Giugno, all'interno del programma del Festival della Bellezza 2019, alle 18.30, presso il Giardino Giusti, il Maestro di Linguaggio Marco Ongaro presenta un evento unico, il concerto-dissertazione: “Leonard Cohen, Il Sacro Gioco dell’Amore”. Ongaro conosce bene i significati che si celano tra i versi d'amore di Cohen, li ha sovente condivisi e cantati con altre parole nelle sue canzoni e nei suoi scritti: “Ma a cosa serve l'amore? Se non hai sassi su cui inciampare, cavalli che ti disarcionano, se non hai limiti da cui farti umiliare, a cosa serve l'amore?” La sua fascinazione per Cohen viene da lontano, oltre che dal vivo l'ha tradotto e interpretato su CD a più riprese nel corso degli anni: 1995: “Non portartelo a casa se è duro” (“Don't go home with your hard-on) in: “Certi sogni non si avverano” (Marco Ongaro); 2006: “Cantiamo un'altra canzone” (“Sing another song, boys”) in: “Nudo in ombra” (Flavio Poltronieri); 2010: “Ricordi” (“Memories”) e “La ballata della cavalla assente” (“Ballad of the absent mare”) in: “Canzoni per adulti” (Marco Ongaro); “Lasciai una donna ad aspettare” (“I left a woman waiting”) in: “Vestito per amare” (Flavio Poltronieri); 2016: “Alleluia” (“Hallelujah”) in: “Voce” (Marco Ongaro); 2018: “La canzone dello straniero” (“The stranger song”) ne: “Il fantasma baciatore” (Marco Ongaro) e proprio dal fondo possiamo iniziare questo viaggio che da ovunque si parta, ci porterà sempre al medesimo punto. 
“The stranger song” è la lirica ideale di Leonard Cohen, la Bibbia definitiva in canzone, la poesia eterna. La pagina che contiene, riassume, elenca tutte le lingue dell'amore, i compiti che possiamo svolgere, gli amanti con cui possiamo condividere un pezzo di letto o una pulsione di vita. E' il serpente che si morde la coda, un inizio che bacia sulle labbra la fine. Una fine che arriva prima dell'inizio. E infatti Cohen la piazza già nella facciata A disco d'esordio a mo' di ammonimento su ciò che ci aspetterà nei decenni seguenti. Ne “La canzone dello straniero” c'è già tutto quello che lui pensa a riguardo l'irrinunciabile cerimonia del rito amoroso e non farà altro che ripeterla in continuazione, come una litania, un mantra, nel corso di tutta la sua opera, l'incolmabile distanza che c'è tra il maschile e il femminile, “l'inaccessibile meta” di Brel, l'inutile viaggio di chi vuole raggiungere la stella troppo lontana. Lui esperimenterà con rigore entrambi i modi: le mille conquiste e il ritiro monacale. Tenterà inutilmente fino alla fine una pratica per rendere perfetta questa vita. Come cercherà continuamente cosa fosse giusto. Leonard Cohen, è stato un uomo pieno di contraddizioni, perché c'è forse qualcuno che non lo è? Porgiamo a lui volentieri “la prima pietra”… Nei giorni del 1973 in cui cantava alle truppe israeliane "Lover, lover, lover" dedicandola ad entrambe le parti in conflitto, si chiedeva fondamentalmente se poteva trastullarsi con l'idea della Purezza Personale come condizione necessaria per adempiere al proprio compito, esattamente la medesima domanda, eternamente senza risoluzione, che si era posto all'Avana nella primavera del 1961 quando al massimo della tensione con gli Stati Uniti era volato a Cuba, 
portando con sé il mito di una propria Guerra Civile e finendo arrestato dai militari di Castro a cui in continuazione ripeteva "Amistad del pueblo", che oltre ad essere uno slogan rivoluzionario di Fidel era anche l'unica frase in spagnolo che lui conosceva. Tutto annotato e trasposto in poesia: “The only tourist in Havana...” (“Flowers for Hitler”) e “Field Commander Cohen” (“New Skin For The Old Ceremony”). E' destino che nel percorrere le strade del Gioco Favorito dei Meravigliosi Perdenti, tutti noi ci muoviamo senza scampo, perennemente in bilico tra possibilità e avvilimento, all'interno di vite spesso mediocri: “Non sono mai stato bravo ad amarti, ad essere affidabile, stavo morendo quando ci siamo incontrati, ho scommesso su di te, tu hai visto il mio asso, il mio re, il mio bluff, ero abbastanza bravo a portare fuori la spazzatura ma quello non conta, ero solo una specie di turista nel tuo letto, guardavo il panorama...” (“Never any good”). Ma le sue parole non risparmiano di illustrarci anche la sorte di chi conduce una vita da santo o da eroe. Nel 2011 perfino Benedetto XVI ha voluto ricordare a tutti il grande amore di Giovanna d’Arco per Cristo, per la Madonna e per quella stessa Chiesa che la stava mandando al rogo, per poi santificarla quasi cinque secoli dopo. I teologi che la condannarono, afferma Papa Ratzinger, non ebbero «la carità e l’umiltà di vedere in questa giovane l’azione di Dio». Ma è certo che questa ragazzina anche nel corso dei secoli è stata capita da pochi, fraintesa, reinterpretata, strumentalizzata. Giovanna è diventata allo stesso tempo un mito, un simbolo di fazioni contrapposte e, inevitabilmente, anche un’ottima immagine da dare al mercato. Ogni 1° maggio, in Francia, i conservatori del Front National la celebrano come simbolo nazionalista sotto la sua statua d’oro alle Tuileries. Lei che nel 1971, era stata completamente smitizzata da Leonard Cohen nella sua omonima canzone, per poi diventare un simbolo per i pacifisti: stanca della guerra, si riscopre donna sul rogo, nell’atto di amare carnalmente addirittura il fuoco che dopo averla spiata e corteggiata, infine la divora. Uniti per sempre da un sacro vincolo: lui che la riduce in cenere, lei che lo sposa. In “Hallelujah”, David, re d’Israele, suonando la sua arpa riesce a quietare l’anima malvagia di Saul, suo predecessore, ma è profondamente perplesso perché, nonostante sia il prescelto dal Signore, 
non è riuscito a fare a meno di seguire la propria natura umana e non ha saputo resistere alla sconvolgente bellezza nuda di Betsabea, moglie di Uria l’Ittita, seducendola. Il testo si può interpretare come la fine di un sentimento o un inno alla musica, come sempre il sacro gioco offre o nasconde altre suggestioni nelle canzoni di Cohen: l'amore che tradisce ma è fede, obbedienza, annullamento, come spesso è testimoniato nella Bibbia. Del sacrificio di Isacco ha scritto anche il filosofo (o scrittore fuori ruolo, come lui stesso amava definirsi) danese Soren Kierkergaard in "Timore e Tremore" pubblicato nel 1843 sotto lo pseudonimo di Johannes de Silentio, arrivando a suggerire l'idea che Isacco fu veramente ucciso e che Dio, rendendosi poi conto del proprio errore nel chiedere questo ad Abramo, gliene avesse dato un altro che sarebbe rimasto per l'eternità perché non era lo stesso nato da Sara. “The story of Isaac” è l'occasione di discussione sulla natura stessa di Dio e della fede smisurata di Abramo e Kierkergaard pone la domanda se questa obbedienza non trasformi eticamente Abramo semplicemente in un assassino. Probabilmente, secondo la canzone di Cohen, Dio e Abramo facendo questo ad Isacco crearono in realtà il primo soldato israeliano. Tralasciando l'intervento dell’angelo che ferma la mano, quanto passivo e pio è il gesto di un uomo che, pur di rispettare uno schema, decide di uccidere il proprio figlio? E’ lo stesso schema, che, non partendo da un Dio ma da una ideologia, portò allo sterminio nazista. Isacco aveva nove anni quando suo padre lo condusse sul monte Moriah e nove anni aveva Cohen quando suo padre, Nathan, morì. 
E fu in quel momento che il bambino scrisse e nascose la sua prima poesia. Il pavone che dona l'immagine finale della canzone spalancando la ruota in segno di vittoria in molte culture e anche in natura è un simbolo di lotta e di ripristino della giustizia. Quando Leonard Cohen se ne andò, di novembre, fu davvero un giorno desolato, anche il mantello di San Martino mi sembrò inutile ma le sue canzoni che raccontano del congiungimento tra maschile e femminile, esisteranno intatte finché esisterà testimonianza delle arti di cui può essere capace l'essere umano. Il sesso come soluzione o riparo? L'istante o la sincerità? La consapevolezza di un'unione o l'accettazione del suo superamento, seduta stante? Ongaro: “E' così dopo l'amore, dolcemente qualcuno s'addormenta, qualcuno fuma e si guarda la pelle, qualcuno continua ad impazzire per gli occhi che si trova di fronte, qualcuno vorrebbe partire per sempre, qualcuno è certo che partirà, nessuno è certo di non tornare, tutti, proprio tutti, pensano a qualcun altro...”.

Flavio Poltronieri
flavio.poltronieri@libero.it

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