Elettrizzante, energica, sono le parole adatte a descrivere “Miziki”, ultima uscita discografica di Dobet Gnahorè, originale cantante, autrice e performer della Costa d’Avorio, dove è nata nel 1982. Il quinto album dell’artista, uscito a quattro anni di distanza dal precedente “Na drè”, è stato registrato e prodotto in Francia – dove Dobet vive da quasi vent’anni in conseguenza della guerra civile che si è sviluppata nel suo paese d’origine –, affidato alle cure di Nicolas Repac. In “Miziki” si incontrano dodici composizioni della Gnahoré (fa eccezione il lieve brano “Afrika” scritto da Josiane de Ridder che canta il continente africano come fonte d’ispirazione), in cui viene utilizzato principalmente il bètè, uno tra i 72 dialetti ivoriani, sua lingua madre.
La voce di Dobet, eclettica, scura, coinvolgente, espressiva, sentimentale ma anche provocatoria, indubbiamente padroneggiata con sicurezza, ben si adatta a una scrittura musicale molto varia, in cui la cantante dialoga con i cori femminili incarnati da Isabel Gonzales e Nabil Mehrezi. In un’atmosfera permeata da un imprinting elettronico leggero e dosato con gusto si muove la line-up, formata da chitarra elettrica e acustica, suonate da Colin Laroche de Féline, balafon da Lansiné Kouyaté, percussioni sia tradizionali che “occidentali” da Patrick Goraguer e Guilherme Alves, il basso è quello di Damian Nueva Cortes. Nei testi, essenziali e diretti, l’artista spazia tra canzoni d’amore come “La Clè” e “Love”, storie al femminile di ragazze che realizzano i loro sogni nonostante l’handicap in “Lobé”, bambine ribelli in “Akissi” e di nonne che, oltre che di cibo, riforniscono i bambini del villaggio di saggi consigli in “La source”; nell’originale, incalzante title-track racconta della musica come battito di tamburo che risuona nella testa e nel cuore, in “Education” chiede che venga riconosciuta come priorità l’educazione gratuita per tutti i bambini; con “Djoli” e “Détenon” si auspicano condivisione e speranza in un futuro migliore. Tra i riferimenti di questa eclettica world music si avvertono echi diversi ma soprattutto le ascendenze profonde e poderose dall’Africa, terra madre di tutte le terre, raccontata con una punto di osservazione al femminile. Si raccolgono le suggestioni di potenti fraseggi di chitarre touareg accanto agli arpeggi delicati, il fascino elegante dei cori, l’incisività dei ritmi rutilanti che chiamano alla danza, le profondità e i trilli del legno del balafon, assemblati in un sound scintillante che occhieggia al pop. Colpiscono le creazioni di Dobet proprio per la grande libertà nell’approccio che ha come punti di riferimento le grandi voci femminili africane come Miriam Makeba ma anche l’eccentrica, europea Björk, e lasciano il segno per l’originalità ed il carattere che vengono fuori nell’ascolto. Si percepiscono, forti, la gioia e l’impegno che la Gnahoré profonde nella musica, nel canto, nella danza – quest’ultima dominata grazie a una presenza scenica fiera e regale – attività che per lei rappresentano una scelta di vita. A partire dall’età di sei anni, infatti, é vissuta nel villaggio di Ki Yi M’bock ad Abidjan nel quale viveva il padre Boni, affermato percussionista, un centro culturale residenziale nel quale i giovani africani venivano formati sotto diversi aspetti: musica, danza, teatro, per diventare artisti completi. Cresciuta in quell’ambiente unico e stimolante, scuola di vita che rappresenta un punto d’incontro al quale fanno riferimento molti musicisti – tra i quali Ray Lema, Youssou’N’Dour, Salif Keita e Lokua Kanza – , la Gnahoré già da ragazzina aveva scelto che quella sarebbe stata la sua strada. Lì si è anche realizzato l’incontro con il chitarrista Colin Laroche de Fèline che, arrivato ad Abidjan per apprendere le tecniche musicali dei cordofoni africani, vi si è fermato per diversi anni, costruendo con Dobet un sodalizio artistico e poi anche sentimentale. Negli anni la Gnahoré ha pubblicato i suoi primi quattro album con l’etichetta belga Contre-jour ed ha viaggiato in tournée in tutto il mondo, diverse volte negli Stati Uniti, conquistando anche un Grammy Award come Best Urban/Alternative Performance nel 2010 con India Arie.
Con “Miziki” per la prima volta la Gnahorè si misura anche con la composizione, esprimendo in questo entusiasmante, intenso lavoro la forza e il fascino di un’artista internazionale che attinge linfa vitale da profonde radici culturali africane.
Carla Visca
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