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Il ritorno della Nuova Compagnia di Canto Popolare con un disco doppio, dove tra nuove composizioni e classici, Fausta Vetere e Corrado Sfogli ritrovano Eugenio Bennato, Patrizio Trampetti e cantano per l’ultima volta con Carlo D’Angiò.
Il nome rimanda alla stagione scintillante del primo folk revival. Direte: «Oggi la Nuova Compagnia di Canto Popolare è altra cosa rispetto all’ensemble che incarnava i principi musicologici ed estetici di Roberto De Simone». È vero, ma quel nome racchiude una storia immensa, di cui è testimone e memoria, Fausta Vetere, voce ancora da brividi, veterana e unico membro della formazione originale (nel 1967, nucleo primigenio erano stati Carlo D’Angiò, Eugenio Bennato e Giovanni Mauriello). Si parla di quei principi che condussero alla creazione di moduli stilizzati delle strutture formali dei canti e delle musiche contadine campane, che prevedevano l’uso di idiomi musicali colti ed extra-colti. De Simone si costruì un’«orchestra» - per usare le parole di Roberto Leydi, - che si opponeva al «napoletanismo» di maniera e incarnava una possibile riproposta del folk che non poggiasse sul ricalco. La storia dice che la NCCP sfondò tra il vasto pubblico giovanile ricevendo ampio consenso mediatico. “Nuova Compagnia di Canto Popolare” (1973), registrato al Teatro Belli di Roma, e i successivi “Li sarracini adorano lu sole” (1974) e “Tarantella ca nun va ’bbona” (1975) sono capisaldi con cui il gruppo raggiunse i vertici della notorietà, inserendosi anche nel circuito del pop. Il pubblico acquistò familiarità con villanelle, tammurriate e tarantelle; una formula unica, testimoniata anche dalle osservazioni di uno studioso come Diego Carpitella che in suo scritto, dopo aver elogiato l’intervento di ricerca desimoniana per la presenza di una coscienza critica e storica, distingueva tra buono e cattivo revival: quello della NCCP rappresentava il meglio.
Certo c’era anche chi – penso agli interventi di Goffredo Fofi su “Muzak” e ad Andrea Mugnai su “Gong” – rilevava come la NCCP avesse operato una edulcorazione, avesse reso digeribile per “i signori” l’alterità sonora del territorio campano, ma la cifra musicale del gruppo era elevata, meritava rispetto ed applausi: e così è stato per anni. Nel 1976 con “La Gatta Cenerentola” si assiste al perfetto compimento del magistero desimoniano, ma si approda alla conclusione di un ciclo fulgido di creatività. Resta indubbio il peso dell’esperienza della NCCP, la cui lezione è servita agli epigoni, a Napoli e in tutto il Sud, ed è stata ispiratrice di analoghe operazioni in altre parti d’Italia. Sul finire degli anni Settanta ci sono le prime fratture, i primi strappi (Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò formano Musicanova volendo andare oltre la riproposta, Peppe Barra intraprende la carriera solista, lo stesso De Simone si muove altrove nel suo studio di drammaturgo e compositore). La NCCP continua i suoi tour e nel 1981 pubblica un disco onesto, ma poco fortunato come “Storie di Fantanasia”, nella formazione che annovera Giovanni Mauriello, Fausta Vetere, Patrizio Trampetti, Nunzio Areni e Corrado Sfogli (entrato nel gruppo nel 1976). Il silenzio discografico dura per il resto degli anni Ottanta. Vetere con Sfogli, compagno anche di vita, e Giovanni Mauriello riparte da “Medina”, aprendosi a quell’idea estetica e immaginifica di musica mediterranea alimentata dall’avvento della world music. La NCCP approda addirittura al festival di Sanremo con la canzone "Pe' dispietto". Seguono “Tzigari”, cui partecipano, tra altri, Daniele Sepe e Antonello Salis, e “InCanto Acustico”, una raccolta di brani dal vivo. Dopo l’addio di Mauriello, un nuovo apporto compositivo arriva da Carlo Faiello e da Pasquale Ziccardi.
Sul finire degli anni Novanta, segnati dal ritorno dell’interesse di pubblico e di mercato verso i suoni tradizionali e dalla centralità delle posse dialettali, esce “Pesce d’o mare”, che segna l'ingresso della voce tenorile, potente ed elegante di Gianni Lamagna. Tra le guest star del disco, oltre ad Angelo Branduardi, troviamo Zulù dei 99 Posse, il percussionista tunisino Marzouk Mejri e i grandi cantori popolari Giovanni Coffarelli e Marcello Colasurdo. Del 2001 è “La voce del grano”, ancora imperniato sulla mediterraneità delle forme, anche in virtù della formazione chitarristica di Sfogli, cresciuto alla scuola di Eduardo Caliendo. Oltre a quest’ultimo, a Vetere e Lamagna, ci sono Pasquale Ziccardi, Michele Signore, il compianto plettrista Gino Evangelista e Carmine Bruno (percussionista di ottima levatura già con La Moresca), e tra gli ospiti, ancora Sepe e Colasurdo, ma soprattutto l’organettista e vocalist Cristina Vetrone. La seconda giovinezza della NCCP porta a “Candelora” (2005), un bel disco molto curato sul fronte dei suoni e dell’ispirazione. C’è spazio per “Live in Munich” qualche anno fa, prima della realizzazione di questo doppio disco in settetto: “50 anni in buona Compagnia” (FoxBand/Edel), celebrazione di mezzo secolo dalla parte del folk. La NCCP ritrova Renato Marengo il produttore dei glory days dei Seventies. Il primo CD, contenente quasi tutti inediti (eccetto “Tarantella del Gargano”), si apre con “Napulitane”, singolo a tempo di tammurriata, trainante e radiofonico, con il canto di Ziccardi in primo piano; il secondo CD propone la rilettura di molti successi del gruppo, tra i quali anche una versione di “In galera li panettiere” con Tullio de Piscopo e gli Osanna di Lino Vairetti, la band napoletana di progressive, che ha fatto al storia della musica a Napoli, con cui la NCCP andrà prossimamente in tour. Il disco due è un modo per mettere il segno su brani storici, piuttosto che indugiare nostalgicamente sul passato. Eppure un vago dolce-amaro sapore antico affiora, perché Fausta e Corrado hanno ritrovato in studio Carlo D’Angiò ed Eugenio Bennato: anzi commuove la voce di D’Angiò in “Madonna de la Grazia”, pensando che è stata la sua ultima registrazione. Eugenio riprende la villanella “Ricciulina” e Patrizio Trampetti si affianca in “La morte de mariteto”. Insomma, per una reunion poco ci manca, visto che gli unici assenti sono Mauriello e Barra, che si erano uniti ai vecchi sodali in occasione di un concerto-festa alla Rotonda Diaz a Napoli tre anni fa, per il settantesimo compleanno di Peppe. Di ritorno dall’esibizione sanremese al Premio Tenco, che quest’anno ha avuto un focus sulle migrazioni e sull’integrazione fra popoli, Corrado Sfogli parla del nuovo lavoro con Salvatore Esposito.
Ciro De Rosa
Come “50 anni in buona compagnia”?
L’idea di realizzare questo disco è nata quest’anno perché abbiamo ritrovato il nostro primo produttore artistico Renato Marengo, il quale mentre stavamo lavorando ad un disco di inediti ci ha fatto notare che nel 1967 era nata la Nuova Compagnia di Canto Popolare con Eugenio Bennato, Carlo d’Angiò e Giovanni Mauriello e, dunque, era l’occasione giusta per festeggiare i cinquant’anni del gruppo, anche se all’epoca sia io che Fausta non eravamo ancora in formazione. Ci è sembrato giusto festeggiare la nascita del gruppo, il cui nome fu ideato da Carlo D’Angiò, ed invece di fare solo un disco di inediti, ci siamo messi a lavoro per realizzare un qualcosa di più articolato. Così è nato questo doppio album che raccoglie dodici brani inediti e dodici rivisitazioni dal repertorio precedente. In questo, fondamentale è stato anche il nostro produttore discografico Rolando D’Angeli che ha investito in questo progetto. Insomma, è un lavoro nato in corso d’opera perché stavamo lavorando già ai brani nuovi e poi non siamo più usciti dallo studio di registrazione.
Il disco è stata l’occasione giusta per mettere in luce non solo la storia passata del gruppo, ma anche che il suo presente…
Spesso mi capita di discutere con chi afferma che la Nuova Compagnia di Canto Popolare nella sua prima formazione era una cosa fantastica, e io non lo nego assolutamente anche perché ne ho fatto parte anche io per un certo periodo.
Tuttavia aggiungo sempre una domanda ovvero se hanno mai ascoltato un disco o visto un concerto della Nuova Compagnia di Canto Popolare oggi. La risposta è sempre la stessa, cioè no. La storia di questo gruppo è stata senza dubbio straordinaria perché è nata dalla ricerca sul campo e nelle biblioteche alla riscoperta delle antiche villanelle, ma poi si è evoluta verso il futuro. Siamo diventati noi stessi parte della tradizione popolare componendo brani inediti, e aprendo la strada ad un nuovo percorso che non è solo ricerca, ma anche sperimentazione, confronto, e composizioni originali.
Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani del nuovo disco?
E’ stato un lavoro molto impegnativo, considerando che ho curato gli arrangiamenti di ventiquattro brani, ma sono molto soddisfatto. In alcuni ho dovuto anche suonare il basso, in quanto quello elettrico non andava benne nelle villanelle. Le registrazioni le abbiamo effettuate tutte dal vivo, con il quartetto che ha suonato in diretta, mentre i fiati li abbiamo ripresi in sovrapposizione perché la sala era molto stretta. Colgo l’occasione per citare i musicisti che hanno lavorato con noi a questo disco e che sono stati davvero molto bravi: Marino Sorrentino che ha suonato tutti i fiati dalla tromba al trombone a pistone passando per la bombarda, Antonio Natale che ha suonato i clarinetti, Andrea De Balsi al fagotto, e Lugi Di Nunzio al sax. Si sono lanciati tutti in questa avventura con grande passione e penso che dall’ascolto del disco tutto questo emerga con forza.
Quali sono le differenze e le identità rispetto ai vostri dischi precedenti?
L’ultimo disco che abbiamo prodotto è “Live in Munich” pubblicato nel 2011 da una etichetta tedesca, ma erano oltre dieci anni che non realizzavamo un disco di inediti. L’ultimo è stato “Candelora” che è uscito nel 2005 per RaiTrade. La differenza sostanziale con questi lavori è che “50 anni in buona compagnia” è un disco particolarissimo perché mescola atmosfere che variano da brano a brano. In un certo senso penso possa accontentare un po’ tutti, tanto quelli che amano il repertorio storico, quanto quelli che hanno apprezzato i dischi più recenti che abbiamo fatto. Ci sono le villanelle come “La morte de mariteto” che canta Patrizio Trampetti o “Vurria ca fosse ciaola”, fino a toccare il prog-rock con “In galera li panettieri” o le tematiche di carattere sociale come nel caso di “Ma pecchè” in cui spicca la chitarra elettrica suonata da mio figlio Marco. In cinquant’anni di storia di un gruppo è difficile trovare un disco che la rappresenti davvero, per questo abbiamo cercato di guardare al nostro passato ma anche al presente ed al futuro. Del resto non c’è futuro senza passato.
Il disco si apre con il singolo “Napulitane”. Come è nato questo brano?
Come dicevo prima, abbiamo cercato di fare un disco vario, evitando di omologare il suono in ogni brano, ma piuttosto abbiamo provato a far emergere emozioni diverse nelle varie tracce. “Napulitane” fa riferimento a come ci si sente meridionali ed in particolare napoletani, ma anche su come noi vediamo la musica popolare. Ognuno sente ed esprime alla sua maniera il sentirsi meridionali. A noi piacciono le facce scolpite di chi lavora nei campi, le mani piene di calli, la gente genuina che abita ancora nelle campagne. Fino agli inizi del secolo scorso Napoli era circondata dalla campagna e Posillipo era considerato un casale fuori città.
Hai citato Posillipo e non posso chiederti come è nato il brano strumentale omoimo…
Io sono nato in un’epoca in cui Posillipo era ancora considerata un casale di campagna. Al mattino arrivava il lattaio e portava il latte appena munto e i prodotti che si facevano in zona. C’erano i Sorrentino che avevano le mucche. Insomma ci sono i miei ricordi da bambino. E’ un brano molto evocativo, nel quale ho cercato di ricreare e ritrovare quell’atmosfere, quelle sensazioni e quei sentimenti che poteva avere chi passava da quelle parti, sessant’anni fa.
Il canto d’amore “Meu Core” è uno dei vertici del disco…
E’ un canto d’amore da quale emerge la sensazione di un sentimento sospeso in una giornata di sole. La prima parte è acustica con la voce di Fausta incorniciata dalla chitarra e poi nella seconda parte entrano i fiati che rimandano a certe atmosfere dei Beatles. In particolare per l’arrangiamento mi sono ispirato a Penny Lane.
“Fujenti” rimanda invece al repertorio devozionale…
“Fujenti” è la continuazione di di “Chi è devoto”, un brano presente ne “La voce del grando” e che rimandava ad una festa che si fa a Somma Vesuviana, ed era cantato da Marcello Colasurdo. In questo caso protagonista è la processione con la band che entra ed esce dal brano evocando proprio la ritualità dei fujenti della Madonna dell’Arco. E’ certamente una delle cose più interessanti che abbiamo scritto perché scava a fondo nelle emozioni di chi prende parte con il cuore a queste feste, coloro che credono ancora per non morire. Un devoto che fa visita ad un santuario chieda la grazia e crede per non perdere la speranza. Volevamo raccontare la storia dei fujenti che si avviano di corsa verso il Santuario della Madonna dell’Arco il giorno di Lunedì in Albis, e chi c’è stato troverà in questo brano la stessa atmosfera, gli stessi colori con il bianco che simboleggia la purezza, l’azzurro che evoca la Madonna e il rosso la passione che c’è nella fede. Io sono stato tante volte al Santuario e mi ha sempre colpito tutto questo. Pasquale Ziccardi ha firmato la musica ed io invece ho scritto il testo e curato l’arrangiamento dei fiati.
Come mai avete deciso di rileggere “Tarantella Del Gargano”?
Io e Pasquale Ziccardi ci occupiamo di comporre la maggior parte dei brani, e abbiamo pensato che questo fosse il canto d’amore più bello mai scritto nella tradizione popolare dell’Italia Meridionale. E’ una visione onirica di un atto d’amore verso una persona incredibile. Volevamo rileggerla per farne una versione particolare, una versione quasi aristocratica con il quartetto d’archi, con un cambio di durezza senza usare una settima, ma ritornando con una cadenza ingannata che lascia in sospeso senza concludere il discorso musicale. Il brano è cantato da Pasquale e l’arrangiamento è iperclassico nel senso che abbiamo usato tutti gli strumenti della tradizione con l’aggiunta di questo elegant quartetto d’archi. Considero la musica popolare aristocratica perché è complessa e non si risolve mai con due accordi. Dietro ogni brano c’è una storia ed è sempre questa grande aristocrazia del mondo popolare ad ispirarci. Non aveva senso farlo uguale a quello dei Cantori di Carpino. Spero piaccia, ma i gusti nostri non sempre combaciano con quelli degli ascoltatori.
Altro splendido inedito è “Tammuriata d’a’prumessa”…
Nel disco non poteva mancare un brano che rimandasse più direttamente anche alla cultura popolare. Si tratta di un brano che ruota intorno alle promesse con questo giovane innamorato che vuole portare via lontano la propria amata, lontano anche dai suoi genitori. Ci piaceva molto questo gioco che ruota sulla ritualità della promessa e dell’attesa. Il mondo popolare vive sempre nell’attesa che accada qualcosa dopo un rito. E’ il tentativo di cambiare il mondo che lo circonda. Le tammurriate sono quasi sempre cantate in onore della Madonna, ma alcune di esse raccontano anche storie successe, altre descrivono visioni oniriche, altre ancora possono raccontare storie di promesse e di speranze.
Tarantella di Giuliani è un omaggio al grande chitarrista Mauro Giuliani…
Stavo studiando uno spartito sulle danze tradizionali di Mauro Giuliani che riportava questa tarantella. Lui era pugliese, e quando mi sono ritrovato a suonare questo brano, la mia mente è andata subito verso la pizzica pizzica, infatti presenta gli stessi movimenti dei bassi. Abbiamo realizzato, dunque, questo omaggio ad uno dei più grandi chitarristi dell’ottocento, ma con uno sguardo verso il presente, aggiungendo delle percussioni.
Il secondo disco ha un taglio antologico raccogliendo le rivisitazioni di alcuni brani storici del gruppo…
Il secondo disco raccoglie brani già incisi dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, risuonati, ricantati ed incisi con la partecipazione di alcuni ospiti che facevano parte della prima formazione. E’ sto molto bello ritrovarsi in studio con Eugenio Bennato e con Patrizio Trampetti, ma soprattutto avere con noi per l’ultima volta Carlo D’Angiò che purtroppo è scomparso poco tempo dopo le registrazioni. Nessuno di noi sapeva che non stava bene, ma siamo venuti a saperlo da Eugenio che ci ha detto che non poteva raggiungerci in studio a Lago Patria dove stavamo registrando. Ci ha mandato però questa splendida traccia de “La Madonna De La Grazia”. L’arrangiamento di questo pezzo è di Antonio Di Francia che è il violoncellista dei Solis String Quartet, che ha avuto la splendida idea di inserire al centro del brano un frammento dello “Stabat Mater” di Pergolesi “Inflammatus et accensus”. Il risultato è un brano molto spirituale, quando entra la voce di Carlo è pura magia, mentre a cantare lo Stabat è Rosario Martone, un ragazzo dalla voce splendida che abbiamo conosciuto all’Oasi Figli di Famiglia a Barra San Giovanni. Purtroppo la grazia che Carlo ha chiesto per sé stesso con tanta passione non è stata ascoltata, e questa è una cosa che mi tocca molto e mi commuove.
Nel disco c’è anche Patrizio Trampetti, Lino Vairetti degli Osanna con tuo figlio Marco…
Altro vecchio compagno di viaggio che abbiamo ritrovato è Patrizio Trampetti nella villanella “La morte de mariteto”. Ci sono poi i Solis String Quartet che hanno suonato uno splendido arrangiamento di “Si li femmene” e poi un brano la già citata “In galera li panettieri” in una versione prog-rock con la partecipazione mio figlio Marco, di Tullio De Piscopo e di Lino Vairetti degli Osanna con i quali andremo in tour prossimamente.
Questo incontro con gli Osanna riserverà qualche sorpresa?
A prima vista sembriamo due gruppi molti distanti ma, come mi ha fatto notare Vairetti, anche la Nuova Compagnia di Canto Popolare ha un tratto prog perché attinge ad un repertorio che spazia dalla musica classica ai suoni del mediterraneo. Siamo un gruppo di musica popolare prog. Starà a noi cercare un punto di incontro comune, anche perché non abbiamo ancora provato insieme. Dobbiamo trovare questo filo rosso che unisce le nostre visioni della musica.
Come saranno invece i vostri concerti…
Cercheremo di fare il maggior numero di brani possibili. Il concerto a Napoli sarà certamente particolare, perché inviteremo tutti coloro che hanno suonato nel disco da Tullio De Piscopo ai Solis String Quartet, da Eugenio Bennato a Patrizio Trampetti. Non sono stati presenti due vecchi compagni di viaggio come Giovanni Mauriello e Peppe Barra che hanno declinato l’invito a partecipare.
Nuova Compagnia di Canto Popolare - 50 anni in buona compagnia (FoxBand/Edel, 2016)
A distanza di oltre un decennio da “Candelora”, la Nuova Compagnia di Canto Popolare torna con “50 anni in buona compagnia” doppio album, prodotto da Renato Marengo, che celebra in cinquant’anni di attività di questa storica formazione campana, affiancando un disco di inediti, e una antologia di brani del repertorio precedente, riarrangiati e ricantati con la partecipazione di diversi ospiti tra cui spiccano i nomi di Eugenio Bennato, Patrizio Trampetti e Carlo d’Angiò, già nella prima line-up del gruppo. Ad aprire il disco è il singolo “Napulitane”, un vero e proprio manifesto sull’orgoglio di essere napoletani e meridionali, tutto giocato sui plettri e un ritmo trascinante, ed impreziosito dalla voce di Pasquale Ziccardi a cui nel ritornello si inserisce quella di Fausta Vetere. Se al tema dell’immigrazione è dedicata “Ma pecchè”, in cui spicca la chitarra di Marco Sfogli, la successiva “Meu Core” è uno dei vertici del disco, un canto d’amore intenso ed appassionato in cui spicca superba la voce di Fausta Vetere. Si prosegue con “Fujenti” che rimanda alla festa che ogni anno si svolge presso il Santuario della Maddona dell’Arco, e con quell’incanto acustico che è lo strumentale “Posillipo” in cui la chitarra di Corrado Sfogli tocca le corde dell’anima dell’ascoltatore. La bella rielaborazione di “Tarantella del Gargano” ci apre la strada prima al racconto del musico errante “Pascalì” e poi al canto d’amore “Si chiove”. Lo strumentale “Vico tre regine” è una sevillana che rimanda alla dominazione spagnola del Regno di Napoli, mentre “Tammurriata d’a’ prumessa” è un canto d’amore e di speranza. Il gustoso omaggio a Mauro Giuliani “Tarantella di Giuliani”, tratto dall’opera 24b del chitarrista pugliese e la dolcissima ninna nanna “Vulesse” composta e cantata da Fausta Vetere chiudono la prima parte. Il secondo disco, si apre con il brano forse più toccante di tutto l’album ovvero “Madonna de la grazia” cantata da Carlo D’Angiò, la cui interpretazione sentitissima commuove sin dal primo ascolto, anche perché questa è stata l’ultima registrazione in studio, prima della sua prematura scomparsa. A rendere ancor più intenso il tutto c’è la voce di Rosario Martone che interpreta un frammento dello Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi. Irrompe poi il prog-rock di “In galera li panettiere” in cui spiccano la chitarra di Marco Sfogli della PFM, la batteria di Tullio De Piscopo e Lino Vairetti degli Osanna che trasformano questa villanella in un brano trascinante e potente. Se la voce di Patrizio Trampetti impreziosisce “La morte de mariteto” di Roberto De Simone, gli archi dei Solis String Quartet fanno lo stesso con “Si li ffemmene” avvolgendo di eleganza questa splendida villanella. Si prosegue con le belle riletture delle villanelle “Vurria ca fosse ciaola” e “Ricciulina”, brano cinquecentesco composto da Donato Antonio Spano” per giungere alla tarantella “Cicerenella” e a “Tu sai ca la cornacchia” in cui la Nuova Compagnia di Canto Popolare ritrova la voce di Eugenio Bennato. “Capera”, in cui spicca il superbo assolo di chitarra, ci conduce verso il finale con le più recenti “Quando fernesce ‘a guerra”, la tammuriata “Vottate ll’acqua” e una splendida rilettura di “Tammurriata nera”. “50 anni in buona compagnia” è, dunque, il modo migliore per la Nuova Compagnia di Canto Popolare per festeggiare i dieci lustri della sua straordinaria vicenda artistica. Passato, presente e futuro di questa formazione trovano la perfetta cristallizzazione in questo doppio album, un documento prezioso da ascoltare con attenzione.
Salvatore Esposito
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