Kayhan Kahlor/Salman Gambarov – Hawniyaz (Harmonia Mundi, 2016)

“Hawniyaz” documenta la collaborazione fra il musicista iraniano (ma curdo di origine, come tiene a precisare) Kayhan Kahlor e il pianista azèro Salman Gambarov, dopo il primo incontro avvenuto nel backstage del festival di Osnabrück (città dove poi il disco è stato registrato) nell’estate del 2012. La reciproca curiosità e una lunga session avvenuta durante il soundcheck nel medesimo festival ha portato a una collaborazione, difficile persino da concepire visto che Kahlor vive a Los Angeles e Gambarov a Baku, che è sfociata in questo bellissimo lavoro, edito da Harmonia Mundi, ma che suona molto più ECM dei due dischi che Kahlor ha pubblicato per l’etichetta di Manfred Eicher insieme al suonatore di saz-baglama Erdal Erzincan. Il disco è un lavoro d'equipe, dove il kamanceh del virtuoso persiano condivide il ruolo del protagonista non solo con il piano di Gambarov, ma con la tenbura di Cemil Qocgiri e la voce della cantante curda Aynur. Il CD si compone di cinque lunghi brani, sempre raffinati e improntato a un approccio cameristico di stampo quasi euro-colto, dove anche uno strumento non temperato come il kamanceh (strumento ad arco che si suona verticalmente, della famiglie delle rebec) è difficilmente distinguibile da un violino classico. In apertura, la struggente “Delalè”, canto tradizionale curdo, dove, a una lunga introduzione strumentale, si innesta il canto, sfrontato e mai particolarmente melismatico, di Aynur. Questa è un po’ la cifra che caratterizza anche gli altri brani che compongono il repertorio: una parte strumentale ben condivisa fra i musicisti e Aynur che canta su un tempo a volte libero, o comunque assai dilatato, altre volte ritmicamente molto marcato. Sfuggono a questo schema il brano “Rewend” dove, dopo un breve taksim affidato a Cemil Qocgiri, è la voce a introdurre il tema, e la finale “Ez Reben Im” che è, in realtà, un duetto fra Gambarov e la cantante curda: brano impressionante per la sua tensione emotiva e che trasmette la disperazione di chi è costretta, per tradizione, a sposare un uomo che non ama e ad allontanarsi dal suo vero amore. Il mash-up “Malan Barkir/Berivane” è la traccia più orientata verso un interessante jazz/world, grazie a una ritmica facilmente identificabile, dovuta all’utilizzo percussivo degli strumenti (Kahlor fa una specie di ‘tapping’ sul suo strumento) e a un ipnotico ostinato del pianoforte. Insomma, “Hawniyaz” è un disco bellissimo, che sfiora il capolavoro, un’opera frutto della collaborazione di quattro musicisti di caratura impressionante, dove oltre alla già conosciuta bravura di Kayhan Kahlor, spicca il lavoro di regia e le intriganti trame pianistiche di Gambarov. Del resto la parola curda “Hawniyaz” vuol dire proprio questo: “necessità di stare insieme” e spesso il risultato finale è più della somma dei singoli fattori. Ma Kahlor è già proteso verso un nuovo progetto: un tour europeo di dodici date, appena cominciato, con Toumani Diabate, il musicista maliano che ha spinto la kora oltre i confini delle musiche possibili. Speriamo che i concerti vengano documentati con un disco, magari incantevole come questo. 


Gianluca Dessì

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