Ana Alcaide – Leyenda (Arc Music, 2016)

Miti e leggende al femminile nella nuova, intensa proposta world di Ana Alcaide

Dalle melodie medievali di “Viola de teclas” (2002)  ai canti del popolo sefardita di “Como la luna y el sol” (2007) e dell’acclamato “La Cantiga del Fuego” (2012), dall’incontro con l’ensemble giavanese Gotrasawala in  “Tales Of Pangea” (2015) alle suggestive armonie e melodie di “Leyenda”, si snoda il tragitto di Ana Alcaide, nativa di Madrid ma toledana d’adozione, compositrice, cantante e polistrumentista con studi di violino classico al conservatorio madrileno di Getafe, artista appassionata e votata alla ricerca, che ha  ha pubblicato il suo quinto album a giugno 2016. Bella voce, dolcemente eterea, padronanza della nyckelharpa – la viola a chiave –, strumento ad arco di origine svedese, che dal Paese scandinavo, in cui si era recata per perfezionare i suoi studi da biologa, Ana ha portato alle latitudini mediterranee. L’artista suona una nyckelpharpa cromatica a quattro file, accordata per quinte, uno strumento molto versatile, che dà ampie possibilità. Ana Alacide (classe 1976) possiede una scrittura sospesa tra musica antica, repertori tradizionali, stilemi world e melodie moderne, che portano, di tanto in tanto, a rammentare passaggi che ricordano Loreena McKennit.  “Leyenda” è un concept album, un viaggio dai contorni magici nell’universo dei miti e delle leggende che hanno la donna come protagonista, e che nell’intento dell’artista spagnola diventa una celebarzione della figura femminile. 
Oltre ad Ana (canto, nyckelharpa, tastiere, percussioni, direzione artistica), la line up internazionale di “Leyenda” allinea Bruno Duque (whistles, moxeño, xaphoon, ney, dulzaina, effetti ambientali), Paul Castejón (tastiere e cori), Rainer Seiferth (chitarra acustica, barocca e spagnola bozoki), Wafir S. Gibril (fisarmonica, cori), David Mayoral (t’bel, tamburi a cornice, darbuka, riq, castanets, sagal, daff, zarb, campanacci e caxixi), Renzo Ruggiero (ghironda e voce), Bill Cooley (salterio, liuto, santur), Jan Grimbergen (oboe d’amore), Isabel Martin (cori), Laura Fernandez Alcalde (cori) e Oreka TX (chalaparta). Il bel booklet contiene informazioni esustive sulle fonti e sulle storie in musica create dall’artista. Abbiamo raggiunto Ana Alcaide, tra festival ed impegni  di presentazione del suo nuovo lavoro, per farci condurre da lei nel mondo di “Leyenda”. 

Ana, come hai incontrato la nyckelharpa?
È stato nel 2000 ... Ero a Lund (Svezia), dove finivo i miei studi in biologia,avevo una borsa di studio. Mi è capitato di essere colpita dalla musica e dalla cultura svedese, me ne sono innamoarta. Inoltre, sono rimasta molto impressionata dalla scena musicale locale. Lì ho incontrato lo strumento per la prima volta. Due anni dopo, avendo risparmiato abbastanza soldi, ho potuto acquistare una nyckelharpa ed inziare a suonarla.  La nyckelharpa mi ha attratto perché è uno strumento raffinato, per il suo suono gezzo, ma al contempo dolce al contempo.  Il suo suono evoca  un qualcosa di nostalgico e di ancestrale, ma è uno strumento molto versatile allo stesso tempo. Credo che abbia grandi possibilità musicali.

Che nyckelharpa suoni?
Le mie prime nyckelharpa erano svedesi, perciò ho imparato a suonare un po' del repertorio tradizionale svedese. In tal modo ho potuto capire il linguaggio dello strumento e la sua musicalità nel suo contesto d’uso originale. 
Conservo i mie strumenti svedesi, ma ora suono una nyckelharpa a quattro file costruita da due costruttori francesi. Per un  ‘purista’ questi strumenti non sono 'tradizionali’, ma hanno una gamma più estesa di note, dando nuove possibilità musicali. Oltre a suonare brani strumentali, uso molto lo strumento per accompagnare la mia voce, così mi piace sviluppare più i suoni più bassi dello strumento e la fila di chiavi mi dà questa possibilità.

Quali altri strumenti suoni? 
Ho una formazione classica di violino, che ho studiato in conservatorio per molti anni. Poi ho seguito corsi musicali universitari all’Accademia di Malmö. Suonavo sia il violino che la nyckelharpa, ma poi ho iniziato anche a cantare. La voce è qualcosa che ho iniziato a sviluppare da adulta. Possiedo una certa abilità  nel suonare altri strumenti ad arco e nelle mie registrazioni ho avuto il coraggio di suonarne anche di più! Per esempio, il santur, l’arpa celtica e le percussioni. Ovviamente, in modo molto limitato. 

Ti senti più strumentista o cantante? 
Poiché ho iniziato prima a suonare strumenti che a cantare, mi sono sempre sentita una strumentista, una compositrice, una creatrice di musica piuttosto che una cantante. Ma negli ultimi tempi ho iniziato a sviluppare  molto la mia voce e ora ho cominciato a sentirmi diversa, più simile a una cantante. L'atteggiamento nel cantare è davvero completamente diverso. Mi dà un'altra prospettiva di come affrontare la musica; ho imparato molto. Sento che sto crescendo come cantante, a poco a poco. Si sente bene!

Veniamo al tuo ultimo album, "Leyenda", ispirato da miti e leggende al femminile. Che tipo di storie ti hanno affascinato? Hai pensato a un simbolismo unificante?
“Leyenda” è il risultato di un lungo processo personale di comprensione e di incontro con il mio lato femminile.  È ispirato a leggende e mitologie associate alle donne e ad esseri femminili di Spagna, Europa e altre parti del mondo. Credo che le leggende contengano una grande saggezza su aspetti umani tramandati di generazione in generazione. In questo caso, ho scelto leggende con personaggi femminili, ma tutte hanno qualcosa da insegnarci su noi stessi, se siamo in grado di leggere tra le righe!  L'intero album è un invito ad attraversare lo specchio e osare sentire le storie dei personaggi. Tutte donne coraggiose e strane, creature dell’altro mondo che hanno trasceso la loro natura in un immenso atto d’amore secondo la loro comprensione. Sono storie d’amore e odio, di gentilezza, sacrificio, ossessioni e desideri, che riflettono passioni umane senza tempo. Se devo pensare a un elemento unificante, questo è l’essere umano stesso, i suoi sentimenti e i suoi bisogni universali, che si riflettono nelle protagoniste delle canzoni.

Come hai sviluppato il processo creativo dei brani? 
Per prima cosa penso sempre alle melodie. Poi, costruisco le armonie, la struttura delle canzoni e gli arrangiamenti. Per i testi, conto sulla collaborazione della mia amica d'infanzia Bea (Beatriz Moreno-Cervera, ndr), che ha scritto i testi sulla base delle idee e delle note che le ho inviato. Lei suggerisce un profilo lirico su cui lavoriamo insieme. 
Creo i demo nel mio studio a casa, dopo vado in un vero e proprio studio di registrazione per il processo di pre-produzione accanto al mio tecnico del suono e co-produttore Jose. Dopo che abbiamo tutto chiaro, iniziamo la registrazione delle canzoni. 

Hai scelto musicisti specifici per questo progetto?
Si. Ho molti ospiti come al solito! Invito sempre a registrare i miei collaboratori, con cui suono dal vivo nei concerti. Quando scrivo gli arrangiamenti, già penso a strumenti specifici e a particolari musicisti. A volte non li conosco ancora, ma li vado a cercare.

Ami viaggiare attraverso le culture…
Assolutamente! Più vado in profondità nella musica tradizionale, più mi rendo conto di come siamo simili e come abbiamo bisogno di esprimere le stesse cose. Abbiamo diversi codici culturali, ma l'essenza è la stessa. La musica è un linguaggio universale che ti fa capire questo aspetto, rende le persone più vicine, fa dimenticare tutte le apparenti barriere culturali che abbiamo.

Dai canti sefarditi  a “Tales of Pangea”, in cui hai condiviso la scena con un ensemble di Giava, ora a “Leyenda”, per te la musica sembra sempre significare ricerca? Ha qualcosa a che fare con il tuo retroterra da biologa? 
Beh, è un bel complimento! Per me la musica è il modo che ho per conoscere la vita, le persone, il mondo in generale. Mi sento così fortunata ad avere la musica come mio modo di esplorare il mondo! Così, i miei album sono il riflesso delle mie ricerche personali nella vita, del mio sviluppo e della mia crescita.

Parliamo della dimensione dal vivo della musica. Qual è la tua relazione con il pubblico? Hai anche una lunga esperienza da busker…
Suonare dal vivo è una cosa che ho iniziato a sviluppare sempre di più. Con “Leyenda” ho fatto un grande passo avanti a questo senso. Presentiamo la musica con una band che è un sestetto, con nuovi strumenti come tastiere, percussioni elettroniche, ci sono elementi più percussivi in genere. Sono davvero eccitata ed entusiasta di questo nuovo approccio, che spero di riuscire a sviluppare sempre di più. Ho suonato per strada a Toledo per più di dieci anni. Ritengo che la strada sia una delle migliori scuole che abbia mai avuto! Ti dà completamente un’altra prospettiva sulle persone, sul modo di comprendere la musica e di relazionarsi ad essa. Imparo molto ogni volta che lo faccio. Ogni volta che lo fai, è come ricominciare daccapo.

Vivi a Toledo: cosa ha di speciale questa città storica?
Toledo è una bella fonte di ispirazione, una tranquilla, antica città  storica del centro di Spagna.  Se siete alla ricerca di un'esperienza spirituale, di una prospettiva storica o semplicemente di una città spagnola medievale, è il luogo ideale.

Com'è la vita musicale? Luoghi da consigliare?
Toledo è piuttosto piccola come città, ma ha alcune feste notevoli. In ogni caso, la scena è in continua evoluzione. Abbiamo un sacco di eventi all'aria aperta, non posso dare un solo nome di luogo notevole . Chissà, forse, la piazza della cattedrale!

Come in ogni intervista, arriva la domanda conclusiva d’obbligo: progetti futuri in cantiere o che ti piacerebbe iniziare? 
Per il momento, vorrei impostare il nuovo capitolo di "Tales of Pangea ', ho nuove idee su cui lavorare e inizierò questo autunno!



Ana Alcaide – Leyenda (Arc Music, 2016)
Ci lasciamo subito trasportare nel viaggio fascinoso della polistrumentista spagnola con “Tlalli” (“Terra” in un idioma nativo messicano), l’evocativo strumentale, sorta di invocazione propiziatoria – benché troppo eterea –  alla Madre Terra, elaborato su voci, nyckelharpa, flauto ligneo, percussioni ed effeti sonori. “Diosa Luolaien” ci porta a conoscere la leggenda della dea cinese Luolaien, il cui mito è una metafora sulla fine del matriarcato, mentre il tema musicale ispiratore è un canto sefardita su cui si innesta un ventaglio di soluzioni espressive e timbriche, che mettono in risalto il canto vellutato e melodioso di Ana, educata alle note clasiche e alla musica antica, ma aperta alle influenze ‘celtiche’ e a scatti rockeggianti, come avviene in “La ondina de Vacares”, la cui storia arriva da un lago della Sierra Nevada. Il whistle conduce il tema seducente della title-track, che esplora la linea tra illusione e realtà, contornato dall’ordito intessuto da salterio, chitarra, tamburi a cornice, nyckelharpa e tastiere. Restiamo in Spagna, nell’area di Segovia, per uno dei i momenti più alti dell’album che è “La mujer muerta”: la vicenda è quella di Blanca, uccisa accidentalmente da una spada durante un duello tra due fratelli che se la contendevano; dal suo corpo si sviluppò una montagna  di Guadarrama. La canzone, infusa di radici modali, è abbellita dall’oboe d’amore di Jan Grimbergen. La veste musicale del successivo strumentale “Folía de la primavera” oscilla ancora tra musica antica e sonorità popolari (nyckelharpa, chitarra barocca, liuto e percussioni). “La Lamia de Kobate” ci porta in Euzkadi, notevole fonte di ispirazione per Ana Alacide in questo disco. Qui il coro responsoriale al canto solista ricorda un po’ le finlandesi Värtiinä su un tessuto ritmico mediorientale. Andiamo poi a Toledo con “El puente de San Martin”, passaggio sul fiume Tajo, che conserva memorie leggendarie della magfica città. Qui domina la voce pura di Ana su un ventaglio timbrico dominato dal ney, dalle percussioni arabe: a una prima parte dall’andamento morbido segue il notevole crescendo con cambio di ritmo sempre di matrice mediorientale, gli incisi potenti della dulzaina e il solo della cetra persiana santur . Mentre il desiderio di “Kari Kalas” ci riporta ad umori sonori oscuri, “La esposa Selkie” – imperniata sulla leggende delle creature femminili marine, in parte umane e in parte foche, che attraversano il folklore irlandese, scozzese e faroerese – è un’aria che ci trasporta ancora verso le sonorità del mondo cosiddetto ‘celtico’.  Il disco volge alla conclusione con “Elenion”, strumentale dal tratto meditativo eseguito per sole corde (nyckelharpa, chitarra barocca e spagnola, salterio), e con “Akelarre”, di nuovo un brano dall’arrangiamento più corposo, che ci riporta in terra basca, con tanto di intervento percussivo della txalaparta;  il titolo significa ‘sabba’ e nelle note Ana spiega il processo di marginalizzazione e di condanna dei saperi femminili operata dalla chiesa cattolica. “Leyenda” è la giusta consacrazione della classe, dell’appeal e della maturità artistica della compositrice spagnola. 


Ciro De Rosa

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