Amore, amore, amore. Nella plurima articolazione semantica dell’idea di amore, a parere di chi scrive, risiede l’essenza del pensiero di Amerigo Vigliermo rispetto al canto popolare e alla cultura dei Canavesani. Il 22 ottobre, il Coro Bajolese ha festeggiato i cinquant’anni di attività. A Montalto Dora, presso l’Anfiteatro Burbatti (messo a disposizione dall’Amministrazione comunale), si è svolta una giornata in celebrazione dell’avvenimento, con relatori di rilievo come Monsignor Luigi Bettazzi (Vescovo emerito di Ivrea), Emilio Jona (tra i fondatori dei “Cantacronache”), Carlo Petrini (ideatore di “Slow Food”).
Amore verso i cittadini e il territorio
Con la consueta gentilezza, Amerigo Vigliermo ci ha concesso un’intervista appena prima di salire sul palco per intonare il canto di apertura. Un dialogo serrato è stato il nostro, spesso interrotto dai partecipanti provenienti da tutto il Canavese, desiderosi di congratularsi e di ringraziarlo per l’operato. Lodi sentite e commosse, come quelle di una signora che non è riuscita a trattenere le lacrime. “Certo, siamo qui per ricordare i nostri cinquant’anni di attività”, ha esordito Vigliermo, “ma la festa è un pretesto per stare insieme alla nostra gente, perché il merito del nostro successo è soprattutto loro. Nel Canavese siamo andati ovunque a conoscere gente vera, persone che avevano qualcosa da insegnare e da tramandare. All’inizio erano stupite che qualcuno s’interessasse ai loro canti. A volte si schermivano. Appena capivano che facevamo sul serio e che volevamo andare a fondo nella conoscenza e nella riproposizione dei loro canti, allora cambiavano atteggiamento(...), era come se meglio comprendessero la bellezza dei loro canti. Sono stati loro i nostri più importanti maestri e maestre: a loro è dedicata questa nostra giornata di festa”.
Vigliermo ci ha voluto mostrare le immagini in bianco e nero che, dopo lunga ricerca, sono state selezionate dal nutrito Archivio multimediale del C.E.C. (Centro Etnologico Canavesano) e poste in mostra nella sala dell’Anfiteatro. Si tratta di un campionario fotografico che comprende scatti riferiti alla cultura materiale e a quella musicale, spesso collegati a riti popolari e religiosi o a momenti conviviali come, ad esempio, la “fagiolata”, organizzata in piazza usando enormi pentoloni. Una certa emozione si è sentita quando Vigliermo si è avvicinato all’immagine della zia Annetta sua musa ispiratrice insieme alla nonna Caterina. Ci ha indicato le foto di Stefano e Battista Novaria, intenti in una gag da circo, che suonano chitarra e mandolino a mani incrociate. Inoltre, i Cantori di Quincinetto, esperti nell’esecuzione delle messe di Perosi in versione popolareggiante:- “Con loro cantavamo i canti religiosi poi seguivano quelli profani (...). L’idea della nostra socialità è quella di ricreare la “sucietà”, la cooperativa del paese, nella quale ci ritrovavamo per discutere e giocare a bocce. Chi perdeva la sera pagava da bere e insieme si cantava e si giocava alla morra. Qui da noi c’è l’usanza della scodella e della “beva”. Il vino si versa abbondante e poi gira tra gli amici e tra i cantori. Quella scodella è segno di amicizia e di unione. Indipendentemente dal rango sociale, tutti gli amici (e sono tanti) che sono venuti a trovarci hanno bevuto dalla scodella. Il canto corale è per noi azione comunitaria condivisa tra amici”. L’excursus delle immagini riprende in rapida successione, osservando il “cadregat” (costruttore di sedie), l’anziana donna di Piverone intenta a usare il “tombolo”, il ciabattino Albino concentrato nel realizzare i “sabot”, la signora Enrietti impegnata a preparare il burro, il contadino che solca la terra per mezzo di un arato artigianale, il “butulat” che ribatte i cerchi delle botti, la signora Cesarina che prepara le “miasse”, cialde tipiche locali. Alternate a quelle dei mestieri, le foto dei suonatori e dei cantori di vari paesi del Canavese. Sono foto espressive che da sole compongono un libro e parlano, spiegano, più di mille parole. E le parole, prosegue Vigliermo, “(...) in queste situazioni servono a poco, bisogna imparare a stare vicino alla nostra gente e ascoltarla. Appena c’era qualcosa da imparare noi imparavamo e poi lo riprendevamo a cantare in gruppo. Abbiamo seguito un percorso nel quale anche il nostro stile di canto è cambiato. Abbiamo avuto anche dei maestri “morali”, i quali non cantavano ma che ci hanno aiutato nel nostro percorso di ricerca. Il più importante di tutti non l’ho conosciuto ed stato colui che ha scritto un’opera superlativa e pionieristica: Costantino Nigra (1828-1907) autore dei “Canti Popolari del Piemonte”. Poi Roberto Leydi, Sergio Liberovici, Emilio Jona, ma anche Bernardino Streito e altri ancora”.
Abbiamo parlato del presente e del passato, che cosa bolle in pentola per il futuro?
Vigliermo con delicato stile ironico ci ha spiegato che “(...) i Bajoesi si stanno attrezzando per il prossimo cinquantennio. Bisogna impegnarsi a fondo per far tornare a cantare i giovani. Bisogna trovare il modo per coinvolgerli, per farli appassionare alla cultura delle proprie comunità, partendo dai canti, coinvolgendoli nelle ricerche, invitandoli ai concerti, chiedendo di assistere alle prove. Sono necessari i giovani a cui passare il testimone. Nel gruppo ce ne sono tre che ora hanno intorno ai trentacinque anni, speriamo resistano e che possano aumentare. Di recente, abbiamo lavorato per sistemare tutta la sede del C.E.C., abbiamo imbiancato, messo a posto il cortile che vorremmo far diventare una sorta di anfiteatro per le rappresentazioni all’aperto (...) e alcuni giovani ci hanno aiutato (...). Io ho tanta speranza e tendo a non essere catastrofista anche se i problemi per portare avanti il Coro non mancano mai. Ci vuole tanta passione e impegno. Per questa giornata dedicata al cinquantesimo l’organizzatore principale è stato Roberto Sgarlata, che dobbiamo ringraziare e che, comunque, ha ascoltato i miei consigli e i miei suggerimenti”.
L’Incontro-Convegno per il Cinquantesimo
Come in precedenza anticipato, l’idea principale di Vigliermo e dei coristi era quella di stare insieme, di fare festa, non di organizzare un “convegno noioso (...) come quelli nei quali si parte dai Fenici per arrivare fino ai giorni nostri mentre il pubblico dorme”. La scenografia sul palco è stata concepita con a lato una serie di tavolini tipici della “sucietà” di Bajo Dora. In mezzo un grande schermo per la visone dei filmati e, di lato, due poltroncine per gli interventi degli ospiti-relatori. Alle spalle il mixer gestito da Renato Campajola il quale, da alcuni decenni, segue le autoproduzioni discografiche dei Bajolesi. In apertura e alternati agli interventi dei relatori i canti popolari, commoventi, a volte struggenti, con il tipico “duende canavesano” e la timbrica maschile arricchita dalla voce della signora Norma Betteto Coello (di origine padovana). Come ha osservato Carlo Petrini, “quello dei Bajolesi è forse l’unico coro al mondo ad avere una sola voce femminile tra tante maschili. Una voce importante che dà colore a tutto il coro”.
Vi è da dire che la maggior parte dei relatori si è presentata sul palco senza nulla di scritto, esprimendo gli elogi e ricordando a braccio i momenti che, per qualche ragione, li hanno accumunati al coro di Bajo. Gli interventi sono stati spontanei, raccontati un po’ in dialetto un po’ in lingua nazionale, come quello di Carlo Petrini, sempre preso da impegni internazionali ma che, in questa ricorrenza, ha voluto essere vicino a Vigliemo e ai coristi, come atto di stima, di amicizia e di gratitudine. Dei Bajolesi ha sempre apprezzato la spontaneità e la sincerità espressiva. Per far comprendere il suo pensiero, ha raccontato sue esperienze con persone di valore capaci di essere “semplici” nella vita di tutti i giorni. Ad esempio, ha raccontato di un commovente e inaspettato colloquio telefonico con Papa Francesco, con il quale ha discusso proprio di alcuni canti piemontesi o degli emigrati. Oppure si è riferito ad alcuni concerti delle gemelle Nete, originarie della provincia di Cuneo, specialiste nell’esecuzione di canti popolari. Persone semplici e spensierate, le quali spesso s’incontravano con personaggi illustri che neppure conoscevano. Tra i diversi aneddoti rievocati, sintetizziamo quello avvenuto durante una trasmissione televisiva. Per casualità, si erano trovate a sedere vicino a Renato Guttuso. Tutti passavano e si complimentavano con il “maestro” per le sue opere. Alla fine, incuriosita, una delle sorelle Nete ha chiesto:- Scusi ma lei maestro di che cos’è? E Guttuso rispose:- Io dipingo. Ah, Bravo! – commentò una delle sorelle”. L’idea principale che Petrini ha voluto far risaltare è che le due sorelle erano “nature”, senza remore di tipo culturale. Parlavano con chiunque in modo spontaneo. Un’analogia con le capacità espressive del coro Bajolese che, a suo giudizio, ha sempre mostrato un punto di forza nella bravura esecutiva, ma soprattutto nella “capacità di saper interpretare la comunità o le comunità che rappresentano”.
Non meno piacevole è stato l’intervento di Monsignor Bettazzi, apprezzato e stimato Vescovo emerito d’Ivrea, dotato di speciale umorismo. Vigliermo gli ha ricordato il momento in cui anche lui, durante una sessione pubblica di canto, bevve dalla coppa comune dei Bajolesi. “Sì ricordo - ha risposto scherzosamente l’alto prelato - forse proprio per questo non mi fecero mai cardinale”. Ha aggiunto alcune divertenti barzellette, ma il senso generale dell’intervento è stato centrato sul tema della “rinuncia”, intesa come piccolo sacrificio da parte di ognuno per cercare di far star meglio il gruppo con il quale si convive. Una caratteristica che ha sempre riscontrato nel percorso di ricerca dei Bajolesi, comunità unità per mezzo del canto e della cultura locale. Con una domanda, Vigliermo ha stimolato il ricordo di una sua storica direzione in ambito corale. Mons. Bettazzi ha spiegato che ciò avvenne quando era stato da poco nominato Vescovo d’Ivrea, nel centenario (gli è parso di ricordare) della nascita del compositore Perosi. Di lui, in quell’occasione, diresse una messa a voci pari (maschili):- Dopo quella volta - ha concluso - non ho più proseguito in questo tipo di esperienze perché ero troppo impegnato a fare il Vescovo. Dopo aver benedetto gli astanti, ha voluto terminare raccontando un’altra barzelletta, nella quale i protagonisti sono un prete di campagna (reo di aver battezzato un animale in cambio di un’ingente somma di denaro) e il suo Vescovo. Un altro intervento è stato quello di Emilio Jona. Quasi novantenne, giovanile nell’aspetto e dalla mente lucida, Jona è un luminare per quanto riguarda la raccolta e la diffusione dei canti storico-sociali. Nell’intervento, ha ricordato che il suo impegno iniziò negli anni Cinquanta, collaborando tra l’altro con Sergio Liberovici. La sua è stata una relazione colta e articolata, nella quale è stata evidenziata la possibilità di analizzare i canti ponendo in risalto le diverse funzioni sociali con il riscontro di uno specifico momento storico. Un canto di lavoro, ad esempio, poteva essere al contempo mezzo per testimoniare la fatica sui campi, per alleviare le fatiche ma anche documento storico-vocale, talvolta utilizzato per un confronto stilistico tra le diverse “squadre” di canto. Dopo aver accennato alle sue attuali ricerche e alla collaborazione con Alberto Lovatto e Franco Castelli, Jona si è poi concentrato a evidenziare la grandezza di Costantino Nigra (studioso di Castelnuovo) e della sua principale opera musicale, ricordandolo come pioniere ricercatore di canti popolari, ma anche come diplomatico e politico, essendo stato figura di rilievo del Risorgimento italiano.
Vi è da ricordare che i Bajolesi e il C.E.C. hanno dedicato al Nigra numerose incisioni discografiche. Tra i diversi filmati presentati durante il Convegno, uno proponeva la visione e l’ascolto di coinvolgenti spezzoni video e audio, riferiti ad anziani esecutori del Canavese non più tra noi. Persone semplici, con stili vocali unici. Come prevedibile, diversi canti sono stati eseguiti coralmente durante il Convegno. In apertura, “Buonasera Martina” (tipico di Brosso), a seguire “La Fija di un paesan” (appreso dal cantore Guido Camosso) e due strofe di “Sirio”, canto storico-narrativo. A chiusura della prima parte del convegno, è stato eseguito “La fava bianca e rusa”, il primo canto raccolto a Bajo dalla voce della signora Consolina Foglia. Nel pomeriggio, ci è stato riferito che sono stati cantati “A testa bassa”, “Il canto dell’albero” (composto da Vigliermo, solitamente eseguito per la festa del “Primo Maggio”) e “La lingera” (canto che i Canavesani intonavano quando si trasferivano a lavorare nelle valli valdostane).
Un intervento tecnico riguarda quello di Renato Campajola, stimato per la serietà professionale e per la sensibilità nel saper valorizzare acusticamente le peculiarità vocali dei gruppi registrati. Chi scrive lo ricorda, negli anni Ottanta, particolarmente attivo nella registrazione dei “Cori civici milanesi” diretti da Mino Bordignon e del coro degli “Anonymi Cantores”, attivo a Milano, diretto da Bernardino Streito, fisico e docente di Conservatorio, nel Canavese (e non solo) considerato massima istituzione in ambito corale. Una parte dell’intervento di Campajola è stata dedicata all’evoluzione stilistica dei Bajolesi negli anni Settanta. Anni in cui ancora le case discografiche (“Albatros” e “Fonit Cetra”, ad esempio) investivano e pubblicavano dischi di musica popolare. Oggi questo non avviene più e la maggior parte della discografia attuale è autoprodotta e autodistribuita. I Bajolesi, tuttavia, non si sono mai accontentati di valorizzare solo le proprie opere. Spesso, sono divenuti essi stessi produttori, pubblicando dischi a favore di personaggi musicali locali che altrimenti sarebbero rimasti nell’oblio. Secondo le stime del relatore, nel corso della loro attività canora, i Bajolesi hanno pubblicato circa 10 dischi in vinile, oltre 20 cd, più altri dischi compilation con differenti gruppi. Le capacità di Campajola, “homo ex machina” (ha seguito oltre mille produzioni discografiche insieme al suo socio Mario Bertoldo), sono state elogiate da Vigliermo, il quale ha riferito di quanto (tra tanti problemi) sia stato importante l’intervento di un “ … tecnico del quale potersi fidare ciecamente” ai fini della loro attività. Dalla nostra sintesi è possibile rendersi conto di come la giornata musicale e di studio sia stata densa di contenuti e di spunti di riflessione. Tra gli altri interventi dei relatori quello di Isidoro Taccagni (direttore del coro “Bilacus” di Bellagio), il quale ha messo in evidenza alcuni verbi chiave che hanno caratterizzato, sin dall’inizio, l’attività bajolese: educare, ri-creare, unire, restituire. Verbi intorno ai quali è indispensabile porre la giusta attenzione, se si desidera cogliere appieno i meriti del coro di Bajo Dora. Valter Giuliano ha, invece, ricordato le tappe del percorso di studio e di promozione condotto dalla “Rete italiana di Cultura Popolare” e dal cosiddetto “Polo interprovinciale del Novecento” (tra gli sponsor figurano il Comune di Torino e la Regione Piemonte), impegnati tra l’altro nell’organizzazione di una complessa Rassegna che si terrà a breve a Torino, nella quale adeguato spazio riceveranno i Bajolesi. Lo psicologo Daniele Debernardi è intervenuto al Convegno, ricordando l’importanza della musica nel rapporto corpo-mente anche nella cura di patologie severe e invalidanti. Inoltre, ha ribadito come il suono possa avere positivi effetti terapeutici nella cura degli stati depressivi.
A causa di ineludibili impegni, chi scrive non ha potuto seguire la seconda parte della giornata festiva e di studio, nella quale hanno partecipato come relatori Ruo Rui, Gian Carlo Biglia, Saverio Favre e Rinaldo Doro.
Nel finale della nostra intervista, Amerigo Vigliermo ha voluto ricordare la stratificazione della loro articolata ricerca culturale e musicale: -“All’inizio andavamo solo a parlare, poi siamo tornati a registrare, successivamente ci siamo resi conto dell’importanza della documentazione visiva, per cui siamo ritornati dagli interlocutori muniti di macchina fotografica e di cinepresa che, nel tempo, è divenuta una telecamera digitale come pure il registratore audio. Il materiale che abbiamo schedato nell’archivio del C.E.C è numeroso. Per l’opera di riorganizzazione e di catalogazione un ringraziamento particolare deve essere rivolto a Gian Carlo Biglia”. “Cinquant’anni sono passati e sembra ieri” - ha affermato Vigliermo - il quale, nonostante l’età, continua ad affrontare le molteplici attività di ricerca e di promozione musicale con vigore e animo giovanile. La storia saprà rendergli merito ma questo, al momento, sembra poco interessare. Le sue attenzioni sono concentrate sul presente, promuovendo un funzionale uso musicale artistico-comunitario per far risultare sempre attuale il sapere dei propri concittadini, mediante una promozione corale capace di dargli adeguata dignità. Una “lectio magistralis”, una lezione di vita e di stile dalla quale potrebbero prendere spunto numerosi accademici e cattedratici. Alla base di tutte le attività di Amerigo Vigliermo, abbiamo riscontrato la capacità di saper donare in modo disinteressato agli altri, con il desiderio di valorizzarli. E gli altri, i Canavesani, questo amore lo hanno recepito. Alla fine della prima parte del Convegno, era lunga la fila delle persone che volevano ringraziarlo, chi con le parole, chi con una stretta di mano, chi con affettuosi abbracci. Maestro, cinquant’anni di attività sono trascorsi rapidamente e l’opera di riunire idealmente i Canavesani in un’unica anima corale prosegue, con il cuore pulsante e l’orecchio ben teso ad ascoltare la vostra gente, avendo la consapevolezza che ogni azione musicale e culturale sarà sempre portata avanti come atto di amore.
Paolo Mercurio
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