Amerigo Vigliermo e il Coro Bajolese, “Voci” del Canavese nel rispetto delle tradizioni popolari

Amerigo Vigliermo (classe 1935) vive a Bajo Dora (TO), paese nel quale svolge con passione ed entusiasmo un’intensa attività etnomusicale, contraddistinta da sincero amore verso le popolazioni e la cultura del Canavese. Per quanto attiene la pratica esecutiva, a livello nazionale è considerato un indiscusso caposcuola, in quanto ideatore di uno stile esclusivo ed originale nell’ambito della cosiddetta polivocalità d’ispirazione popolare. Quanto appreso oralmente durante la ricerca sul campo, Vigliermo e i Bajolesi sono soliti riproporlo al territorio in forma corale, presentandosi al pubblico senza fronzoli, utilizzando anche nei concerti gli abiti della quotidianità. “Così ce li hanno cantati e così noi li cantiamo” è il motto del maestro. Seguendo tale prassi, Vigliermo ha voluto dare voce e valore a tutte le persone del Canavese capaci di esprimere la cultura locale in particolare attraverso il canto e la musica. La ricerca a connotazione etnomusicologica è iniziata nel 1966 con l’istituzione del “Coro dei Bajolesi” e si è progressivamente allargata a documentare sul campo un po’ tutta la cultura del territorio, i cui esiti sono minuziosamente conservati presso l’ “Archivio Multimediale del Centro Etnologico Canavesano” (CEC), istituito a partire dal 1975 e dedicato a Costantino Nigra. Il Coro Bajolese è molto attivo e viene spesso invitato in rassegne corali nazionali ed internazionali. Eseguendo il repertorio appreso oralmente dai canavesani, in modo discreto, il Coro persegue l’obiettivo di rendere consapevoli le popolazioni locali della propria identità culturale. Interessante è leggere quanto, venne espressamente scritto nel “manifesto di fondazione”: “… la corale Bajolese, sfruttando la favorevole predisposizione musicale di alcuni suoi componenti, nasce con il preciso scopo di avviare al bel canto le giovani leve e di accogliere e riunire attorno a sé tutti coloro che credendo nella funzione sociale dell’arte simpatizzano per essa sotto qualsiasi forma si manifesti …”. 

Le pubblicazioni
L’attività culturale dei Bajolesi e del CEC si è sempre svolta su più fronti. Tra le pubblicazioni, la prima in ordine di tempo è stata “Canti popolari noti nell’Alto Canavese”, avvenuta a circa cinque anni dalla costituzione del Coro. Con riconoscenza, Vigliermo tiene a ricordare l’aiuto ricevuto in quegli anni dal suo grande amico Bernardino Streito, fondatore della Corale della Valchiusella e, con Mino Bordignon, dei Cori Civici di Milano (è utile ricordare che Streito è stato anche docente di Composizione presso il Conservatorio di Milano, sezione di Como). L’opera “Canti popolari noti nell’Alto Canavese” venne presentata da un ricercatore d’eccezione, Roberto Leydi, nato a Ivrea e, a quel tempo, operativo professionalmente a Milano sia come giornalista sia come etnomusicologo. Leydi, in modo articolato (come era nel suo stile), mise innanzi tutto in risalto le caratteristiche sociali e stilistiche dei cantori di Bajo Dora: - … nel caso dei componenti del coro bajolese si tratta di riscoprire se stessi, di recuperare ciò che già è in loro, coperto dalla sedimentazione subculturale del modulo del “coro alpino”. Perché i componenti del coro bajolese sono contadini, operai, artigiani che ancora conducono la loro esistenza in un contesto popolare, sia esso quello della campagna o della fabbrica, in un territorio di tradizioni ancora radicate nonostante le profonde trasformazioni socio-economiche portate dall’industria più avanzata”. Leydi comprese la novità musicale apportata dai Bajolesi e nella presentazione evidenziò che “… se, sotto la spinta provocatoria della ricerca, il coro bajolese saprà mettersi in crisi e avviare poi una sperimentazione nuova di comunicazione contemporanea diventerà un punto di riferimento essenziale per lo sviluppo ulteriore del nostro “folk revival”, in una prospettiva veramente culturale”. Detto fatto. I Bajolesi da allora hanno proseguito incessantemente con la ricerca e le pubblicazioni. “Canti e tradizioni popolari, indagine sul Canavese” venne edito nel 1974. Probabilmente rappresenta l’opera più completa sotto il profilo etnomusicale, essendo minuziosamente corredata di testi e musiche trascritte su pentagramma dallo stesso Vigliermo il quale, come spiegheremo in seguito, ricevette sin da bambino una preparazione musicale non organica, ma tutt’altro che superficiale. Il testo del 1974 è da anni introvabile nelle librerie e nelle biblioteche pubbliche, poiché l’opera venne stampata in un numero limitato di copie. Due anni dopo, nel 1976, arrivò alle stampe la prima opera edita dal Centro Etnologico Canavese, “Becana Vita Sana”, un volume riferito alla cultura locale ristampato nel 2006. “Carema: Gente e Vino”, edito nel 1981, è invece un testo dedicato all’ambiente e in particolare a un pregiato tipo di Nebbiolo, detto “Carema”. 
Successivamente, grazie anche a sovvenzionamenti pubblici, il CEC riuscì a pubblicare cinque numeri di una rivista (socio-antropologica e musicale) denominata “Gente nel Canavese”, il cui ultimo numero uscì nel 1984. Due anni dopo, fu la volta di “Canavese che canta”, opera che comprende i testi, trascrizioni e osservazioni musicali curati sempre da Amerigo Vigliermo. Attento al sociale e agli eventi traumatici della Seconda Guerra mondiale, il CEC, nel 1987 e nel 2011, sponsorizzato dalla Regione Piemonte, ha realizzato due “Calendari della Resistenza” nei quali, giorno per giorno, sono didatticamente riportati gli eventi storici più significativi. I decenni sono trascorsi e, ancora oggi, il CEC e i Bajolesi proseguono instancabilmente l’opera di ricerca e di promozione del Canavese. Particolare menzione merita la pubblicazione multimediale “Voci del Cuore. Tutto continua insieme”, del 2014, un’opera comprendente un libro (con la prefazione del giornalista Gian Luca Favetto e l’introduzione di Ilario Blanchietti) con accluso un cd audio e un dvd che raccoglie 19 video (la regia è di Andry Verga) relativi ai canti del “Coro Bajolese”, registrati e mixati da Renato Campajola e Mario Bertodo. Si tratta anche in questo caso di una produzione tutta canavesana, con la quale si sono volute ripercorrere anche visivamente le tappe significative della loro ricerca etnomusicale, andando a rivisitare i luoghi nei quali i singoli canti erano stati originariamente registrati, garantendo visibilità ai cantori storici della tradizione orale. La selezione dei canti è eterogenea, in grado di fornire al lettore e all’ascoltatore uno spaccato del repertorio dei Bajolesi, cui di seguito si ritiene utile accennare. “Ciamo scusa” è una serenata (nel Canavese detta anche “martina”) registrata a Pecco; “Magnificat” è un canto tipico della Cantoria di Scarmagno; “Bon-a sèira bele fije” e “Fije marieve” sono state registrate a Rueglio; “Le Tre Ave Marie”, ad Alpette Nero. “Ciavatin e Muradur” è un canto di protesta appreso nel paese di Loranzè; “Su cantuma” è, invece, un canto operaio torinese di inizio Novecento tratto da una “Raccolta” selezionata da due ricercatori che sono sempre stati vicini ai Bajolesi: Sergio Liberovici ed Emilio Iona. “Al lampo delle mine” è un canto dei minatori di Brosso in Valchiusella, operanti nel traforo del San Gottardo tra il 1872 e il 1882. “Canto dei coscritti” è diffuso in tutto il Canavese ma, nello specifico, è stato eseguito secondo lo stile di Villate; “Addio compagni” è un canto registrato ad Andrate, appreso oralmente durante la Prima Guerra (da Franchina Giglio); “Cime nevose” è un canto partigiano in stile villotta friulana, eseguito a Bajo Dora, ma appreso dai militanti della Settantaseiesima Brigata Garibaldi. “Giuivu dal capel bordà” è un canto (citato nei “canti piemontesi” da Costantino Nigra, con il titolo “La promessa”) nel quale una donna (paleo femminista) esprime vocalmente i propri sentimenti a seguito della promessa di matrimonio non mantenuta. 
“Villarbasse” è un canto narrativo, in cui viene descritta la vicenda dell’eccidio avvenuto vicino ad Avigliana, che portò all’esecuzione del bandito Saporito, ultimo condannato a morte in Italia, nel 1946. “La ballata di Elvira e Giaculin” è stata raccolta a Cintano e, in internet, è possibile rinvenire la ricostruzione della complessa storia d’amore dei personaggi citati nel testo. “Mi sovvien” è una canzone d’amore tipica di Brosso in Valchiusella. In “Casina sola” si racconta la solitudine, quella che Vigliermo definisce “l’arma più cattiva della povertà”. “La morra” è il canto dell’animoso gioco diffuso anche in Friuli e in Sardegna, che in Piemonte venne proibito perché “spesso finiva in rissa”. Il canto è uno dei tanti esempi di rifunzionalizzazione vocale, in quanto poteva essere utilizzato anche come filastrocca allegra e ritmata per insegnare ai bambini le progressioni numeriche. Infine, “La festa l’è faita” è un canto di saluto o di commiato eseguito al termine di una festa o di un evento particolare, diffuso soprattutto nelle valli occitane. A completamento della proposta discografica, nell’opera multimediale “Voci del Cuore”, ritengo interessante citare i filmati dedicati alle cosiddette “grida dei mestieri”, in particolare quelle dello spazzacamino, del “mulitta” (l’arrotino), del “vedriàt” (il vetraio), e del “magnìn” (lo stagnaro). Un altro video è rivolto ai suoni eseguiti con i “corni” animali. Gli anziani di diverse comunità del Canavese lo utilizzavano durante la Settimana Santa, insieme alla “cantarana”, una raganella realizzata manualmente dal “minusiè” (il falegname). 

Le registrazioni discografiche
Imponente è la pubblicazione delle registrazioni discografiche curate dal CEC e dal Coro Bajolese. L’ultima è stata denominata “I Maestri cantori del Canavese”, una Collana audio il cui primo CD è stato riservato a Vincenzo Canale Clapetto (1922-2012), di Quincinetto (paese vicino al confine valdostano), operaio-contadino attivo nella Cantoria del paese e tra i fondatori dello storico Coro “La Rupe”, nel 1953. Canale Clapetto, da pioniere, registrò su magnetofono il repertorio della propria Cantoria, istituita, tra gli anni Trenta-Sessanta del XIX secolo, dal canonico Enrietti.  La restaurazione delle bobine è stata affidata dal CEC a Renato Campajola, ingegnere del suono di Ivrea, assai apprezzato a livello nazionale in ambito corale e strumentale. 
Alcuni dischi della Collana sono dedicati a Norma Betteto Coello (1940, residente a Bajo Dora, ma di origine padovana), che è l’unica donna tra i Bajolesi. Voce lirica particolarmente espressiva, è specializzata nel repertorio religioso (le “Lodi”) appreso oralmente all’asilo da tal Suora Gabriella (“… di origine emiliane che sapeva strimpellare l’organo”).  Le future pubblicazioni de “I Maestri Cantori” avranno come interpreti le sorelle Piovano: Adelina (simpatica ed estroversa, bidella della scuola di Settimo, deceduta alcuni anni or sono) e Marcella (nata nel 1925). Infine, un cd sarà riferito a Giuseppe Vesco, esperto di canti religiosi tipici della Cantoria di Strambino. Per commemorare l’opera di ricerca di Costantino Nigra, dopo lungo studio, i Bajolesi hanno prodotto una Raccolta comprendente ben 15 CD (patrocinata dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Torino), nei quali sono stati registrati i canti di tradizione orale riportati dal ricercatore e politico canavese ne “I Canti Popolari del Piemonte” (edito da Einaudi), un must degli studi etnomusicologici. Vigliermo ha sempre riconosciuto il proprio debito intellettuale verso Nigra che considera suo maestro, “…essendo stato il caposcuola di tutte le ricerche sui canti popolari piemontesi. Un ricercatore serio e onesto che, per primo, seppe valorizzare i cantori di umile origine facendo conoscere il loro nomi e cognomi. Io - prosegue Vigliermo - come appassionato della cultura canavese ho mosso le prime ricerche avendo come faro di riferimento Costantino Nigra e la sua opera, che considero la “Bibbia” dei canti popolari di tradizione orale. Nigra ha saputo aprire con metodo una strada, seguendo la quale ho potuto iniziare a dare valore musicale ai miei concittadini e alla mia idea di ricerca musicale e corale”. 

Il percorso musicale
Quanto sin qui succintamente evidenziato sottolinea l’intensa attività del CEC e del Coro Bajolese, tuttavia, nonostante i numerosi obiettivi conseguiti in ambito corale, ligio ai propri riferimenti culturali, Vigliermo non desidera essere chiamato maestro:- “… sono semplicemente uno che canta qualcosa che mi hanno insegnato i miei concittadini ai quali reputo indispensabile dare visibilità”. La modestia è tratto caratteriale di Amerigo Vigliermo (e dei canavesani in generale), del quale ritengo sia importante conoscere la formazione musicale. Ha iniziato gli studi strumentali a dieci anni, prendendo lezioni dal Maestro Castello (di origine valdostana), abitante a Quassolo. Con lui ha studiato solfeggio e imparato a suonare facili melodie con la fisarmonica, strumento principe durante le serate conviviali e festive nel Canavese. Successivamente ha continuato gli studi presso un collegio di Salesiani, dove ebbe modo di approfondire la teoria musicale e la pratica strumentale con il sassofono, essendo al contempo divenuto componente di una banda paesana. Negli anni Sessantae Settanta, Vigliermo si è dedicato allo studio dell’armonia e del canto corale, prendendo lezioni dai Maestri Canzano e Pasteris (docente presso il Conservatorio di Torino). A seguito del conseguimento della laurea in Matematica presso l’Università di Torino, nel 1969, a Vigliermo venne regalato un pianoforte, utilizzato amatorialmente o per realizzare le trascrizioni dei canti popolari canavesani. Durante le prove con i Bajolesi utilizza una clavietta o un diapason aerofono per le intonazioni ai coristi. Vigliermo si reputa un “etnomusicologo autodidatta”. Dialogando e sondando retrospettivamente, è emerso che all’origine della sua ricerca non vi sono solo motivazioni prettamente musicali, ma soprattutto affettive, maturate a contatto con i concittadini di Bajo Dora, paese con circa trecento cinquanta abitanti, situato a una decina di chilometri da Ivrea. Vigliermo rimase orfano di padre a soli due anni. Nella sua infanzia spiccano quattro figure di donne: la madre Marì, l’anziana bisnonna Marietta Giovanetto (“canterina dalla voce acuta e intonata”), la nonna Caterina Gianetta (apprezzata sarta) e sua sorella, zia Annetta Gianetta, donna devota, ottima cuoca e conoscitrice di un esteso repertorio vocale. 
Proprio grazie alle donne di famiglia, di cui parla sempre con immensa riconoscenza, Vigliermo inizia ad appassionarsi ai canti popolari, scoprendo il valore comunitario della musica nella quale, secondo sfumature della quotidianità, vengono a condensarsi “sentimenti di gioia e di dolore”. La stalla era il luogo prediletto nel quale a Bajo Dora si dialogava la sera. Dalla chiacchiera, appena possibile, si passava al canto. Il Canavese, spiega Vigliermo, “…è così: anche nei momenti di sconforto canta e suona”. Per il maestro il canto popolare è un mezzo di promozione sociale, personale e culturale, per comprendere il quale è indispensabile, con umiltà e passione, saper porre l'essere umano (indipendentemente dallo status) al centro della ricerca che non può prescindere dal contesto storico e ambientale. Se rapportato al Canavese, Vigliermo si configura come un moderno “Terenzio” (mi si conceda il paragone), il quale proponeva un costruttivo concetto di humanitas, che portava ad avere sincero rispetto e interesse nei confronti di ogni altro essere umano, nella consapevolezza dei limiti di ciascuno, come ben espresso nella massima “homo sum: humani nihil a me alienum puto” (sono un uomo: nulla che sia umano mi è estraneo). Nei fatti, da circa mezzo secolo, Vigliermo non conosce aspetti della cultura canavesana che siano a lui estranei, avendo a cuore di dare valore alle persone più semplici e umili della propria terra, verso le quali prova un sincero sentimento di riconoscenza. Incurante delle mode del momento, ha sempre lottato per dare vigore alla cultura del Canavese e ancora oggi, giunto alla soglia degli ottant’anni, l’opera di ricerca e di promozione culturale continua incessantemente, secondo un approccio che richiede rapporti di stima e di fiducia strettissimi con i propri interlocutori: “… il compito mio e dei Bajolesi non è quello di cantare per “simpatia” o per divertire: a noi interessa portare al pubblico la conoscenza della gente dei nostri paesi” . Sebbene l’oggetto degli studi condotti da Vigliermo e dai Bajolesi sia territorialmente circoscritto, il loro metodo di lavoro (del quale si è potuto accennare solo per sommi capi) supera largamente quei confini. Un originale “modus operandi” il loro che, in diverse occasioni, ha permesso un fecondo confronto con le università, in primis grazie a Roberto Leydi (a partire dagli anni Settanta) e, successivamente (dal 2005), grazie alla studiosa Alda Rossebastiano dell’Università di Torino la quale, evidentemente, più di altri, è riuscita a comprendere il valore educativo e didattico della ricerca condotta da Vigliermo e dal CEC. I Bajolesi hanno avuto di recente altri confronti con il mondo dell’università, in Argentina e in Brasile, all’interno di stimolanti corsi di formazione o di un confronto diretto con gli emigrati piemontesi che da tempo risiedono in quegli Stati.

Tra passato e presente
Vigliermo è persona giovale, acuta, dotata di humor schietto e raffinato, tipicamente piemontese. Difende il proprio operato, ma non è solito ostentare i propri meriti, tuttavia le sue ricerche e l’opera di catalogazione sono certamente destinate a lasciare un segno indelebile nella storia dell’etnomusicologia italiana. Suo cruccio è non essere ancora riuscito a trovare la giusta chiave per coinvolgere nel lavoro del CEC e del Coro Bajolese i giovani determinanti, nel tempo, per proseguire il lavoro di decenni. Per il raggiungimento di questo obiettivo, io ritengo che potrebbero risultare vincenti progetti culturali a medio-lungo periodo, sinergicamente strutturati e portati avanti con i Bajolesi dagli Enti pubblici e dalle Scuole del Canavese. In particolare, per la tali progetti potrebbero risultare guida tutte quelle esperienze formative in uso nei Paesi europei nei quali, sin dall’infanzia, vengono insegnati ludicamente ai bambini i canti e i balli della tradizione popolare. L’opera di ricerca condotta da Vigliermo e dai Bajolesi è maestosa. L’archivista e il contabile del Gruppo, i signori Giancarlo Biglia e Luciano Bensa, con squisita cortesia mi hanno mostrato la ricchezza dell’ “Archivio Multimediale del Centro Etnologico Canavesano”. Vi sono depositate oltre mille ore di registrazioni dei canti popolari; migliaia di immagini fotografiche, tra cui spiccano quelle scattate dal signor Torra, il quale ha puntualmente documentato visivamente le ricerche condotte da Vigliermo sul campo. Nei mobili del CEC sono catalogati centinaia di documenti visivi di vario tipo, utilizzando i supporti di ripresa più disparati (super 8, UMatic, BVU, Beta, VHS, Digitale). Inoltre, vi e tutta la documentazione scritta che consta di migliaia di fogli e una biblioteca che contiene centinaia di libri riferiti soprattutto alla cultura canavesana e, più in generale, piemontese. Il lavoro di ricerca portato avanti da Vigliermo, dal CEC e dai Bajolesi è sempre stato svolto gratuitamente. Talvolta sono giunte provvidenziali sponsorizzazioni e, saltuariamente, a tempo determinato, sono stati inviati dalla Regione giovani archivisti per formarsi professionalmente. Importanti e utili interventi, certo, ma insufficienti rispetto alla mole di lavoro di catalogazione, di digitalizzazione e di masterizzazione che vi sarebbe da portare a compimento. Vigliermo (che da buon matematico non è solito improvvisare sui numeri) ha calcolato che sarebbe indispensabile far lavorare a tempo pieno un archivista esperto tuttofare per 4-5 anni, prima di riuscire a sistemare tutto l’Archivio Multimediale secondo criteri razionali funzionali agli scopi del Centro Etnologico. 
Servono investimenti e ci si augura che questa richiesta minima venga presto soddisfatta dalla Regione in quanto, a mio avviso, poche aree culturali italiane sono in grado di vantare una così puntuale e scientificamente valida documentazione antropologica ed etnomusicologica. Un detto popolare canavesano rammenta che “per arrivare in tempo bisogna sempre arrivare prima”. Due date sono importanti e da segnare in agenda. Nel 2015, il maestro Amerigo Vigliermo compirà ottanta anni. Nel 2016, si festeggeranno i cinquant’anni di attività del Coro Bajolese da lui diretto. Se chi di dovere (Università, Regione, Comuni, Scuole, Centri di ricerca, Televisioni pubbliche e private etc.) inizierà a programmare per tempo, si avrà la possibilità di dare adeguato riconoscimento nazionale ed internazionale ad un ricercatore che ha speso senza risparmio la propria vita a favore delle popolazioni del Canavese, dando loro lustro e dimostrando come anche i componenti di una piccola comunità possano essere in grado di rafforzare e ravvivare le tradizioni musicali di territori culturali ben più estesi del proprio, offrendo significativi spunti di riflessione critica ad ampio raggio. C’è da augurare che, in questi due anni, si operi con determinazione per dare la giusta vastità in termini di diffusione all’opera di Amerigo Vigliermo e dei Bajolesi i quali, come scriveva Roberto Leydi nel 1971, hanno sempre “… svolto una funzione attiva nel campo della ricerca e della conservazione del patrimonio tradizionale, in una prospettiva contemporanea, moderna, culturalmente avanzata”. Grazie Maestro Amerigo! Da appassionati di musica popolare, continueremo a seguire con vivo interesse il percorso culturale proposto dai Bajolesi, dando riscontro alle vostre novità editoriali e discografiche, nelle quali la musica è concepita come “festa” che, settimana dopo settimana, si concretizza creativamente nella cantina “a volta” dove effettuate le prove canore, nel salone zeppo di foto ricordo dove banchettate gaiamente accogliendo fino a duecento invitati, negli “Incontri del Venerdì” che proseguono dal 1978, nelle sale dell’Archivio Multimediale nelle quali continuate a studiare e a ricercare. E, soprattutto, la vostra musica è festa tra la gente, nei teatri, nelle chiese e nelle piazze, dove siete amati e stimati per il vostro impegno e (lasciatemelo dire) per la vostra spontanea e istintiva bravura direttamente collegata a un’intelligente proposta polivocale che trae costantemente rinnovata linfa musicale dai vostri illustri predecessori canavesani. 


Paolo Mercurio

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